Riccardo Chiaberge, Il Sole 24 Ore, 1/11/2009, 1 novembre 2009
IL RICATTO IN UNA STANZA
Quando ti atterra sul tavolo mezzo chilo di carta rilegata dallo stuzzicante titolo 1000 canzoni che ci hanno cambiato la vita, come fai a non spulciarlo in cerca dei dischi più cari? Io, per esempio, mi sarei aspettato di trovarci l’indimenticabile A Whiter Shade of Pale dei Procol Harum (1967), struggente colonna sonora delle prime occupazioni studentesche, che nella versione italiana dei Dik Dik (Senza luce: «Il bicchiere però è mio / cameriere lascia stare...») accompagnava gli innocenti «sballi» di una generazione ancora ferma a whisky e nazionali col filtro. E invece non c’è, questa venerata reliquia degli anni Sessanta, nell’inventario curato dal pur bravo Ezio Guaitamacchi e pubblicato da Rizzoli, e di una lacuna così grave non si è accorto nemmeno Renzo Arbore che firma la nota introduttiva. Per contro, nei Mille vengono arruolati brani assai dimenticabili come Felicità (1982), che sicuramente ha cambiato la vita di Al Bano e Romina, un po’ meno le nostre. Ma il libro riserva anche sorprese positive. Non sapevo, per esempio, che Dio è morto dei Nomadi (altro inno sessantottino), col suo scandaloso ritornello nietzschiano, fosse stato censurato dalla Rai di Bernabei e trasmesso invece integralmente dalla più illuminata Radio Vaticana di Papa Montini.
E ancor più mi ha stupito apprendere (lacuna mia, in questo caso) che Il cielo in una stanza (1960) era in realtà ispirato a una casa d’appuntamenti, che Gino Paoli aveva frequentato in gioventù. Chi l’avrebbe mai detto. Quelle strofe così romantiche, Mina che cinguettava con gli occhioni languidi «Quando tu sei vicino a me / Questo soffitto viola no / Non esiste più / Io vedo il cielo sopra noi / Che restiamo qui...» tutto questo ambientato in un bordello, tra ciprie e giarrettiere? Avremmo dovuto immaginarlo: a chi poteva venire in mente di dipingere di viola il soffitto? Forse a qualcuna delle «graziose» di Via del Campo, che nella canzone di Fabrizio De André (siamo sempre nel fatidico 1967), stavano sulla soglia e vendevano «a tutti la stessa rosa».
Le graziose di oggi (in ogni variante bio-antropologica) e le loro «casitas» non ispirano più canzoni, ma intercettazioni, video e ricatti. Che a volte cambiano la vita (in meglio) a chi li fa, procurando mazzette e posti in lista. Ma più sovente la cambiano (in peggio) ai clienti famosi, costringendoli a cantare. «Spesso gli sbirri e i carabinieri al loro dovere vengono meno...» (Bocca di rosa, parole e musica di De André).