Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore, 1/11/2009, 1 novembre 2009
LE RAFFINERIE RENDONO POCO IL SETTORE LE METTE IN VENDITA
AAA raffineria vendesi. Nelle ultime settimane, soltanto in Europa, due impianti hanno cambiato proprietario, almeno cinque stanno cercando un acquirente e altrettanti hanno sospeso o fortemente ridotto l’attività in attesa di tempi migliori.
Dopo anni di profitti stellari, quello di trasformare il greggio in carburanti è diventato un mestiere gramo, nel Vecchio continente così come negli Stati Uniti. Con il petrolio schizzato di nuovo a 80 dollari al barile e la domanda che invece stenta a risalire la china, i margini di raffinazione si sono ridotti all’osso. L’indizio più evidente è nei bilanci appena diffusi dalle compagnie petrolifere, i cui utili sono stati trascinati a fondo da due zavorre: quella del gas (che sconta un crollo di domanda e di prezzi) e quella del Refining & Marketing.
Così, nel settore, si riduce il peso della divisione: Royal Dutch Shell punta a disfarsi del 15% della capacità di raffinazione, pari a 600mila barili al giorno, attraverso la vendita di 5 impianti, di cui 3 in Europa. Per questi ultimi c’è già un potenziale acquirente: l’indiana Essar, con cui Shell sta trattando in esclusiva. Ma non è detto che l’affare vada in porto. Dopo i colloqui avviati con il fondo di private equity Klesch, l’Eni sembra ad esempio avere accantonato il progetto di vendere la raffineria di Livorno. E Total, dopo la levata di scudi dei sindacati francesi, ha fatto marcia indietro sul progetto, anticipato dal Ceo Christophe de Margerie, di «vendere o chiudere» alcuni impianti.
Del resto, trovare acquirenti non è facile. Margini di raffinazione deboli, o addirittura negativi, non sono un evento insolito nel settore, da sempre abituato a confrontarsi con una forte volatilità di flussi di cassa e profitti. Ma stavolta la crisi rischia di durare più a lungo del solito e produrre effetti forse irreversibili.
La recessione ha provocato la più forte contrazione della domanda petrolifera in oltre trent’anni e secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) i consumi non torneranno ai livelli pre-crisi prima del 2011. Negli Usa l’inversione di tendenza potrebbe anche non arrivare mai: per Rex Tillerson, ceo di ExxonMobil, il picco dei consumi di benzina è stato raggiunto nel 2007 e l’intera domanda petrolifera del paese si ridurrà dagli attuali 19 mbg al giorno ad appena 17 nel 2020, grazie alla maggiore efficienza energetica, alla diffusione di veicoli elettrici e all’impiego dell’etanolo. Un bel problema per i raffinatori: non solo quelli americani, ma anche quelli europei, che oggi contano sull’export verso gli Usa per smaltire una produzione di benzina che eccede il fabbisogno locale.
Ad aggravare la situazione c’è poi l’enorme crescita della capacità di raffinazione, specie in Asia. Fino a qualche anno fa per giustificare il rally del greggio si evocava spesso il problema del «collo di bottiglia della raffinazione». Ebbene, questo collo di bottiglia non solo si è allargato, com’era auspicabile, ma forse è addirittura sul punto di spezzarsi, riversando fiumi di carburante anche dove non sarebbe necessario. La capacità di raffinazione mondiale, pari a 88,6 mbg nel 2008, secondo l’Aie salirà di 7,6 mbg entro il 2014. Il 40% potrebbe arrivare sul mercato già nel 2010, quando la domanda sarà ancora debole, col risultato di creare un surplus di 5,6 mbg, pari al 6,5% della domanda.
Un primo assaggio di ciò che potrà succedere l’ha fornito l’indiana Reliance, che quest’anno ha più che raddoppiato la raffineria di Jamnagar: ora è un impianto-monstre, capace di produrre 1,24 mb di carburante al giorno, e ha già cominciato ad esportare negli Usa, rubando quote di mercato ai concorrenti europei.
Infine, c’è la spada di Damocle del climate change. Le leggi per ridurre le emissioni di Co2 rischiano di trasformarsi in un ulteriore salasso per i raffinatori: negli Usa, dove potrebbe passare una normativa molto severa con il settore, gli analisti di Wood McKenzie stimano che il "conto" rischia di essere di 100 miliardi di dollari l’anno.
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