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 2009  novembre 03 Martedì calendario

Storia del crocefisso in aula

IL CROCIFISSO IN AULA NORMATIVA- 1. Regio decreto 30 aprile 1924, n. 965: "Ordinamento interno delle giunte e dei regi istituti di istruzione media". (Da "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" n. 148 del 25 giugno 1924) Preambolo Veduti i nostri decreti 3 febbraio 1901, n. 31; 21 giugno 1885, n. 3413, e 3 dicembre 1896, n. 592, con i quali furono rispettivamente approvati i regolamenti per i ginnasi e i licei, per le scuole tecniche e gli istituti tecnici e per le scuole complementari normali; Veduto il nostro decreto 6 maggio 1923, n. 1054, riguardante il nuovo ordinamento dell’istruzione media; Veduto il nostro decreto 14 ottobre 1923, n. 2345, che approva gli orari e i programmi d’esame per i regi istituti medi d’istruzione. (omissis) Art. 118. Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula, l’immagine del Crocifisso e il ritratto del Re. (omissis) 2. Circolare Ministero di Grazia e Giustizia - Div. III del 29/5/1926, n. 2134/1867, La restituzione del Crocifisso nelle Aule Giudiziarie Prescrivo che nelle aule di udienza, sopra il banco dei giudici e accanto all’effige di Sua Maestà il Re sia restituito il Crocefisso, secondo la nostra antica tradizione. Il simbolo venerato sia solenne ammonimento di verità e di giustizia. I Capi degli uffici giudiziari vorranno prendere accordi con le Amministrazioni comunali affinché quanto ho disposto sia eseguito con sollecitudine e con decoro di arte, quale si conviene all’altissima funzione della giustizia. 3. Regio Decreto 26 aprile 1928, n. 1297: "Regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare" (Da Supplemento ordinario alla "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana" n. 167 del 19 luglio 1928) Art. 1. E’ approvato il regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare, annesso al presente decreto e firmato, d’ordine Nostro, dal Ministro proponente. (omissis) Capo V - Arredamento scolastico. Art. 119.- Gli arredi, il materiale didattico delle varie classi e la dotazione della scuola sono indicati nella tabella C allegata al presente regolamento. (omissis) 2 TABELLA C (art. 119). Tabella degli arredi e del materiale occorrente nelle varie classi e dotazione della scuola. Prima classe. 1. Il Crocifisso. 2. Il ritratto di S. M. il Re. (omissis) Seconda classe. 1. Il Crocifisso. 2. Il ritratto di S. M. il Re. (omissis) Terza classe. 1. Il Crocifisso. 2. Il ritratto di S. M. il Re. (omissis) Quarta classe. 1) Il Crocifisso. 2) Il ritratto di S. M. il Re. (omissis) Quinta classe. 1) Il Crocifisso. 2) Il ritratto di S. M. il Re. (omissis) Classi integrative. Gli stessi arredi della classe 5ª. Materiali per i vari insegnamenti pre-professionali introdotti dal Comune nelle sue classi 6ª, 7ª, e 8ª, a norma dello speciale regolamento per le classi integrative. Dotazione comune per tutte le classi in consegna alla Direzione. 1) Bandiera d’Italia, che sarà fregiata dei premi riportati dalla scuola nelle gare. (Obbligatoria). 2) Uno strumento musicale (possibilmente un pianoforte o un armoniun) 3) Uno o più armadi per la conservazione delle carte murali varie. (Obbligatorii). 4) Museo didattico comune alle varie classi di una scuola o a tutte le classi della città. (Obbligatorio). 5) Macchina pre proiezione fisse o animate. 6) Apparecchio per audizioni musicali, con dotazione di dischi educativi. 7) Possibilmente: strumenti per la fanfara del ricreatorio festivo. 8) Biblioteca di pochi libri scieltissimi, con molte copie di ciascun libro. (Obbligatoria) 9) Distintivi della scuola, per gite scolastiche (bracciali o altro). 4. Legge 28 luglio 1967, n. 641: "Nuove norme per l’edilizia scolastica e universitaria e piano finanziario dell’intervento per il quinquennio 1967 - 1971". (da "Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana" n. 198 del 8 agosto 1967) (omissis) 3 Art. 30. Sussidi per l’arredamento di scuole elementari e medie La facoltà spettante al Ministero della pubblica istruzione, a norma degli articoli 119, 120, 121 del regolamento generale sui servizi delle scuole elementari, approvato con regio decreto 26 aprile 1928, n. 1297, è estesa per l’arredamento delle scuole medie. All’onere relativo si provvede con gli appositi stanziamenti iscritti nello stato di previsione della spesa del Ministero della pubblica istruzione per la fornitura di materiale di arredamento alle scuole rurali, nonchè per l’acquisto diretto e il concorso nelle spese sostenute dai Comuni, per l’arredamento delle scuole elementari. La corresponsione del sussidio è subordinata alla avvenuta esecuzione della fornitura cui esso si riferisce, da attestarsi dal provveditore agli studi. (omissis) 5. Ministero della Pubblica Istruzione, Circolare 19 ottobre 1967, n. 367/2527, Edilizia e arredamento di scuole dell’obbligo: legge 28 luglio 1967, n. 641: artt. 29 e 30, in Bollettino Ufficiale - Ministero della Pubblica Istruzione, parte prima - Anno 94°, n. 40-41. (omissis) Ai fini suddetti si precisa che l’arredamento di un’aula è cosi costituito: Scuole elementari: a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) tavolini e seggiole per gli alunni; d) tavolino e scrivania con due poltroncine per l’insegnante; (…) Scuole medie: 1) Aule normali: a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) tavolini e seggiole per gli alunni; d) tavolino o scrivania con due poltroncine per l’insegnante; (..) 2) Locali per le osservazioni ed elementi di scienze naturali, applicazioni tecniche ed educazione artistica: a) Crocifisso; b) ritratto del Presidente della Repubblica; c) banchi-cattedra per l’insegnante con due seggiole; d) banchi per gli alunni;(…)”. (omissis) 6. Ministero dell’istruzione dell’Università e della ricerca. Direttiva 3 ottobre 2002, prot. n. 2666. Il competente Dipartimento del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della ricerca provvederà ad impartire le occorrenti disposizioni perché: 1. sia assicurata da parte dei dirigenti scolastici l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche; 2. ogni istituzione scolastica, nell’ambito della propria autonomia e su delibera dei competenti organi collegiali, renda disponibile un apposito ambiente da riservare, fuori dagli obblighi ed orari di servizio, a momenti di raccoglimento e di meditazione dei componenti della comunità scolastica che lo desiderino. 7. Ministero dell’Istruzione. Nota 3 ottobre 2002, Prot. n. 2667. Oggetto: Esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche Come è noto alle SS.LL. le disposizioni che disciplinano l’esposizione del Crocifisso nelle aule delle scuole sano contenute nell’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924, n 965 recante disposizioni sull’ordinamento interno degli istituti di istruzione media, nell’art. 119 del R. D. 26 aprile 1928 n. 4 1297 e nella tabella C allo steso allegata (Regolamento generale sul servizi dell’istruzione elementare). Tali disposizioni prevedono in particolare che il Crocifisso fa parte dell’ordinario arredamento delle aule scolastiche e che spetta al capo d’istituto (art. 10, comma 3, e art. 119 del R D. 965/1924) assicurare la completezza e la buona conservazione di tutti gli arredi occorrenti. Va precisato che le citate incombenze a carico dei capi di istituto non sono state né abrogate né modificate dalle disposizioni del Testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297 e del decreto legislativo 6 marzo 1998, n. 59. Il Consiglio di Stato, con parere n. 63, reso in data 27 aprile 1988, nel precisare che "la Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta un simbolo dello civiltà e della cultura cristiana, della sua radice storica come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa" e che è opportuno tenere distinta la normativa riguardante l’affissione dell’immagine del Crocifisso da quella relativa all’insegnamento dello religione cattolica, ha confermato che dette norme sono ancora vigenti e non possono essere considerate abrogate dall’accordo intervenuto tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede nel 1984 (legge di ratifica 25 marzo 1985, n . 121) con il quale sono state apportate modificazioni al Concordato lateranense, dell’11 febbraio 1929, né dalla stessa Costituzione italiana entrata in vigore nel 1948. Sullo specifico tema si è espressa anche la Corte di Cassazione con sentenza 1 marzo 2000, n. 439, con riferimento a situazione non concernente la materia scolastica, ma relativo al rifiuto di assunzione dell’ufficio di scrutatore in presenza del Crocifisso in un’aula scolastica adibita a seggio elettorale. Per analogo caso, la stessa Corte di Cassazione, Sezione III, in data 13 ottobre 1998 aveva affermato che la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche non contrasta con la libertà religiosa sancita dalla Costituzione. Recentemente (in data 16 luglio 2002) l’Avvocatura dello Stato di Bologna, alla quale è stato richiesto parere in merito, ha ritenuto ancora attuale l’orientamento a suo tempo espresso dal Consiglio di Stato, concludendo che "le disposizioni che prevedono l’affissione del Crocifisso nelle aule scolastiche vanno ritenute ancora in vigore" e che "l’affissione del Crocifisso va ritenuta non 1esiva del principio di libertà religiosa". Sulla base di quanto sopra rappresentato, e tenuto conto della direttiva n. 2666 in pari data, le SS.LL. vorranno richiamare l’attenzione dei dirigenti scolastici sull’esigenza che sia data attuazione alle norme sopra menzionate attraverso l’adozione delle iniziative idonee ad assicurare la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche. Perché poi, nell’ambito di ciascuna istituzione scolastica siano resi possibili, nel rispetto delle diverse convinzioni e credenze, momenti di raccoglimento e di riflessione, le SS.LL nelle linee dell’autonomia scolastica e su delibera dei competenti organi collegiali vorranno opportunamente sensibilizzare i dirigenti scolastici a che valutino la possibilità di riservare appositi ambienti in funzione delle finalità sopra accennate. 8. Direttiva 3 ottobre 2002 Prot. n. 2666 Il competente Dipartimento del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della ricerca provvederà ad impartire le occorrenti disposizioni perché: 1. sia assicurata da parte dei dirigenti scolastici l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche; 2. ogni istituzione scolastica, nell’ambito della propria autonomia e su delibera dei competenti organi collegiali, renda disponibile un apposito ambiente da riservare, fuori dagli obblighi ed orari di servizio, a momenti di raccoglimento e di meditazione dei componenti della comunità scolastica che lo desiderino. 5 COME INTERPRETARE DETTA NORMATIVA? 1. Senato della Repubblica. XIV legislatura. VII Commissione Istruzione. Risposta orale del sottosegretario Valentina Aprea alle interrogazioni n. 3-00622, n. 3-00623 e n. 3-00627: "Esposizione del Crocefisso nelle aule scolastiche", 26 settembre 2002. Il sottosegretario Valentina APREA risponde congiuntamente alle interrogazioni n. 3-00622 del senatore Monticone, n. 3-00623 dei senatori Compagna ed altri, e n. 3-00627 dei senatori Tessitore ed altri e sull’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche. Al riguardo, chiarisce anzitutto l’episodio specifico richiamato nell’interrogazione n. 623 precisando, come peraltro già esposto alla Camera dei deputati lo scorso novembre in risposta ad una interrogazione di analogo tenore, che in quel caso la rimozione del Crocifisso dalla parete fu solo momentanea essendo stato poi riappeso al termine della lezione. Ella si sofferma quindi sulle norme, risalenti agli anni Venti, che prevedono l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, quale parte dell’ordinario arredamento la cui buona conservazione compete al capo d’istituto. Ricorda altresì il parere del Consiglio di Stato del 1988, con il quale fu ribadito che le norme sull’esposizione del Crocifisso sono ancora vigenti e non possono essere considerate abrogate dall’Accordo del 1984 di modifica del Concordato.Più di recente, rispettivamente nel 1999 e lo scorso luglio, anche la Corte di cassazione e l’Avvocatura dello Stato hanno confermato tale orientamento sostenendo che la presenza del Crocifisso nelle aule scolastiche non contrasta con la libertà religiosa. Il Sottosegretario ribadisce quindi che le disposizioni vigenti già prevedono la presenza del Crocifisso nelle scuole. In alcuni casi essa ha tuttavia dato luogo a contestazioni essendo stata interpretata come imposizione di una scelta di carattere confessionale, in contraddizione con la dimensione multiculturale e multietnica che si va affermando nelle classi. Ciò induce a non dare per scontata la comprensione del valore del Crocifisso come simbolo universale e a considerare come importante obiettivo di convivenza civile il formarsi in tutte le scuole della consapevolezza del rispetto della cultura e delle tradizioni del nostro Paese. Tale obiettivo il Governo intende fermamente perseguire ponendosi, in un contesto multiculturale multireligioso, a garante della tolleranza e della libertà religiosa in un ovvio quadro di reciprocità. 2. Camera dei deputati. Risoluzione in Commissione 8-00061 presentata da Ferdinando Adornato e approvata, 6 novembre 2003 La VII Commissione, premesso che: le leggi attualmente in vigore non hanno modificato l’articolo 118 del regio decreto 30 aprile 1924, n. 965, secondo il quale ogni aula deve avere l’immagine del crocifisso; la sentenza della Cassazione del 13 ottobre 1998 spiega che l’esposizione del crocifisso non viola la libertà religiosa perché ”rappresenta un simbolo della cultura cristiana come essenza universale, indipendente da una specifica confessione”; procedere alla rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche è un fatto di assoluta gravità che contrasta e offende la cultura e la sensibilità dì gran parte della popolazione italiana; il crocifisso non è unicamente il simbolo della religione fondamentale del nostro Paese e della tradizione del nostro popolo, ma è anche espressione profonda di cultura, di umanità e segno di 2000 anni di storia, di civiltà e di cultura, della quale si trova testimonianza in tutti i comuni d’Italia; il crocifisso oltre ad essere il simbolo della religione cristiana è l’emblema di valori quali la libertà dell’individuo e della persona, il rispetto di tutte le fedi religiose, la separazione tra ”Dio e Cesare” fondamento della laicità dello Stato che sono i valori che fondano l’identità dell’Italia, dell’Europa e 6 dell’intero Occidente; per quanto detto, non sussiste alcun nesso logico tra il venir meno della religione cattolica come religione di Stato e la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche; impegna il Governo: a evitare, per quanto di propria competenza, che si proceda con azioni lesive della sensibilità e della cultura condivisa da una grande maggioranza della popolazione italiana, come la rimozione del crocifisso; a promuovere, nel rispetto del principio costituzionale dell’autonomia scolastica, iniziative idonee a fare della scuola, luogo per eccellenza dei processi formativi, uno strumento teso al dialogo tra le esperienze culturali e religiose che faccia crescere il rispetto reciproco, la tolleranza, il riconoscimento dei comuni valori di base; a mettere in atto un’opera di sensibilizzazione utile a far comprendere a tutti per quali motivi il crocifisso rappresenta un simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità nazionale, europea e occidentale e, lontano dall’offendere il pluralismo culturale e religioso è ed è stato, al contrario, il più antico e forte simbolo di amore e di difesa della libertà di tutti; ad operare perché la libertà religiosa e il pluralismo culturale siano effettivamente garantiti anche laddove, nei Paesi con tradizioni diverse dalle nostre, essi fossero conculcati. (8-00061) ”Adornato, Palmieri, Garagnani, Bianchi Clerici, Butti, Ranieli, Baiamonte, Carlucci, Licastro Scardino, Maggi, Angela Napoli, Rositani, Buontempo, Santulli”. 7 GIURISPRUDENZA 1. Consiglio di Stato - Adunanza Sezione II. Parere 27 aprile 1988, n. 63. Parere Ministero della P.I. Insegnamento della religione cattolica ed esposizione dell’immagine del Crocifisso nelle aule scolastiche - Quesito. La Sezione Vista la relazione in data 20 gennaio 1988, prot. n. 253, con la quale il Ministero della P.I. - Direzione generale istruzione tecnica - previa autorizzazione del Ministro, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine al quesito indicato in oggetto; Esaminati gli atti ed udito il relatore; Premesso che: con il quesito di cui trattasi, l’Amministrazione, posto in evidenza il nuovo quadro normativo in base al quale viene impartito l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, chiede di conoscere se le disposizioni di cui all’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924, n. 965 e quelle di cui all’allegato C del R.D. 26 aprile 1928, n. 1297, concernenti la esposizione dell’immagine del Crocifisso nelle scuole, possano considerarsi tuttora vigenti oppure debbano ritenersi implicitamente abrogate, perché in contrasto con il nuovo assetto normativo della materia. Considerato: In fatto ed in diritto quanto rappresentato dalla Amministrazione. La Sezione ritiene, anzitutto, di dover evidenziare che il Crocifisso o, più semplicemente, la Croce, a parte il significato per i credenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa. In disparte da ciò, sembra alla Sezione che ai fini di un più razionale esame del quesito, sia opportuno tenere distinta la normativa riguardante l’affissione dell’immagine del Crocifisso nelle scuole da quella relativa all’insegnamento della religione cattolica. L’indagine deve mirare a stabilire, in buona sostanza, se, a parte l’indubbio significato storico-culturale cui si è prima accennato, le disposizioni citate in premessa le quali consentono l’esposizione dell’immagine del Crocifisso nelle scuole, siano tuttora vigenti oppure siano da ritenere implicitamente abrogate, perché in contrasto con il nuovo assetto normativo in materia, derivante dall’Accordo, con protocollo addizionale, intervenuto tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, con il quale sono state apportate modificazioni al Concordato Lateranense dell’11 febbraio 1929. A tale riguardo, devesi rilevare che le due norme citate, di natura regolamentare, sono preesistenti ai Patti Lateranensi e non si sono mai poste in contrasto con questi ultimi. Nulla, infatti, viene stabilito nei Patti Lateranensi relativamente all’esposizione del Crocifisso nelle scuole o, più in generale negli uffici pubblici, nelle aule dei tribunali e negli altri luoghi nei quali il Crocifisso o la Croce si trovano ad essere esposti. Conseguentemente, le modificazioni apportate al Concordato Lateranense, con l’accordo, ratificato e reso esecutivo con la Legge 25 marzo 1985, n. 121, non contemplando esse stesse in alcun modo la materia de qua, così come nel Concordato originario, non possono influenzare, né condizionare la vigenza delle norme regolamentari di cui trattasi. Non si è quindi, tuttora, verificata nei confronti delle medesime, alcuna delle condizioni previste dall’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale. In particolare, non appare ravvisabile un rapporto di incompatibilità con norme sopravvenute né può configurarsi una nuova disciplina dell’intera materia, già regolata dalle norme anteriori. 8 Occorre, poi, anche considerare che la Costituzione repubblicana, pur assicurando pari libertà a tutte le confessioni religiose non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici di un simbolo che, come quello del Crocifisso, per i principi che evoca e dei quali si è già detto, fa parte del patrimonio storico. Né pare, d’altra parte, che la presenza dell’immagine del Crocifisso nelle aule scolastiche possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale a manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa. Conclusivamente, quindi, poiché le disposizioni di cui all’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924, n. 965 e quelle di cui all’allegato C del R.D. 26 aprile 1928, n. 1297, concernenti l’esposizione del Crocifisso nelle scuole, non attengono all’insegnamento della religione cattolica, né costituiscono attuazione degli impegni assunti dallo Stato in sede concordataria, deve ritenersi che esse siano tuttora legittimamente operanti. P.Q.M. Nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione. 2. Cassazione. Quarta Sezione Penale. Sentenza 1 marzo 2000, n. 439. (Battisti; Bianchi) 1. - Marcello Montagnana veniva condannato dal pretore di Cuneo alla pena di lire 400.000 di multa per il reato di cui all’art.108 d.p.r. 30.3.1957, n. 361, perché, designato in occasione delle elezioni politiche del marzo 1994 all’ufficio di scrutatore del seggio elettorale n.71 presso l’ospedale S. Croce di Cuneo, all’atto dell’insediamento rifiutava di assumere l’ufficio senza giustificato motivo. Risultava, ed è peraltro incontroverso, che il Montagnana già prima dell’incarico aveva fatto presente con lettere indirizzate al comune di Cuneo e al presidente della Repubblica che egli avrebbe potuto svolgere le funzioni di scrutatore solo se fosse stato reso effettivo il rispetto della libertà di coscienza garantito dalla Costituzione a ciascun cittadino, e cioè se il ministero dell’interno avesse provveduto a rimuovere dai seggi elettorali, situati quasi tutti in sedi di istituzioni statali, simboli o immagini proprie di un’unica fede religiosa. A tali lettere non riceveva risposta, sicché, presentatosi all’ufficio elettorale al momento della costituzione, faceva inserire a verbale una dichiarazione con la quale ricordava di aver scritto le lettere sopra menzionate ed evidenziava che, pur constatando che nel seggio di sua competenza non era esposto il crocifisso, riteneva tale circostanza del tutto casuale e non motivata da un provvedimento della competente autorità che rimuovesse la situazione in tutto il paese, come necessario per risolvere una questione che egli aveva posto in via generale e non solo come espressione di intolleranza personale. Dichiarava che, pertanto, riteneva proprio dovere non accettare tale situazione, denunciandone l’incostituzionalità. Il pretore giudicava il motivo addotto dall’imputato non idoneo ad integrare una legittima facoltà riconosciutagli dall’ordinamento e quindi a giustificare il rifiuto opposto, ma, su impugnazione del Montagnana, la corte di appello di Torino assolveva l’imputato perché il fatto non sussiste, ravvisando invece una correlazione tra la sua condotta e l’invocato principio costituzionale della laicità dello Stato. Su ricorso del procuratore generale, tuttavia, questa corte annullava la sentenza con rinvio, così fissando il principio di diritto: "Il giusto motivo che consente di rifiutare l’esercizio del diritto di scrutatore nelle competizioni elettorali deve essere manifestazione di diritti o facoltà il cui esercizio determini un inevitabile conflitto tra la posizione individuale, legittima e costituzionalmente garantita in modo prioritario, e l’adempimento dell’incarico al cui contenuto sia collegato con vincolo di causalità immediata". 9 2. – Il giudice di rinvio confermava la sentenza di condanna del pretore di Cuneo. Osservava la corte torinese che la presenza nei seggi elettorali, situati in sedi di istituzioni statali, di un simbolo proprio di una fede religiosa non poteva ritenersi idonea a creare alcun conflitto tra la posizione del Montagnana di difesa della libertà dello Stato e della libertà di coscienza e gli specifici compiti cui egli era chiamato, ossia assicurare la regolare costituzione del seggio elettorale, l’assenza di turbative alle operazioni di voto, la regolarità dello spoglio ed in definitiva la corretta manifestazione della volontà popolare; la presenza di quel simbolo era del tutto indifferente rispetto al contenuto dell’ufficio imposto all’imputato, così come indifferente all’esercizio del diritto di difesa era la presenza del crocifisso nelle aule giudiziarie, parimenti contestato dall’imputato. Osservava ancora che lo stesso Montagnana aveva offerto una coerente spiegazione della sua condotta, quella cioè di voler ottenere una pronuncia giudiziale sulla legittimità delle norme che impongono l’esibizione del crocifisso nelle sedi statali, in tal modo strumentalizzando la nomina. Ricorre per cassazione l’imputato chiedendo l’annullamento della sentenza in quanto non applica correttamente il principio di diritto fissato dalla corte di cassazione. Deduce che la corte di appello, mentre correttamente ha ritenuto giustificato il motivo di rifiuto in quanto espressione del diritto a rivendicare il rispetto del principio di laicità dello Stato, erroneamente invece ha valutato il contenuto dell’incarico di scrutatore operando una confusione tra i compiti materialmente svolti dal medesimo (assicurare la regolare costituzione del seggio elettorale, l’assenza di turbative alle operazioni di voto e in definitiva la corretta manifestazione della volontà popolare) e il contenuto dell’ufficio, da individuarsi nell’attribuzione della veste di pubblico ufficiale. Dalla identificazione del contenuto dell’ufficio di scrutatore con il ruolo di pubblico ufficiale, rappresentante dello Stato nel corso delle operazioni elettorali, deriverebbe secondo il ricorrente un inevitabile conflitto con la coscienza di chi ritiene che sia stato violato il principio di laicità dello Stato: evidente, di conseguenza, la sussistenza di un vincolo eziologico tra il comportamento del prof. Montagnana, che ha inteso riaffermare la necessità che l’ordinamento garantisca in ogni sua manifestazione, e dunque anche nello svolgimento delle consultazioni elettorali, il rispetto del principio costituzionale della laicità dello Stato ed il rifiuto dal medesimo addotto di assumere l’ufficio stesso. Contraddittoria sarebbe, inoltre, la sentenza per aver riconosciuto l’esistenza dell’attenuante dell’aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale, escludendo invece la sussistenza del giustificato motivo di rifiuto. 3. - Il ricorso è fondato, giacché il giudice del rinvio non ha adempiuto all’obbligo di motivare la propria decisione secondo lo schema esplicitamente enunziato nella sentenza di annullamento, in tal modo svincolandosi dal compimento della particolare indagine ”in precedenza omessa- di determinante rilevanza ai fini della decisione. All’enunciazione del principio di diritto sopra riportato, infatti, questa corte faceva seguire l’indicazione degli accertamenti e delle considerazioni omessi: rispettivamente, "l’esistenza del vincolo eziologico tra il rifiuto addotto ed il contenuto dell’ufficio imposto" e "la specificità della situazione esistente nel seggio elettorale, nel quale non era presente alcun simbolo religioso". Fondamentale è il primo accertamento siccome determinante per stabilire il carattere diretto e immediato della causalità. Il contenuto dell’ufficio è stato individuato dalla corte nei compiti previsti dalla legge elettorale: la regolare costituzione del seggio elettorale, l’assenza di turbative alle operazioni di voto, la regolarità dello spoglio ed in definitiva la corretta manifestazione della volontà popolare. Così, tuttavia, essa riduce l’assunzione dell’ufficio, oggetto della previsione del reato contestato, all’espletamento dei compiti ad esso connessi, sui quali "non impingono" i principi richiamati dal ricorrente, che in nome di essi perciò semplicemente "strumentalizzava la nomina". Ma in realtà il contenuto dell’ufficio imposto consiste solo indirettamente, per conseguenza, nei compiti 10 o nelle prestazioni ad esso connessi, ma direttamente ed immediatamente nella funzione di pubblico ufficiale che con la nomina si viene ad assumere (art. 40 co. 3 d.p.r. 30.3.1957, n. 361). Una volta designato, infatti, lo scrutatore svolge una pubblica funzione, un’attività, cioè, che è diretta manifestazione di pubbliche potestà o ”in senso enfatico- dell’autorità dello Stato per la presenza dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell’art. 357 cod. proc. pen. novellato dalle leggi n. 86 del 1990 e n. 181 del 1992 (cfr. Cass. sez. un. 24/09/1998, n. 10086, ced 211190). Il contenuto dell’ufficio è, quindi, quello di formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati (Cass. sez. un. 27/03/1992, n. 7958, ced . 191173): e, quindi, innanzitutto la "inserzione nell’ufficio" (Cass. 5/5/1992, n. 5332, ced 189972). E’ in relazione a questo immediato contenuto dell’ufficio che va quindi valutata l’esistenza del rapporto di causalità immediata con il motivo del rifiuto: ed essa, se pur dubbia o non appariscente in relazione ai singoli compiti assegnati allo scrutatore, riemerge allora con immediatezza. Infatti, il ricorrente ha rifiutato di "svolgere la funzione di scrutatore", piuttosto che i compiti ad essa connessi, e cioè l’inserzione come pubblico ufficiale in una amministrazione, che, non provvedendo "affinché venga rimosso qualsiasi simbolo o immagine religiosa da tutti i seggi elettorali", non garantisce, contro il suo convincimento, "il rispetto della irrinunciabile libertà di coscienza garantita dalla Costituzione a ciascun cittadino" e del "supremo principio costituzionale della laicità dello Stato". 4. - L’immediatezza, e non la strumentalità, del rapporto tra il rifiuto motivato ed il contenuto dell’ufficio imposto emerge da altre due considerazioni. La prima riguarda il fatto che il Montagnana non aveva il potere di impedire previamente l’insorgenza del conflitto che ha dato luogo al rifiuto. Prima, invero, delle modificazioni introdotte dall’art. 9 della l. 30.4.1999, n. 120, gli artt. 1, 3, 4, 5-bis e 6 della l. 8.3.1989, n. 95, come modificati dalla l. 21.3.1990, n. 53, prevedevano che l’albo degli scrutatori ”all’interno del quale veniva sorteggiato il numero di nominativi pari a quello occorrente (art.6)- fosse formato a sua volta per sorteggio fra tutti gli iscritti nelle liste elettorali (art. 3) in un numero quattro volte superiore al numero complessivo di scrutatori da nominare nel comune (art.1). A differenza dell’attuale disciplina - secondo cui l’albo degli scrutatori è formato su base volontaria e comprende, quindi, solo i nominativi degli elettori che desiderano essere inseriti in esso e ne fanno apposita domanda (art. 1 e 3 l. cit., come mod. dall’art. 9 l. 120/99)- la legislazione vigente all’epoca del fatto in esame prevedeva un albo formato su base obbligatoria, collegata a due fatti indipendenti dalla volontà del soggetto: iscrizione nelle liste elettorali e sorteggio. Si trattava, pertanto, di un ufficio non volontario ma, come definito nella sentenza di annullamento con rinvio, "imposto". Di conseguenza, all’epoca del fatto eventuali situazioni di conflitto interiore tra i propri convincimenti ed il contenuto dell’ufficio imposto non potevano trovare né la soluzione radicale, implicita nell’attuale disciplina, della pura e semplice rinuncia alla domanda né quella, comunque anticipata, della rinuncia, una volta sorteggiato il proprio nominativo, all’iscrizione nell’albo: la rinuncia, infatti, era un atto non potestativo ma condizionato alla ricorrenza di "gravi, giustificati e comprovati motivi" (art. 3 cpv. l. cit.), la cui attualità andava evidentemente valutata rispetto al momento della formazione dell’albo e non a quello, futuro ed incerto, della nomina. Con riferimento a questo momento, perciò, la legislazione all’epoca vigente non offriva allo scrutatore sorteggiato e nominato altro rimedio di soluzione del conflitto che quello del rifiuto motivato dell’ufficio: posizione che il Montagnana assumeva ed esponeva con immediatezza dopo la comunicazione della nomina, come risulta dalla narrativa in fatto della sentenza impugnata. 5. – La seconda considerazione, che fa cogliere l’immediatezza del rapporto tra motivo del rifiuto e contenuto dell’ufficio imposto, scaturisce dalla portata dell’invocato principio di laicità dello Stato, che 11 con quel contenuto ha in comune la nota dell’imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.), in funzione della quale va organizzato l’ufficio elettorale, in cui lo scrutatore è inserito, in particolare per garantire sotto i molteplici aspetti formali previsti dalla legge la libera espressione del voto. Il principio indicato implica un "regime di pluralismo confessionale e culturale" (corte cost. 12.4.1989, n. 203) e presuppone, quindi, innanzitutto l’esistenza di una pluralità di sistemi di senso o di valore, di scelte personali riferibili allo spirito o al pensiero, che sono dotati di pari dignità e, si potrebbe dire, nobiltà. Ne consegue una pari tutela della libertà di religione e di quella di convinzione, comunque orientata: infatti, anche "la libertà di manifestazione dei propri convincimenti morali o filosofici" è garantita in connessione con la tutela della "sfera intima della coscienza individuale" (corte cost. 19.12.1991, n. 467), conformemente all’interpretazione dell’art. 19 Cost. (che tutela la libertà di religione, non solo positiva ma ”come riconosciuto dalla corte fin dalla sentenza 10.10.1979, n. 117, e ribadito con quella 8.10.1996, n. 334- anche negativa: vale a dire, anche la professione di ateismo o di agnosticismo) e all’art. 9 della convenzione europea dei diritti dell’uomo, resa esecutiva con l. 4.8.1955, n. 848 (che tutela la libertà di manifestare "la propria religione o il proprio credo"). Il detto principio, inoltre, si pone come condizione e limite del pluralismo, nel senso di garantire che il luogo pubblico deputato al conflitto tra i sistemi indicati sia neutrale e tale permanga nel tempo: impedendo, cioè, che il sistema contingentemente affermatosi getti le basi per escludere definitivamente gli altri sistemi. Infatti, il concetto di laicità affermato con la sentenza 203/89 cit. non coincide con quello classico ed autorevolmente sostenuto in dottrina della irrilevanza, e quindi indifferenza, dello Stato ma, all’opposto, "implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale". Si tratta in questo senso di una laicità positiva o attiva, intesa come compito dello Stato di svolgere interventi per rimuovere ostacoli ed impedimenti (art. 3 cpv. Cost.) in modo da "uniformarsi" (corte cost. 27.4.1993, n. 195) a "quella distinzione tra "ordini" distinti, che caratterizza nell’essenziale il fondamentale o "supremo" principio costituzionale di laicità o non confessionalità dello Stato" (corte cost. 8.10.1996, n. 334). Così, per esempio, l’eliminazione, operata da quest’ultima sentenza come dalla precedente 5.5.1995, n. 149, dalla formula del giuramento di ogni riferimento alla divinità, sul presupposto che "la religione e gli obblighi morali che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato", neutralizza l’efficacia civile, cioè il valore pubblico e strumentale ai fini dello Stato, del fattore religioso: non esclude dalla sfera pubblica gli atti di valenza religiosa e non modifica, quindi, né riduce il tasso di pluralismo, ma all’opposto va "nel senso di un ordinamento pluralista che, riconoscendo la diversità delle posizioni di coscienza, non fissa il quadro dei valori di riferimento e quindi né attribuisce né esclude connotazioni religiose al giuramento ch’esso chiama a prestare". 6. - La rimozione del simbolo religioso del crocifisso da ogni seggio elettorale, che è la condizione a cui l’odierno ricorrente aveva subordinato l’espletamento della funzione di scrutatore = pubblico ufficiale imparziale, si muove lungo questo solco tracciato dalla giurisprudenza costituzionale in termini di laicità e pluralismo, reciprocamente implicantisi. Invero, il "ritorno" con l’avvento del fascismo del crocifisso nelle aule delle scuole elementari (circ. min. p.i. 22.11.1922) e poi di ogni ordine e grado (circ. min. p.i. 26.5.1926), nonché negli uffici pubblici in genere (o.m. 11.11.1923, n. 250) e nelle aule giudiziarie (circ. min. g. g. 29.5.1926, n. 2134/1867), è comunemente indicato nella dottrina storica e giuridica come uno dei sintomi più evidenti del neoconfessionismo statale: tanto emerge, per esempio, dalla circ. 26.5.1926 cit., secondo cui si tratta di fare in modo che "il simbolo della nostra religione, sacro alla fede e al sentimento nazionale, ammonisca ed ispiri la gioventù studiosa, che nelle università e negli studi superiori tempra l’ingegno e l’animo agli alti compiti cui è destinata". 12 Diametralmente opposta, com’è evidente, la laicità come "profilo della forma di stato delineata nella carta costituzionale della Repubblica" (corte cost. 203/89 cit.). In particolare, l’imparzialità della funzione di pubblico ufficiale è strettamente correlata alla neutralità (altro aspetto della laicità, evocato sempre in materia religiosa da corte cost. 15.7.1997, n. 235) dei luoghi deputati alla formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali, che non sopporta esclusivismi e condizionamenti sia pure indirettamente indotti dal carattere evocativo, cioè rappresentativo del contenuto di fede, che ogni immagine religiosa simboleggia. Anche per tal via, quindi, si conferma l’immediatezza del rapporto tra motivo del rifiuto e contenuto dell’ufficio imposto. Ma se ne ricava pure - va osservato anche al fine di valutare la serietà e la responsabilità della posizione del ricorrente - l’attuabilità della condizione da lui posta, non impossibile in quanto non estranea agli ordinari poteri della pubblica amministrazione perché richiedente, per esempio, solo un intervento legislativo. Come risulta dalle citazioni, infatti, il crocifisso è ricompreso tra gli arredi delle aule e degli uffici da una serie di circolari ministeriali, destinate alle autorità subordinate, la cui modificazione rientra pienamente nel potere dell’amministrazione pubblica. 7. – Invero, la "mancanza di un espresso fondamento normativo" risulta riconosciuta in via amministrativa nella nota del ministero dell’interno 5.10.1984, n. 5160/M/1, in risposta ad un quesito posto dal ministero della giustizia (prot. 612/14.4 del 29.5.1984) sul mantenimento del crocifisso nelle aule giudiziarie. Vero è che, ciononostante, quell’amministrazione ritenne "tuttora valide" le motivazioni delle circolari citate alla stregua dell’art. 9 degli accordi di modificazione dei patti lateranensi, ratificati con legge 25.3.1985, n.121, secondo cui "i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano" e tenuto conto che il crocifisso è "il simbolo di questa nostra civiltà", "il segno della nostra cultura umanistica e della nostra coscienza etica". Ma si tratta di motivazioni prive di fondamento positivo e divenute, comunque, insostenibili alla luce della successiva giurisprudenza costituzionale. Infatti, il riconoscimento contenuto nell’art. 9 l. cit. è privo di valenza generale perché non è un principio fondamentale dei nuovi accordi di revisione ma è funzionale solo all’assicurazione dell’insegnamento di religione cattolica nelle scuole pubbliche: peraltro, non obbligatorio ma pienamente facoltativo, limitato cioè agli alunni che dichiarino espressamente di volersene avvalere, senza che agli altri possa farsi carico di un onere alternativo (infatti, gli alunni possono anche non presentarsi o allontanarsi dalla scuola: corte cost. 14.1.1991, n. 13). Esso, quindi, non vale ad autorizzare l’amministrazione pubblica ad emanare norme interne dal contenuto più disparato ed in particolare sull’affissione del crocifisso nelle aule, per giunta non a richiesta delle persone che le frequentano (come nel caso dell’istruzione religiosa) ma obbligatoriamente. Neppure è sostenibile la giustificazione collegata al valore simbolico di un’intera civiltà o della coscienza etica collettiva e, quindi, secondo un successivo parere del consiglio di stato 27.4.1988, n. 63, "universale, indipendente da una specifica confessione religiosa". In altro ordinamento dell’unione europea s’è ritenuto, viceversa, una sorta di "profanazione della croce" non considerare questo simbolo in collegamento con uno specifico credo (così BundesVerfassungsGericht, 16 maggio 1995, che ha dichiarato costituzionalmente illegittima l’affissione obbligatoria del crocifisso nelle aule scolastiche della Baviera per la conseguente influenza sugli alunni obbligati a partecipare alle lezioni confrontandosi di continuo con siffatto simbolo religioso). Ma anche nel nostro ordinamento la giustificazione indicata urta contro il chiaro divieto posto in questa materia dall’art. 3 cost., come ha recentemente ricordato corte cost. 14.11.1997, n. 329, laddove ha sottolineato – con un’affermazione tale da assumere la portata di un orientamento generale, al di là della specifica questione dell’art. 404 c.p. ivi scrutinata- come "il richiamo alla cosiddetta coscienza sociale, se può valere come argomento di apprezzamento delle scelte del legislatore sotto il profilo della loro ragionevolezza, è viceversa vietato laddove la Costituzione, nell’art. 3, 1° comma, stabilisce 13 espressamente il divieto di discipline differenziate in base a determinati elementi distintivi, tra i quali sta per l’appunto la religione". E, nella specie, si differenzia appunto in base alla religione nel momento in cui si dispone l’esposizione del solo crocifisso. D’altro canto, la motivazione del consiglio di stato, siccome fondamentalmente basata sul non contrasto tra il principio di uguale libertà delle confessioni religiose e l’esposizione del simbolo indicato, è testualmente mutuata, con gli aggiustamenti richiesti dal caso, da corte cost. 28.11.1957, n. 125, riguardante la diversa tutela penale stabilita dall’art. 404 c.p. Ma quella posizione, che attribuiva alla religione cattolica un valore politico ”simbolo della "civiltà e della cultura cristiana", come ripete il consiglio di stato -, già ridimensionata da corte cost. 28.7.1988, n. 925, è stata espressamente superata da corte cost. 329/97 cit., che ha evidenziato come la visione, strumentale alle finalità dello stato, della religione cattolica come "religione dello Stato" "stava alla base delle numerose norme che, anche al di là dei contenuti e degli obblighi concordatari, dettavano discipline di favore a tutela della religione cattolica, rispetto alla disciplina prevista per le altre confessioni religiose, ammesse nello Stato": che è all’evidenza il caso anche delle norme sull’esposizione dell’immagine del crocifisso. Va per completezza rilevato che accanto alle norme interne dettate con le ricordate circolari se ne rinvengono altre di natura regolamentare, contenute nell’art. 118 r.d. 30.4.1924, n. 965, e nell’All. c) r.d.26.4.1928, n. 1297, e ritenute da cons. stato cit. non incise dagli accordi di modificazione dei patti lateranensi, siccome precedenti quei patti. Tali norme secondarie riguardano solo le scuole elementare e media e si connettono all’art. 140 r.d. 15.9.1860, n. 4336, contenente il regolamento per l’istruzione elementare di attuazione della l. 13.11.1859, n. 3725 (cosiddetta legge Casati), che prescriveva appunto il crocifisso tra gli arredi delle aule scolastiche. Esse, quindi, non diversamente da quella legge, trovano fondamento nel principio della religione cattolica come sola religione dello stato, contenuto nell’art. 1 dello statuto albertino: principio che proprio il punto 1 del protocollo addizionale degli accordi di revisione del 1984 considera espressamente ”se pur ve ne fosse stato bisogno dopo l’entrata in vigore della Costituzione- non più in vigore, con conseguenti ricadute implicite sulla normativa secondaria derivata. Il rapporto di incompatibilità ”nel detto parere sbrigativamente ritenuto insussistente- con i sopravvenuti Accordi del 1984, rilevante per l’abrogazione ai sensi dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, si pone, quindi, direttamente non con quelle norme regolamentari bensì con il loro fondamento legislativo: l’art. 1 dello statuto albertino espressamente dichiarato non più in vigore "di comune intesa" (preambolo del prot. add.) con la Santa Sede. Va pure aggiunto che, peraltro, quelle norme, in quanto non prevedono una rimozione del simbolo religioso ogni volta che l’aula venga messa a disposizione dell’amministrazione dell’interno per lo svolgimento delle operazioni elettorali, si pongono ”non diversamente da quelle interne- in contrasto con lo spirito garantistico ed imparziale della superiore legislazione elettorale: la quale si preoccupa di impedire forme simboliche di comunicazione iconografica, non ammettendo per esempio "la presentazione di contrassegni riproducenti immagini o soggetti religiosi" (art. 14 u. co. d.p.r. 361/57 e succ. mod.). Sta di fatto, tuttavia, che la condizione apposta dal ricorrente non si è verificata e che egli ne ha tratto motivo, al momento dell’assunzione dell’ufficio, per non ritenere garantito il principio di laicità dello stato e quindi ”con un rapporto tra causa ed effetto- di imparzialità della propria funzione di scrutatore, inducendolo ad un’azione di rifiuto adeguata a tali principi costituzionali. 8. - Il secondo punto rimesso dalla sentenza di annullamento alla considerazione del giudice di rinvio riguardava la specificità della situazione esistente nel seggio elettorale di destinazione del Montagnana, nel quale non era presente alcun simbolo religioso. Esso non è oggetto di specifica considerazione della Corte torinese, che si limita ad invocarlo 14 incidentalmente a sostegno della tesi, sopra confutata, della "indifferenza della presenza di quel simbolo rispetto al contenuto dell’ufficio imposto all’imputato". La valutazione è, comunque, erronea non solo per i motivi sopra sviluppati ma anche per l’implicita esclusione della giustificatezza del motivo del rifiuto pure in assenza del simbolo religioso nel seggio di destinazione. Si rileva in proposito dalla sentenza impugnata che il motivo addotto dal ricorrente riguarda, insieme al rispetto della laicità, la "libertà religiosa e di coscienza", cui egli immediatamente dopo la comunicazione della nomina aveva scritto nella lettera al Presidente della Repubblica di "non intendere rinunciare". Fin dall’inizio, quindi, e non solo al momento dell’immissione nell’ufficio, era stato denunciato il rischio ”non circoscritto allo specifico seggio di designazione ma riferito all’intera organizzazione elettorale in relazione alla dotazione obbligatoria di arredi dei locali, comprendente il crocifisso- di un grave turbamento di coscienza a causa del conflitto interiore tra il dovere civile di svolgere un ufficio pubblico e il dovere morale di osservare un dettame della propria coscienza sulla necessaria garanzia di laicità e di imparzialità di quell’ufficio (secondo una dinamica analoga a quella analizzata per esempio da corte cost. 149/95 cit.). Ora la libertà di coscienza, prospettata per dir così a tutto tondo, non è divisibile in modo da ritenerla esercitabile solo se riguardi il seggio di destinazione dell’agente come scrutatore e non la totalità dei seggi e cioè l’intera amministrazione (sarebbe come se la "obiezione di coscienza" al servizio militare per opposizione all’uso delle armi ex art. 1 l. 8.7.1998, n. 230 non fosse esercitabile da parte del cittadino destinato a compiti meramente amministrativi). Ogni violazione del principio di laicità nel modo indicato in qualsivoglia seggio elettorale costituito non può non essere avvertita da una coscienza informata a quel principio come violazione di quel bene nella sua interezza, indipendentemente dal luogo in cui si verifichi, cosicché non è possibile attribuire rilevanza al fatto che casualmente la violazione non si verifichi nel seggio di destinazione. La libertà di coscienza, infatti, è un "bene costituzionalmente rilevante" (sent. 18.7.1989, n. 409) e quindi "dev’essere protetta in misura proporzionata alla priorità assoluta e al carattere fondante ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana" (sent. 5.5.1995, n. 149, che richiama la n. 467 del 19.12.1991), al punto che la stessa libertà religiosa ne diventa una particolare declinazione: "libertà di coscienza in relazione all’esperienza religiosa" (sent. 334/96 cit.). Ne consegue che questa libertà, nel "pluralismo dei valori di coscienza susseguente alla garanzia costituzionale delle libertà fondamentali della persona" (sent. 3.12.1993, n. 422), va tutelata nella massima estensione compatibile con altri beni costituzionalmente rilevanti e di analogo carattere fondante, come si ricava dalle declaratorie di illegittimità costituzionale delle formule del giuramento, operate dall’alta corte alla luce di quel parametro. 9. - Ma nel caso non si pongono problemi a livello costituzionale giacché il bilanciamento degli interessi è già assicurato nella previsione penale dalla clausola del giustificato motivo, la cui nozione, ricorrente anche in altre leggi speciali, è più ampia delle generali cause di giustificazione: non coincide, per esempio, con lo stato di necessità (Cass. 20.4.1988, ced 178777) e si estende alle "valide ragioni" (inerenti alla diversa e specifica destinazione delle armi improprie: Cass. 5.12.1984, ced 166960), pur se putative (1.7.1989, ced 181694). In sostanza si tratta di una nozione che non è fornita dal legislatore ed è dunque affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e che il giudice deve pertanto determinare di volta in volta con riguardo alla liceità - sotto il profilo etico e sociale - del motivo che determina direttamente il soggetto ad un certo atto o comportamento (così, con riferimento alla nozione di giusta causa, alla cui assenza secondo l’art. 616 secondo comma cod. pen. consegue la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, Cass. 10/07/1997, n. 8838, ced 208613). Nella specie non è dubitabile la liceità – ed anzi, come ricordato dall’imputato, il particolare valore morale e sociale, riconosciutogli con l’attenuante di cui all’art. 62 n. 1 c.p - del motivo da lui addotto: 15 vale a dire il rispetto del principio di laicità e della libertà di coscienza, che ha direttamente determinato il rifiuto e che, rendendolo non contraddittorio con i valori costituzionali, ne esclude perciò l’antigiuridicità. Un’interpretazione realistica, che collochi il "giustificato motivo" nel contesto di azione e comunicazione determinato dalla carta costituzionale, svolge una funzione adeguatrice all’eliminazione della rilevanza preminente ed esclusiva per l’addietro assegnata ai simboli della religione cattolica, in quanto strumentalmente assunta come religione dello stato. Invero, nella motivazione della sentenza 440/95 cit., in forza della quale la bestemmia contro i "simboli e le persone venerati nella religione dello Stato", tra cui il crocifisso, non è più preveduto dalla legge come reato, la corte costituzionale indica l’obiettivo di una tutela non discriminatoria ma pluralistica di "tutte le religioni che caratterizzano oggi la nostra comunità nazionale, nella quale hanno da convivere fedi, culture e tradizioni diverse": pluralismo garantito dal supremo principio di laicità dello stato, che induce a preservare lo spazio "pubblico" della formazione e della decisione dalla presenza, e quindi dal messaggio sia pure a livello subliminale, di immagini simboliche di una sola religione (come, in generale, di una sola delle altre condizioni non discriminabili, di cui all’art. 3 Cost.), ad esclusione delle altre. Costituisce, pertanto, giustificato motivo di rifiuto dell’ufficio di presidente, scrutatore o segretario ” ove non sia stato l’agente a domandare di essere ad esso designato - la manifestazione della libertà di coscienza, il cui esercizio determini un conflitto tra la personale adesione al principio supremo di laicità dello Stato e l’adempimento dell’incarico a causa dell’organizzazione elettorale in relazione alla presenza nella dotazione obbligatoria di arredi dei locali destinati a seggi elettorali, pur se casualmente non di quello di specifica designazione, del crocifisso o di altre immagini religiose. Il fatto, pertanto, non costituisce reato e la sentenza va annullata senza rinvio. PQM La corte di cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. (omissis) 3. Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Roma, Sezione I ter, Sentenza 22 maggio 2002 n. 4558: "Inammissibilità del ricorso proposto dalla Unione degli atei e degli agnostici razionalisti tendente ad ottenere la rimozione dei crocifissi dai seggi elettorali prima dell’inizio delle operazioni di voto". (Tosti; Riggio) REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione I ter ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso n. 2569/2002 Reg. Gen., proposto dalla Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (UAAR), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello De Cesaris, nel cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Mangili n. 32/A; contro il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui è elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 16 per l’annullamento del silenzio-rifiuto formatosi sulla diffida, notificata il 10-12-2001, intesa ad ottenere che il Ministero dell’Interno emani le necessarie disposizioni affinché sia esclusa l’esposizione di crocifissi e simboli religiosi dai seggi elettorali prima dell’inizio delle operazioni di voto; VISTO il ricorso con i relativi allegati; VISTO l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno; VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettivew difese; VISTI tutti gli atti della causa; Nominato relatore per la Camera di Consiglio del 18 aprile 2002 il Consigliere Italo Riggio; Uditi l’avv. De Cesaris per la ricorrente e l’avv. dello Stato Sabelli per l’Amministrazione resistente. VISTO l’art. 21 bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dall’art. 2 della legge 21 luglio 2000, n. 205. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: FATTO E DIRITTO La ricorrente UAAR con lettera del 15 dicembre 2000 ha chiesto al Ministro dell’Interno di emanare idonee disposizioni affinchè sia vietata l’esposizione di crocifissi e simboli religiosi nei seggi elettorali prima dell’inizio delle operazioni di voto In relazione alla predetta istanza il Segretario particolare del Ministro ha inviato con nota del 27 gennaio 2001 un breve appunto dei competenti uffici secondo cui, essendo tuttora valida la normativa adottata negli anni dal 1924 al 1928, non sussiste l’obbligo per la pubblica amministrazione di rimuovere dai seggi elettorali i simboli religiosi in argomento. Ritenendo che la semplice trasmissione di un appunto non costituisca una vera e propria risposta, l’UAAR ha reiterato la richiesta il 7 febbraio 2001 e di fronte al comportamento inerte della amministrazione ha notificato formale diffida in data 10 dicembre 2001 ai fini della formazione del silenzio-rifiuto, che costituisce oggetto della presente impugnativa. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, che ha depositato documenti ed una memoria con la quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto vari profili e la sua infondatezza nel merito. Anche la ricorrente ha prodotto una memoria, replicando alle avverse obiezioni difensive ed insistendo per l’accoglimento del gravame. In proposito osserva il Collegio che il ricorso appare inammissibile, in quanto nella specie non è ravvisabile alcun comportamento inerte dell’amministrazione sanzionabile in sede giurisdizionale. Occorre invero considerare che la prima richiesta avanzata dall’UAAR ha trovato esauriente riscontro nella lettera del Segretario particolare del Ministro dell’Interno, il quale nel trasmettere l’appunto predisposto dai competenti uffici, secondo cui nella materia ”de qua” non si rende possibile adottare alcun provvedimento nei sensi auspicati dalla ricorrente, ha inteso farne proprio il contenuto e manifestare in tal modo l’orientamento negativo dell’amministrazione. Pertanto, la procedura attivata per la formazione del silenzio-rifiuto non è in grado di produrre alcun effetto, essendo carente del suo presupposto essenziale costituito dall’inerzia dell’autorità amministrativa. La ricorrente Unione obietta sul punto che la lettera del 27 gennaio 2001 non costituirebbe un vero e proprio provvedimento amministrativo sia perché il Segretario particolare del Ministro non è organo competente ad esprimere la volontà dell’amministrazione, sia perché il parere inviato, nel dichiarare che la materia non è regolata specificamente dalla legge, lascia spazio ad un ampio potere discrezionale da parte del Ministero sul cui esercizio la nota di accompagnamento in effetti nulla dice. La tesi non è da condividere. In ordine all’aspetto soggettivo è sufficiente rilevare che il firmatario della lettera ha chiarito di aver risposto ”…per incarico del Signor Ministro…”, e non in nome proprio, sicchè l’eventuale difetto di delega ovvero l’incompetenza dello stesso soggetto ad esprimersi sulla richiesta dell’UAAR avrebbero dovuto essere fatte valere attraverso l’impugnativa della lettera in questione, verso cui la ricorrente non si è invece gravato. Per quanto attiene agli aspetti contenutistici, va sottolineato che nell’appunto in questione si chiarisce, anche con richiami a pronunce giurisprudenziali, che le leggi vigenti e la Costituzione non prevedono 17 alcun divieto di esposizione del crocifisso e di oggetti sacri nei seggi elettorali e negli uffici pubblici in genere, con ciò lasciando intendere che il Ministero non è tenuto ad adottare particolari disposizioni per la rimozione di tali oggetti. In conclusione sull’appunto si afferma che, secondo i principi stabiliti dalla Costituzione in tema di liberta’ religiosa, come interpretati dalla Corte costituzionale ”non sussiste un obbligo né un divieto circa l’esposizione delc crocifisso negli uffici pubblici in genere”. Alla stregua delle suesposte osservazioni non può negarsi carattere provvedimentale alla lettera sopra indicata, laddove ha inteso recepire l’avviso sfavorevole dei competenti uffici ministeriali nei confronti della richiesta inviata dalla ricorrente UAAR. Il ricorso deve essere dichiarato quindi inammissibile. Sussistono, comunque, giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del giudizio. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I ter, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe. (omissis) 4. Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III Bis Sentenza 23 luglio 2003, n. 8128 Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. III bis, composto dai signori Magistrati: Luigi COSSU Presidente Eduardo PUGLIESE Consigliere Vito CARELLA Consigliere ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A sul ricorso n. 6621 del 2003 proposto da UNIONE MUSULMANI D’ITALIA con sede in Palestrina (RM), in persona del presidente e legale rappresentante Adel Smith, rappresentata e difesa dall’avv. Nicola Recchia, presso il quale domicilia, in Rieti, Via delle Ortensie n. 36; C O N T R O • il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca; • il Ministero della Salute; • il Ministero dell’Interno, in persona dei rispettivi Ministri p.t., rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale domicilia, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12; AVVERSO il silenzio dei predetti Ministeri a seguito degli atti di diffida tutti datati 3 marzo 2003 ad assi notificati in data 4 e 5 marzo 2003. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate; Vista la memoria prodotta dalle parti resistenti a sostegno delle loro difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla Camera di Consiglio del 23 luglio 2003 il relatore Consigliere Eduardo Pugliese e uditi altresì l’avv. Nicola Recchia per la ricorrente e l’avv. dello Stato Agnese Soldani per le amministrazioni resistenti. 18 Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con ricorso notificato alle Amministrazioni in epigrafe indicate il 30 maggio 2003, e depositato nei termini, la ricorrente Unione Musulmani d’Italia chiede a questo Tribunale che voglia ”annullare il silenzio del Ministero dell’Università e Ricerca, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Interno alle diffide loro inoltrate e sopra meglio specificate (notificate il 4 e 5 marzo 2003) nonché ordinare al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, al Ministero della Salute ed al Ministero dell’Interno di provvedere sugli atti di diffida loro rispettivamente notificati entro il termine di cui all’art. 21 bis L. 1034/1971”. Con tali atti i Ministeri appena indicati sono stati diffidati ed invitati a rimuovere dai locali di rispettiva competenza quel particolare tipo di simbolo religioso costituito dal crocifisso. Lamenta in particolare la ricorrente il fatto che pur essendo la chiesta attività da parte di dette P.A. ’doverosa in ragione delle motivazioni tutte compiutamente esposte negli atti di diffida ai quali, tuttavia, non è stato dato seguito alcuno” ”i Ministeri prima detti sono rimasti del tutto inerti in tal modo ponendo in essere una palese violazione di legge per tramite del loro comportamento del tutto omissivo”. Si costituiva in giudizio, in nome e per conto delle Amministrazioni intimate, l’Avvocatura generale dello Stato che, con memoria del 19 luglio 2003, chiedeva la reiezione dell’interposto gravame ed eccepiva, preliminarmente, l’inammissibilità del ricorso per carenza dei presupposti di formazione del silenzio rifiuto. Alla Camera di Consiglio odierna la causa veniva spedita in decisione. D I R I T T O Con il ricorso in epigrafe indicato la ricorrente Unione Musulmani d’Italia impugna il silenzio rifiuto che si sarebbe formato su propri atti di diffida – tutti datati 3 marzo 2003, notificati ai Ministeri dell’Istruzione, Università e Ricerca, della Salute e dell’Interno, rispettivamente in data 4 marzo, 5 marzo e 4 marzo 2003 – perché ciascun Ministero provvedesse ”ad adottare nei termini di legge ogni atto e provvedimento necessario ed idoneo ad assicurare la rimozione da tutti i locali pubblici ricompresi negli uffici di competenza dei crocifissi ivi esposti”. Il ricorso è inammissibile, essendo fondata ed assorbente l’eccezione in proposito sollevata in memoria dall’Avvocatura generale dello Stato relativa a ”carenza dei presupposti di formazione del silenzio rifiuto”. E’ giurisprudenza ormai univoca e costante nel tempo, dei TT.AA.RR. e del Consiglio di Stato, quella secondo cui il procedimento di formazione del silenzio rifiuto è regolamentato dall’art. 25 del T.U. delle disposizioni sugli impiegati civili dello Stato, approvato con DPR 10 gennaio 1957 n. 3. Detto articolo, dopo aver previsto, al primo comma, che ”l’omissione di atti e di operazioni, al cui compimento l’impiegato sia tenuto per legge o per regolamento, deve esser fatta constare da chi vi ha interesse mediante diffida notificata all’impiego e all’amministrazione a mezzo di ufficiale giudiziario”, stabilisce, in particolare, al comma successivo, che ”quando si tratti di atti o di operazioni da compiersi ad istanza dell’interessato, la diffida è inefficace se non siano trascorsi sessanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza stessa”. Ciò posto, è agevole osservare come nel caso specifico, in cui si versa indubbiamente