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 2009  novembre 02 Lunedì calendario

MATRANGA (UBAE): UN PROGETTO COME QUELLO DEL PONTE DELLO STRETTO


L’intervista

Ha la sede romana esattamente di fronte al ministero dell’economia a via XX Settembre. Si tratta di Ubae, l’Unione delle Banche Arabe ed Europee, un’impresa bancaria a capitale italo-arabo, ed è uno dei partner privilegiati per le realtà italiane che vogliono operare in Nord Africa e Medio Oriente. Abbiamo parlato con Biagio Matranga, advisors to the board di Ubae

Cosa distingue Ubae dalle altre banche?
La banca Ubae, nata circa 36 anni fa, ha sempre rivolto la propria attività nel bacino del Mediterraneo e nel Medio Oriente. In questi oltre 30 anni di attività abbiamo acquisito una conoscenza dei mercati e dei sistemi bancari locali. Oggi possiamo vantare circa 600 banche corrispondenti distribuite in questi territori. Questo ci consente di operare con mutua soddisfazione sia dell’esportatore italiano o europeo che della banca o importatore arabo. Per un operatore italiano, infatti, avere a che fare con una banca italiana che parla la lingua e conosce i costumi, le usanze e le leggi di questi paesi, credo sia un vantaggio non indifferente. E tengo a precisare che Ubae è una banca di diritto italiano tra i cui azionisti, oltre a banche e società italiane, figurano banche arabe.

D. Parlando degli azionisti di Banca Ubae, tra essi ci sono la Libyan Foreign Bank - banca offshore specializzata in esportazioni di petrolio - e il Gruppo ENI, tra le poche società italiane il cui titolo sia riconosciuto come compatibile con la finanza islamica. Crede che, in seguito ai recenti sviluppi del dialogo italo-libico, il futuro delle relazioni tra i due Paesi continuerà soprattutto sul fronte idrocarburi o pensa si possano aprire nuove prospettive?

R. Ciò che è facile ipotizzare è che l’ENI possa assumere un ruolo ancora più importante in Libia. , invece, assurdo pensare che possa disimpegnarsi dal territorio, dopo un’operatività datata cinquant’anni. Per noi italiani, infatti, la Libia rappresenta una fonte di approvvigionamento energetico importantissimo e l’Eni, a partire dagli anni Sessanta, è stato player di rilievo in questo contesto. Per quanto concerne, poi, la Libyan Foreign Bank, la sua presenza in Ubae va indietro nel tempo. Qualche anno fa ha avuto l’opportunità di accrescere la sua partecipazione azionaria e l’ha fatto perché crede nelle possibilità offerte dall’Italia. Ora più che mai, grazie alla sottoscrizione dei recenti accordi. Una volta che l’Italia ha trovato una soluzione a quella vertenza ormai diventata trentennale, credo che tutto quello che è venuto dopo sia stato una logica conseguenza. Oggi l’Italia fuori da ogni dubbio è posizionata molto bene, è un partner preferenziale e si assiste ad un fiorire di iniziative imprenditoriali in Libia. Non si può che sperare che continui in tal senso.

D. L’Inghilterra è un esempio virtuoso di adattamento del contesto legislativo alle esigenze operative della finanza islamica. Crede che l’attuale struttura normativa e regolamentare italiana consenta un approccio all’inglese? In altre parole, il nostro quadro legislativo permette la costituzione di una banca Sharia compliant?

R. Ciò che si è fatto in Inghilterra, secondo me, è partire da una domanda molto semplice: abbiamo bisogno della finanza islamica? La risposta è stata sì, per due ordini di fattori: sociale ed economico. Guardando alle ragioni sociali, il 3% della popolazione è di fede islamica, percentuale a cui vanno aggiunti migliaia di visitatori islamici all’anno, tutti utenti che dovevano essere messi nelle condizioni di poter utilizzare una finanza che avesse rispetto dei loro principi religiosi. La seconda ragione è di natura economica. L’Inghilterra si è resa conto, prima di altri, che la finanza islamica stava diventando una componente di estrema importanza nei mercati finanziari mondiali. Grazie a questa intuizione oggi, a distanza di 5 anni, l’Inghilterra è vicina a superare il mercato di Dubai in termini di gestione e quotazione di strumenti finanziari sharia compliant.

L’Fsa, organo di vigilanza unico del sistema finanziario inglese che sovrintende alla trasparenza e garanzia del mercato così come sulle frodi e sul terrorismo, si è occupato di implementare questi strumenti e lo ha fatto partendo dall’assunto che la finanza islamica, tanto le banche che i prodotti, dovessero rispondere alle stesse esigenze della finanza convenzionale. Per quanto riguarda le banche queste esigenze sono: patrimonializzazione adeguata, liquidità sufficiente e una governance capace di controllare l’attività e perseguire una gestione prudente. Per quanto riguarda i prodotti, le esigenze rispondono essenzialmente a criteri di trasparenza e prudenza. Importante in tale ottica è, quindi, informare il cliente sul grado di rischiosità che presentano questi prodotti, quantificandolo.

L’Fsa ha, poi, creato un mercato in cui gli strumenti islamici non sono stati presentati con i loro nomi tradizionali arabi, come mubaraba o musharaka, ma come prodotti finanziari non convenzionali (non conventional financial products). L’Fsa si è, quindi, prodigato per trattare i prodotti islamici e le banche compliant all’islam allo stesso modo dei prodotti convenzionali. Non gli ha riservato una corsia preferenziale. In Italia lo potremmo fare? Secondo me sì, però ci vuole la volontà per farlo. In Italia avremmo certamente un bisogno di tipo sociale, data la numerosa presenza di immigrati di fede islamica. Non trascurabile, però, è la componente economica. E qui faccio l’esempio di una struttura tipica della finanza islamica, il mudaraba. Nel mudaraba c’è una parte che porta il capitale e un’altra parte che gestisce il capitale. Nella gestione del capitale è contemplata tutta una serie di attività, naturalmente sempre ed esclusivamente di tipo reale.

D. Ci fa un esempio?

R. Per spiegare come potrebbe concretizzarsi una tale operazione in Italia, potrei farle l’esempio della costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Il governo italiano potrebbe decidere di emettere dei sukuk, titoli rappresentativi del debito, sui mercati arabi per sollecitare una raccolta di fondi finalizzata alla produzione del ponte. L’utile per l’investitore potrebbe essere rappresentato dai pedaggi pagati per l’attraversamento del ponte. Se vuole, in una certa misura questo è il criterio alla base del finanziamento del tunnel della Manica, nel quale gli investitori hanno investito, confidando in un ritorno rappresentato, per l’appunto, dai pedaggi. Quindi, secondo me, lo spazio per un sistema bancario sharia compliant c’è; magari non dovremmo chiamarlo mudaraba. Sarebbe, poi, compito della Banca d’Italia e della Consob, che nel nostro paese svolgono le funzioni equivalenti a quelle dell’FSA, fornire le coordinate per contabilizzare queste operazioni e inquadrarle ai fini di Basilea 2. Questi sono gli elementi in gioco. Tutte cose fattibili. Serve solo la volontà di farle.

D. In Italia sono ancora poche le banche che hanno aperto le cd. Islamic windows, così com’è scarsa, rispetto ad altri paesi europei, la presenza di banche italiane nel mondo arabo. Crede che questo ritardo del Sistema bancario italiano possa ostacolare la penetrazione delle nostre aziende nei mercati arabi o disincentivare gli operatori arabi ad investire nel nostro paese?

R. Gli operatori arabi verrebbero di corsa ad investire in Italia anche perché sono tantissimi i settori sharia compliant. Moda, idrocarburi, opere infrastrutturali, opere navali: sono solo alcuni di questi. Il mercato italiano, però, non è ricettivo. Ha paura perché non conosce, perché ignora questi strumenti e questi investitori. E come sempre succede quando uno dei protagonisti ha paura, la prima cosa che viene da fare è di immobilizzarsi. Non fare nulla. E noi in Italia siamo stati immobili per lungo tempo. Fino a pochi anni fa non andavamo in un paese arabo per sviluppare un’attività bancaria aderente alle esigenze di quel paese. Noi andavamo e pretendevamo di fare una banca italiana. Questo è stato un errore macroscopico, che ci ha portato oggi ad avere una presenza pressoché nulla nei paesi del Nord Africa. Se invece guardiamo all’esempio francese o inglese, vediamo che si sono avvalsi delle strutture e dei professionisti locali. Ecco, questo noi italiani non siamo stati capaci di farlo ed è chiaro che abbiamo generato sospetto nella controparte araba.

D. Insomma, il tema è la fiducia?

R. Il punto è: se tu non vieni a casa mia perché non ti fidi di me, perché dovrei venire io a casa tua? Da qualche anno a questa parte, però, direi che ci sono dei movimenti interessanti. Basti pensare a Banca Intesa, che ha comprato Bank of Alessandria, o alla Libia che ha investito nell’UniCredit. Ci vorrebbe una maggiore cultura e noi dell’Ubae stiamo lavorando in tal senso. Abbiamo pubblicato diverse guide paese e contribuito a finanziare il libro «Banca e finanza islamica», pubblicato con Bancaria Editrice, che a breve sarà presentato al pubblico. Bisogna portare cultura nel tessuto economico italiano perché questo consente di non aver paura.

D. Parlando dell’Ubae: ci sono dei progetti di sviluppo degli strumenti finanziari islamici?

R. Ubae partecipa già con una certa frequenza ad operazioni sharia compliant. Non siamo noi ad emetterle perché non abbiamo la struttura idonea per farlo, però partecipiamo ad operazioni emesse da altri. Un esempio: abbiamo partecipato a un’operazione di murabaha nella quale era previsto il finanziamento dell’acquisto delle sementi e del concime per la coltura del cotone in Burkina Faso. Diciamo che ci teniamo in allenamento per essere operativi nel momento in cui gli organismi, le agenzie governative o para governative manderanno il segnale che sono intenzionati a sviluppare gli strumenti di finanza islamica. Due anni fa, per esempio, con l’Università Federico II di Napoli era al vaglio la promozione di un tavolo di studio che portasse alla redazione di un documento che avrebbe dovuto rappresentare un tracciato operativo per Banca d’Italia e Consob. Si è poi pensato che sarebbe stato meglio rinviare il discorso al momento in cui il documento sarebbe effettivamente potuto essere utilizzato. Banca Ubae è, quindi, disponibile ad intraprendere questo cammino e studiare assieme ad altre banche o controparti accademiche lo sviluppo degli strumenti finanziari islamici in Italia.