Arturo Zampaglione,Affari e finanza 2/11/2009, 2 novembre 2009
I QUOTIDIANI COME IL TITANIC
L’uscita è stata sicuramente ad effetto: «I quotidiani sono come il Titanic», ha proclamato la settimana scorsa Arthur Sulzberger Jr., presidente della società editrice del New York Times. E nelle stesse ore, come seguendo una precisa regia, il quotidiano newyorkese ha annunciato un’altra ondata di cento licenziamenti dopo i cento dell’anno scorso. Insomma, un disastro. E se Sulzberger ha in seguito suggerito l’interpretazione autentica delle sue parole («volevo solo dire che così come i transatlantici sono stati superati dagli aerei adesso bisogna immaginare il modo più moderno per veicolare le notizie») la situazione sembra aggravarsi di giorno in giorno. Lo stesso NYT ha perso un altro 10% di copie nei primi sei mesi di quest’anno dopo che già era sceso del 5% nel 2008 rispetto all’anno prima. bastato che la settimana scorsa il presidente dell’editoriale del New York Times, Arthur Sulzberger Jr., pronunciasse la parola "Titanic" durante una riflessione sul futuro dei quotidiani, per acuire il senso di disperazione nel mondo americano dei media e provocare reazioni contrapposte degli esperti. Senza nemmeno seguire il ragionamento di Sulzberger, che dava alla tematica una prospettiva nuova, alcuni professori delle scuole di giornalismo si sono lanciati in una difesa cieca della carta stampata e della missione "sacra" della categoria. Cifre alla mano, invece, alcuni analisti di Wall Street hanno ripetuto che le aziende del settore sono destinate a sparire a meno di non accelerare le ristrutturazioni, i tagli degli organici e la diminuzione dei costi.
Non c’è dubbio che la crisi dei giornali d’oltreoceano si stia aggravando a dispetto delle misure eccezionali varate dagli editori negli ultimi due anni. Il dato più preoccupante è venuto la settimana scorsa dall’Audit bureau of circulation, l’organismo che controlla la tiratura dei 379 quotidiani Usa: fra aprile e settembre le vendite sono scese del 10,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Il ritmo della flessione è raddoppiato: tra il 2007 e il 2008 era del 4,6%. Con una sola eccezione il Wall Street Journal che ha beneficiato dell’impostazione diversa voluta dal nuovo proprietario Murdoch – tutti gli altri quotidiani hanno perso copie: 7,3% il New York Times, 6,4 il Washington Post (il cui sito web è persino meno cliccato di Huffington Post), 25 il San Francisco Chronicle, 17 Usa Today (che ha ceduto al Wall Street Journal la corona di giornale più venduto), 18,7 il New York Post nonostante che Murdoch sia proprietario anche di questo tabloid.
La slavina delle tirature ha un effetto immediato sugli incassi pubblicitari e sui bilanci delle aziende. Di qui il tentativo dei manager di arginare la crisi tagliando i costi. Dopo aver ridotto l’organico di cento giornalisti all’inizio del 2008, il direttore del New York Times, Bill Keller, ha annunciato un’altra manovra per mandare a casa altre cento persone entro la fine dell’anno, cioè l’8% del totale (1250). Tutti i giornalisti riceveranno una offerta di buonuscita da parte dell’azienda: se il numero di quanti accetteranno non sarà sufficiente a raggiungere l’obiettivo, si procederà con i licenziamenti. La mossa del New York Times fa più notizia che in altri quotidiani visto il prestigio internazionale della testata. Ma i licenziamenti si susseguono in ogni angolo del giornalismo americano, senza più destare sorpresa né – l’aspetto più grave – risolvere i buchi di bilancio. Il gruppo Gannett, che controlla 23 televisioni e 84 quotidiani, tra cui Usa Today, ha licenziato mille dipendenti l’anno scorso e mille quest’anno, senza che ciò impedisse una riduzione del 53% degli utili.
Si pensava che l’informazione economica fosse un’isola felice vista la domanda di risparmiatori e investitori. Ma così non è: dopo essere rimasto 80 anni nell’orbita del gruppo McGrawHill, il settimanale Business Week è stato appena ceduto a Bloomberg. Il bisettimanale Fortune usciràora ogni tre settimane. E ci sarà un nuovo round di licenziamenti a Forbes, dove la tiratura è rimasta costante (914mila copie) ma la pubblicità è crollata del 32,5%. «Siamo stati colpiti dalla recessione e dai movimenti tellurici del web», ha spiegato il proprietario (oltre che excandidato presidenziale) Steve Forbes. In questo clima così cupo il riferimento di Sulzberger al Titanic è stato visto come la metafora di un giornalismo destinato ad affondare. In realtà il ragionamento dell’esponente della famiglia che da oltre cent’anni controlla il NYT era molto più complesso: «Anche se – ha detto il transatlantico non avesse urtato contro l’iceberg e fosse arrivato intatto nel porto di New York, il suo destino era segnato perché 12 anni prima i fratelli Wright avevano inventato l’aereo». I trasporti dei passeggeri da un continente all’altro avvengono nei cieli, non per mare: l’aereo ha modificato profondamente il business, anche se non l’ha ucciso. Così come ci sono ancora navi da crociera e yacht da diporto, ha continuato Sulzberger, nel futuro ci saranno giornali stampati sulla carta ma la loro funzione storicoeconomica sarà ridimensionata.
Ma come trasformare i transatlantici di oggi in aerei, ovvero passare dai quotidiani a un altro modello di business dell’informazione? E’ una sfida aperta alla quale nessuno sa dare una risposta. L’unica cosa certa è il ruolo centrale dei new media che erodono spazi agli organi di stampa tradizionali. Peter Kann, expresidente del gruppo Dow Jones, dice che offrire sul web prodotti giornalistici di qualità, come è avvenuto finora, "è stato un errore strategico degli editori". Ma anche se in futuro ogni clic verrà fatto pagare come è la tendenza, non basterà a dare le ali alla nave dei giornali. Un’altra cosa probabile è che il venir meno di una componente essenziale della vita democratica, cioè l’informazione e il controllo dei media sulla politica, spinga le società avanzate verso un maggior ruolo dello stato nel sostenere il settore. Anche se otto americani su dieci si dicono contrari ad aiuti pubblici ai media, l’exdirettore del Washington Post Leonard Downie e il professore della Columbia Michael Schudson hanno appena presentato un rapporto sulla "Ricostruzione del giornalismo americano" in cui chiedono espressamente forme di sostegno del governo o di enti noprofit alle indagini giornalistiche e al mondo dell’informazione.