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 2009  novembre 02 Lunedì calendario

I Russo come re, un paese ai loro piedi- A gentile richie­sta. «Migliaia» di cittadini che prestavano le auto ai familiari dei Russo per fare visita ai tre grandi latitanti

I Russo come re, un paese ai loro piedi- A gentile richie­sta. «Migliaia» di cittadini che prestavano le auto ai familiari dei Russo per fare visita ai tre grandi latitanti. Avevano tutto. Ville finto palladiane, supermercati, aziende, suite perennemente prenotate al Ritz di Milano quando salivano al Nord per fare shopping e riciclare soldi. Ogni tanto, per togliersi lo sfi­zio, qualche giovane in vacan­za noleggiava una Spider. Ma ai Russo non risultava intesta­ta nemmeno una Panda. Per gli spostamenti vicino a casa ci pensavano gli altri. «Migliaia» di cittadini che appoggiavano la cosca. C’è scritto proprio così, nell’ordi­nanza dello scorso febbraio che illustrava l’impero crimi­nale sorto all’ombra del vulca­no. Pronti ad aiutare i familia­ri desiderosi di fare visita ai tre fratelli latitanti da sempre, fornendo le loro macchine e andando poi a riprenderle una volta che venivano abbandona­te nel centro di Nola, con le chiavi nel cruscotto. Adesso non ce n’è più biso­gno. In soli due giorni Polizia e Carabinieri hanno chiuso i conti. Prima Salvatore, poi Pa­squale, il capo, e infine Carmi­ne, il più giovane con i suoi 47 anni. Ma le foto segnaletiche e il mero elenco di nutrite fedi­ne penali non dicono fino in fondo di cosa si sta parlando. Il loro feudo era l’Agro nolano. Un grumo di comuni nella pia­na tra il Vesuvio e l’Appenni­no, con una densità abitativa di due abitanti per metro qua­drato, che qualche politico sta cercando di trasformare in pro­vincia. «Padroni assoluti e inconte­stati dell’economia locale e del­la res publica », questa è la sin­tesi del giudice che pochi mesi fa dispose il sequestro di beni per 300 milioni di euro. Titola­ri soltanto della «Russo costru­zioni srl», una società priva di dipendenti, automezzi e di qualunque capitale, eppure ca­pace di generare profitti enor­mi con un meccanismo sem­plice. «La ditta opera attraver­so l’acquisto di terreni, sui qua­li affida ad altre imprese il compito di costruire finanzian­do i lavori e ricompensandola mediante la ripartizione con essa dei vari appartamenti de­stinati alla vendita». Ogni terreno acquistato ne­gli ultimi vent’anni dai Russo aveva la caratteristica di diven­tare all’improvviso edificabile. In automatico. Senza bisogno di chiedere. «In merito alle in­filtrazioni ed al loro potere im­positivo negli enti locali appa­re significativa la domanda di Michele Russo alla madre: ’Ma quello di Visciano che sta­va in carcere con me a Napoli, sta facendo ancora il consiglie­re comunale?’». Si tratta di un politico «costruito» alla biso­gna, emblema di un potere co­sì assoluto sulle vite degli altri da praticare estorsioni come fossero atti naturali e dovuti. «Nell’Agro nolano l’imposizio­ne avviene senza alcuna speci­fica violenza, neppure di natu­ra intimidatoria, ma solo attra­verso la rappresentazione di un potere criminale la cui pre­senza sul territorio è fortemen­te sentita e temuta». Gli episodi di sottomissione raggiungono vette altrove ine­dite. Il sindaco di San Paolo Bel Sito, il piccolo paese del quale i Russo sono originari, si presenta spontaneamente ai figli dei latitanti con una vali­getta piena di denaro, premes­sa ritenuta necessaria – e non richiesta dai diretti interessati – per il restauro del castello di proprietà dell’amministra­zione comunale. E se Michele, figlio di Salvatore, finisce in carcere, il parroco di Nola con­clude la messa con una pre­ghiera dedicata ad una specia­le categoria di giovani. «Dedi­cata a coloro che ancora non possono riavere la libertà, Si­gnore intercedi perché torni­no presto tra noi». La catena di montaggio mes­sa a punto dai fratelli Russo era di diretta derivazione ma­fiosa. Non a caso Pasquale, fra­tello maggiore e capoclan, ri­vendicava una vecchia amici­zia con Michele Zaza, il boss di Procida che divenne il primo camorrista affiliato a Cosa No­stra. I soldi delle estorsioni ve­nivano «puliti» attraverso le operazioni immobiliari e indi­rizzati poi ad altre attività, co­me la compravendita di ce­mento dall’Est, anche qui in re­gime di monopolio. «A garan­tire solidità alle attività della cosca vi sono coperture politi­che di ogni livello». Anche na­zionale, scrivono i magistrati, che hanno però archiviato la posizione del deputato Pdl Pa­olo Russo (omonimo), inizial­mente indagato per concorso esterno in associazione mafio­sa. L’ultimo capitolo, quello sul­le collusioni di alto livello, lo possono scrivere solo i tre fra­telli, qualora decidano di parla­re. A Nola e dintorni non lo fa­ceva nessuno. L’impero dei Russo valeva un miliardo di euro, queste sono le stime del­la Procura. Ed era stato costrui­to in una terra disordinata e poco illuminata dai media, quasi per diritto divino. Senza neppure il bisogno di alzare la voce. O di comprare un’auto.