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 2009  ottobre 31 Sabato calendario

LA MINA DEI PRIVATE EQUITY


 tempo di brindare: l’economia riprende, l’America cresce al 3,5%, per il terzo trimestre, la recessione è finita. Tutto vero. E allora mi domando, come mai Larry Summers, Tim Geithner, Ben Bernanke e lo stesso presidente Obama continuano a dirci ogni volta che possono di fare attenzione, che siamo ancora in una fase delicata che forse si dovrà rivedere la situazione? Per via dei disoccupati? Perché a un certo punto il pacchetto di stimoli che ha portato ormoni potenti all’economia finirà? Anche. Ma credo ci sia un altro elemento più pericoloso e più immediato che preoccupa i policy makers americani. Quando dicono che vogliono evitare il rischio di una nuova crisi finanziaria e che vogliono esser pronti a gestirla con efficienza se e quando si presenterà non si riferiscono alle banche o ai subprime, ma alla mina vagante del debito dei fondi private equity.
Le cifre sono preoccupanti. Negli ultimi dieci anni i private equity hanno seguito in parallelo il percorso della bolla immobiliare e dell’accumulazione del debito subprime. Se il totale del portafoglio subprime era pari a 1.300 miliardi di dollari, il debito private equity ammonta a mille miliardi di dollari. In scadenza da qui ai prossimi tre-quattro anni. Johs Kosman che ha scritto un libro in materia che vi raccomando, The Buyout of America, sostiene che la crisi avrà ripercussioni sulle 3mila aziende acquistate attraverso il private equity, la metà rischiano di fallire e un quarto della forza lavoro, circa 1,9 milioni di persone, potrebbero essere licenziate. Quel che mi ha preoccupato è che proprio ieri ho visto un dato che già stima del 10% il fallimento delle aziende in mano ai private equity per il 2009. Che cosa succederà ad esempio a Blackstone Group che ha comprato la catena Hilton indebitandosi per 20 miliardi di dollari? Intanto Blackstone sta già chiedendo ai creditori di rinunciare a 5 miliardi di dollari. Cifre da capogiro che avranno ripercussioni sul mercato. Ma ci sono gruppi in difficoltà più serie, la Ahca, una catena ospedaliera ha anche lei debiti per 20 miliardi di dollari. E li deve ripagare entro i prossimi tre anni. Ce la farà con queste condizioni di mercato? Non è chiaro. Del resto abbiamo già visto che fine ha fatto il fondo Cerberus con la Chrysler o il Reader’s Digest o il Clear Channel che controlla il più vasto numero di stazioni radio in America. Il messaggio alla fine è lo stesso: chi si illude che con la finanza allegra si fa libero mercato sbaglia. Per un mercato libero sano ci vogliono regole responsabili.