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 2009  novembre 01 Domenica calendario

BERLINO 1989, LA DOMANDA CHE FECE CROLLARE IL MURO

(*Telese ha scritto sempre ”Ehrmann” ma è ”Ehrman” - Anche "Gunther" è piuttosto Günter) - BERLINO EST, 9 NOVEMBRE
1989. La cosa divertente, con il senno
del poi, è che Riccardo Ehrmann sta per
arrivare tardi all’appuntamento con la storia.
Se non altro perché non può nemmeno
ipotizzare di averlo. Non immagina, il
pomeriggio 9 novembre del 1989, mentre cerca affannato
un parcheggio per la sua piccola Fiat (preoccupato per il
fatto che la conferenza stampa a cui sta andando sia già
iniziata) che pochi minuti dopo, proprio lui, avrebbe fatto
la domanda che ha determinato, quel giorno, la caduta del
muro di Berlino. Anche per questo, ancora oggi molti ”
soprattutto in Germania – faticano ad accettare il fatto che
’il Secolo breve” si si chiuso per un incrocio di fattori casuali
e ineluttabili: il vento della protesta che spirava nelle
piazze della capitale tedesca, gli strappi di Gorbaciov e la
sua perestrojka, una Trabant che lascia libero uno spazio
nel parcheggio del ministero degli Esteri, un foglietto scritto
male, un equivoco, la telefonata di ”un sottomarino” e
un banale problema di sovrapposizione ferie. E – soprat -
tutto – per la risposta improvvisata di un leader della Germania
dell’est alla domanda di un giornalista italiano: lui.
Quel giorno Riccardo Ehrmann aveva sessant’anni. Oggi
ne ha ottanta, ma la sua memoria pare inossidabile. Si è
trasferito in Spagna il paese di sua moglie Margarita, dopo
aver girato mezzo mondo. Il suo destino – come scopriremo
presto – si è incrociato tre volte con quello della storia
tedesca. Dopo aver rischiato di finire nei camini da bambino,
e dopo che, seduto sui gradini sotto il tavolo di una
sala convegni in quell’indimenticabile 1989 ha incalzato il
portavoce del governo Gubnther Schabowski fino a fargli
dire ciò che non era preventivato. Per anni – malgrado esista
una registrazione televisiva – ben cinque giornalisti
hanno rivendicato il merito di quel botta e risposta. Eppure
Riccardo ha mantenuto segreto, per due decenni, il
retroscena che lo mise sulla pista giusta, per non rivelare la
fonte che lo aveva imbeccato quella mattina. Ha raccontato
tutto solo un anno fa, quando Gunther Potsche (l’uomo
che lo mise sulle tracce della storia) è morto, pur di non
infrangere il patto di lealtà con Potsche.
Riccardo è leggenda quello che scrivono i libri di storia
sulla caduta del muro: lei stava arrivando tardi?
’No, tutto vero. Quel giorno ho girato a lungo nel parcheggio
del ministero: non trovavo posto. Ho guardato l’orologio.
Mi sono detto: ’Non faccio in tempo’”.
E invece?
’Invece all’ultimo momento una macchina uscì, liberandomi
una piazzola. Per questo, come si può vedere anche
nelle foto di quel giorno, non trovai una sedia libera, sedendomi
alla base del podio degli oratori, sui gradini”.
Avevi avuto una soffiata decisiva, quella mattina.
’Oh caspita! Ero nel mio ufficio di corrispondenza, quando
il telefono aveva squillato. Dall’altra parte dell’apparecchio
una voce: ’Sono l’uomo dell’U-boot!’. Eh, eh..”.
Il ”sottomarino”.
’Già. E io risposi: ’So perfettamente chi sei’”.
E chi era?
’Era un alto dirigente del partito con cui ero in confidenza.
Per venti anni non ho rivelato il nome. Ma ora Gunther
Potsche è morto, il mio patto di lealtà si è rescisso”.
Che ruolo aveva Potsche?
’Era il direttore dell’Adn l’agenzia di informazione della
Germania dell’Est. Ma anche uno dei ’rinnovatori’: ovvero
il gruppo che sperava di salvare la Rdt con le riforme”.
Perché quel nomignolo? Vi conoscevate?
’Il telefono era sorvegliato, e lo sapevamo entrambi. E poi
perché la sede dell’Adn era nei sotterranei del palazzo dell’informazione:
senza finestre, dunque lo U-boot! ”.
Cosa le disse Potsche di così importante?
’Mi rivelò che c’era un grande dibattito nel gruppo
dirigente del partito: che il giorno prima si erano decise
graduali aperture nella legge di viaggio che di
fatto impediva l’espatrio ai cittadini della Ddr”.
Chi erano i rinnovatori?
’Il gruppo che aveva appena spodestato Eric Honecker.
Si rifacevano agli ideali della p e re s t ro j k a : erano
sinceramente convinti di poter salvare il loro regime”.
Li conoscevi bene?
’Sì. Avevo un rapporto di amicizia con Klaus Gysi, ex
ambasciatore a Roma, padre di Gregor, attuale leader
della Linke . Poi c’era Egon Krenz: l’uomo che aveva
preso il posto di Honecker, era il più ambizioso. Schabowski,
l’uomo che mi ritrovai di fronte quel giorno,
il più intelligente. Faceva il giornalista, aveva preso
in mano Neus Deutchland, l’illeggibile giornale del
partito facendone un riferimento: con questi dirigenti
era possibile scambiare delle idee”.
Ti avevano regalato un scoop di portata mondiale,
pochi giorni prima...
’Un’altra soffiata di poche parole: Guarda che Honecker
non ha accompagnato Gorbaciov in aeroporto...’.
La notizia aveva fatto il giro del pianeta”.
Era ancora un paese della cortina di ferro, con un clima
alla Le Carrè?
’C’ero stato, la prima volta, nel 1976. Poi ero andato in
India nell’82, nell’85 di nuovo a Berlino, quasi per caso:
pare che nessuno dei colleghi trasferibili sapesse il tedesco!
Un aneddoto?”.
Cer to.
’Un giorno uno degli addetti diplomatici dell’ambasciata
americana mi dice: ’Vuoi che ti bonifico
l’appartamento?’. Risposi di sì, ma non immaginavo
di essere così controllato”.
Cosa scopriste?
’Mi mandò un tecnico con un rilevatore. Trovammo
un microfono in ogni stanza. E ben due,
chissà perché, in camera dal letto”.
La aiuto a rimuoverli?
’Scherzi? Non li toccammo. Avrebbe significato
diventare sospetti, li avrebbero rimessi subito.
Molto meglio sapere dov’erano, per regolarsi. Però...”.
Cosa?
’Un giorno non resistemmo: io e mia moglie eravamo
allora in uno stato di vigore adeguato e, prima
di concederci un momento di intimità gridai: ’Adesso
aprite il stereofonia che inizia uno spettacolo int
e re s s a n t e ! ’ ”.
Una zingarata.
’Pochi giorni dopo un dirigente del ministero dell’informazione
mi sussurrò con un sorriso: ’Siamo lieti di
sapere che lei ha una vita familiare così vivace, herr
Erhmann...’”.
Torniamo al 9 novembre La conferenza stampa
è in diretta sulla tv tedesca, e tu inizi a martellare
il povero Schabowski...
’Lo attaccai ripetutamente sulla legge che era in vigore
fino a quel giorno: permetteva solo teoricamente l’espatrio
’per chi possedeva un visto e un passaporto’. Peccato che
nessuno li avesse. E se li chiedevi, finivi automaticamente
sulla lista nera della Stasi”.
Lei rimproverò questo a Schabowski.
’E poi gli chiesi se ci sarebbero state delle novità nelle
regole. Non voglio dire che ci volesse fegato ma...”.
Ce ne voleva. Tant’ è che lui in affanno rispose...
’Disse la fatidica frase. Che i viaggi sarebbero stati possibili
Ad sofort. Ovvero: ”con effetto immediato”.
Sì è scritto che Schaboski aveva ricevuto un fogliettino
di Krentz, che lesse male...
’L’unica cosa certa è che nessuno era preparato. Luistesso
era tornato appena dalle vacanze. Harald Jäger
l’ufficiale che presiedeva uno dei varchi più importanti
di Bornholmer Strae ha raccontato che apprese tutto
dalla tv. E che dopo aver sentito il nostro botta e
risposta ordinò: ”Su la sbarra’”.
Avrebbe potuto verificarsi un carneficina.
’Invece dopo tre ore il muro non esisteva più”.
Quanto contò il caso?
’Molto. Ma anche poco. I tempi
erano maturi. E i rinnovatori avevano
in ogni caso deciso”.
Cosa si prova ad aver fatto lo scoop del secolo?
(Sorride)’Quel giorno corsi a telefonare.
Scrissi nel pezzo che quella frase
’equivaleva alla caduta del muro’. Seppi
dopo che, comprensibilmente, alla redazione esteri di
Roma avevano commentato: ”Ehrmann è impazzito’”.
La fortuna non esiste?
’Esiste. Ma quella domanda era anche frutto di una
lavoro meticoloso, e di una grande conoscenza della
Ddr. Nulla si improvvisa”.
Lei ha più rivisto Schabowski?
’Sì. E’ finito a fare il cronista locale. Mi disse: ”Lei mi ha
regalato una ispirazione’. In qualche modo è vero”.
Eppure, se Riccardo Ehrmann fosse arrivato in
Germania da bambino, non avrebbe mai fatto
quella domanda.
’Sono fiorentino. Ma il mio è un cognome ebrea-polacca.
Nel 1942 a 13 anni venni deportato in un campo
di concetramento a Ferramonti, in Calabria. Io e i miei
genitori fummo liberati dagli alleati. Il resto della mia
famiglia non esiste più”.
E possibile che alcuni tedeschi mettano in dubbio
il suo ruolo per questa sua origine?
’Spero di no. Ma se, è vero, mi fa un piacere immenso
aver fatto io quella domanda”.
Luca Telese