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 2009  ottobre 31 Sabato calendario

SEI ARTICOLI SUL CASO MARRAZZO



GIOVANNA VITALE PER LA REPUBBLICA -
ROMA - Nello scandalo a base di ricatti e video hard che ha travolto il governatore Marrazzo, resta ancora da chiarire il ruolo dei giornali contattati per l´acquisto del filmino realizzato dai carabinieri-infedeli. Almeno quattro, secondo i verbali di interrogatorio. Tra questi Libero - rivela l´intermediario Max Scarfone - che in realtà fu il primo: raggiunto in agosto dal "pappone" Gianguarino Cafasso, che mostrò la registrazione a due croniste del quotidiano. Una ricostruzione confermata dalla titolare dell´agenzia fotografica, Carmen Masi. La quale tra l´altro racconta che il 14 ottobre «l´editore Angelucci è venuto alla Photomasi e ha visionato il filmato, dimostrandosi interessato». Trattativa poi interrotta dall´intervento del direttore di Chi, Alfonso Signorini, che chiese alla Masi di bloccare tutto perché, oltre a Panorama, anche Marrazzo avrebbe chiamato per ritirare la merce dal mercato.
Ed è qui che scatta la coincidenza, tutta da verificare. Perché l´editore di Libero voleva comprare il video, se il suo direttore lo aveva rifiutato? Una questione che tuttavia Giampaolo Angelucci smentisce alla radice. In una nota diffusa ieri, infatti, afferma di «non essersi mai recato nell´Agenzia PhotoMasi, non aver mai conosciuto, incontrato o parlato con la signora Masi e non aver mai visionato il filmato relativo alla vicenda».
Eppure, qualche interesse gli Angelucci potevano pure averlo. Da tempo i rapporti col governatore s´erano deteriorati. Colpa dei tagli alla sanità privata che avevano centrato le cliniche dell´editore. Un impero - la Tosinvest, 12 strutture per oltre 1.500 letti in convenzione - che ogni anno riceve dalla regione Lazio 85 milioni di finanziamento per la sola riabilitazione.
 il gip Roberto Nespeca, colui che a inizio 2009 spedì agli arresti Angelucci padre e figlio insieme ad altre undici persone per associazione a delinquere e truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale, a descrivere l´intreccio tra media e sanità. «Traspare chiaramente quale sia l´influenza e l´ascendete esercitato, anche in considerazione dei mezzi di comunicazione a disposizione; ed invero, i "proprietari" della Tosinvest, Angelucci Antonio e Angelucci Giampaolo, sono editori di quotidiani e, come le indagini hanno dimostrato, i mezzi di informazione sono stati strumentalizzati per poter perseguire i propri obbiettivi. I vertici del sodalizio dimostrano di essere consapevoli di poter superare qualunque ostacolo (...) potendo orientare l´informazione per i propri fini». Sono le intercettazioni a fornire la prova. In particolare quella del settembre 2007 in cui Angelucci senior, oggi deputato Pdl, dice alla moglie: « venuto il presidente (verosimilmente Marrazzo), ho fatto quello che volevo io... Levano la delega a quel deficiente dell´assessore... mercoledì ci convoca lui e ci fa un accordo fino al 2010». Un provvedimento poi varato per consentire a Tosinvest di rientrare almeno in parte dei tagli subìti dal 2006. Come a buon fine è andata la defenestrazione del «deficiente»: ovvero l´ex assessore alla Sanità Augusto Battaglia, dimessosi nel giugno 2008.
Tuttavia è a partire da questa inchiesta che Marrazzo cambia atteggiamento. Prima istituisce una commissione di indagine e manda gli ispettori al San Raffaele di Velletri cui, all´inizio di luglio, vengono bloccati i pagamenti. E poi firma due decreti: per fissare un tetto alla riabilitazione - scelta a causa della quale Tosinvest perde 30 milioni - e abbattere i costi delle prestazioni.

GIUSEPPE D’AVANZO PER LA REPUBBLICA
Le cose stanno così. Quei carabinieri che aggrediscono Piero Marrazzo in un appartamento privato, in compagnia di un viado, non sono canaglie a caccia di un bottino.Non stanno preparando un´estorsione contro il governatore. Stanno raccogliendo il "materiale" per un ricatto che sarà utilizzato da altri, in altro modo, in un´altra città, con un altro obiettivo da quello del denaro (si è mai visto un estorsore che rinuncia al prezzo dell´estorsione?). Sono canaglie che forse bisognerà cominciare a definire rat-fuckers, come si chiamavano tra loro, orgogliosi, gli operativi dell´affare Watergate. Schiacciano con violenza Marrazzo contro un muro. Lo obbligano a calarsi i pantaloni. Lo fotografano. Trasferiscono il video a Milano.
 Milano, con la sua industria editoriale, la scena del delitto. Perché è solo lì che quelle immagini possono trovare la mano che le pubblica. da questo momento che l´affaire mostra un significato pubblico e un senso politico che rende oziosa, peggio incoerente con i fatti, la tiritera «chi di sesso ferisce, di sesso perisce». Che cosa succede? Qualcosa che - niente di più, niente di meno - si può leggere nei manuali di un «assassino politico». Il political hitman deve uccidere ma non lasciare la sua impronta. Così si deve «provocare una fuga di notizie verso i media rimanendo al di fuori della mischia mentre l´avversario viene tempestato da rispettabili giornalisti». Accade nel nostro caso. Le immagini vengono proposte a Oggi. La direzione (Andrea Monti, Umberto Brindani) le rifiuta. Bisogna venire allo scoperto, allora. Accettare il rischio di compromettersi. questo il momento in cui la scena s´illumina e appaiono al proscenio i protagonisti, le comparse, il mattatore. Nel primo atto, il protagonista assoluto è Alfonso Signorini. Che soltanto una irresponsabile ingenuità potrebbe far definire semplicemente «il direttore di Chi». A leggere le testimonianze di un carabiniere canaglia, di un fotografo, della titolare della Photo Masi che ha l´incarico di commercializzare il video del ricatto, Signorini è il padrone del gioco. Riceve in Mediaset e tratta in Mondadori. Dispone per l´intera gamma dei periodici del gruppo editoriale. Lo dice con chiarezza, nei giorni successivi, informando costantemente Silvio Berlusconi. esplicito uno dei carabinieri canaglia, Antonio Tamburrino: «A me fu detto che Signorini ne avrebbe dovuto parlare con Silvio Berlusconi». un fatto che Signorini è il playmaker in quella compagnia e nell´affaire. Consiglia, indica, sollecita. Combina non soltanto le scelte dei direttori dei media berlusconiani, sovraordinato a Vittorio Feltri, capataz del giornale di famiglia, ma anche delle testate del gruppo Angelucci (Libero, il Riformista). Organizza un incontro di Photo Masi con il direttore di Libero, Maurizio Belpietro, il 12 ottobre. Due giorni dopo, Signorini combina un breafing tra Carmen Masi e Angelucci. Dice la Masi: «Angelucci visiona il filmato, si dimostra interessato, promette una risposta entro le ore 19 della stessa sera. Ho informato Signorini. Verso le 17, mi ha contattato telefonicamente. Mi ha detto di fermare tutto perché Panorama era molto interessato al tutto e dovevano decidere chi doveva pubblicare il tutto». Mente dunque Signorini quando, con voce rotta di falso sdegno, protesta (è storia di qualche giorno fa) che «lui e soltanto lui ha deciso di non pubblicare le immagini di Marrazzo». Sua è la guida della "macchina". Chi ne decide direzione, percorso e velocità non è Signorini. , come appare chiaro nel secondo atto di questa vicenda, Silvio Berlusconi, il mattatore. Sa del video, lo vede, lo valuta. Misura le convenienze per due settimane (5/19 ottobre). più utile pubblicarlo subito o conservarlo per tempi politicamente più opportuni? Il 19 ottobre, l´imprevisto. Lo informano che i carabinieri sono a caccia di un «video del presidente». Berlusconi comprende che non può starsene con quelle immagini sul tavolo: il «presidente» non è lui, ma quel disgraziato di Marrazzo. Lo chiama, gli dice che deve comprarselo in fretta, il video. Signorini lo aiuterà, ma - se è vero quel che riferisce lo staff del governatore a Esterino Montino (oggi governatore vicario) - aggiunge: «Rivolgiti a Giampaolo Angelucci, ti libererà dai guai». Il capo del governo non rinuncia agli utili. Con quella mossa, sa di poter avere in futuro la piena disponibilità del destino di Marrazzo. Per intanto, consegna il governatore, commissario straordinario alla sanità, al maggiore imprenditore regionale della sanità privata. Sempre ci sono anche gli affari, propri e degli amici, nelle manovre del capo del governo. Non è il solo contatto del premier con Marrazzo. Il 21 ottobre, il Cavaliere comunica al governatore che è tutto finito, i carabinieri sono ormai in azione, hanno arrestato i furfanti e stanno perquisendo la redazione di Chi. Esterino Montino, che è lì accanto a lui, vede Marrazzo sbiancare come per un malore. Bisogna ora dire quel che vediamo. Furfanti delle burocrazie della sicurezza incastrano un politico. Le immagini, estorte con la violenza in un appartamento privato, vengono consegnate a un alto funzionario (Signorini) di un sistema editoriale (Mondadori, Mediaset e indirettamente Tosinvest di Angelucci) governato direttamente da un proprietario che è anche presidente del consiglio. una macchina organizzata per seppellire nel fango chiunque osi dissentire.
Quel che accade in via Gradoli, ha dunque la stessa rilevanza di un prologo, in questa storia. Con buona pace di chi, come Giuliano Ferrara, parla di «deriva sessuofobica». L´affaire Marrazzo non è una storia di sesso e il sesso non è il focus della storia. L´affaire ci espone, nei suoi ingranaggi, una "macchina del fango" di cui già avevamo avvertito la pericolosità. la "macchina del fango", il cuore di questa storia. Il sesso l´alimenta. Le abitudini private di un ceto politico, amministrativo, professionale, imprenditoriale sono o possono diventare il propellente di un dispositivo di dominio capace di modificare equilibri, risolvere conflitti, guadagnarsi un silenzio servile, azzittire e punire chi non si conforma, mettere in fuori gioco o espellere dalla competizione politica gli avversari. L´affaire Marrazzo svela, come meglio non si potrebbe, le pratiche e le tecniche di un potere che, per volontà e per metodo, abusa di se stesso mostrandosi come pura violenza. Nessuno può meravigliarsene. Berlusconi, come gli autentici bugiardi, lascia sempre capire che cosa ha in mente perché - sempre - dice quel che fa e fa quel che dice. Scombussolato dalla "crisi di primavera" quando salta fuori la «commistione tra boudoir e selezione della classe dirigente politica», arruffato da una minorenne che confessa come e quando «Papi» gli ha promesso o la ribalta dello spettacolo televisivo o un seggio in Parlamento come custode della volontà di quel popolo sovrano evocato in ogni occasione, Berlusconi in luglio riordina le idee e lancia la "campagna di autunno". Cambia squadra. Vittorio Feltri al Giornale. Belpietro a Libero. Signorini su tutti. Gli avversari, veri o presunti, sono colpiti come birilli. Accade al giudice Mesiano, spiato e calunniato dalle telecamere di Canale5. Accade al direttore dell´Avvenire, Dino Boffo, colpevole di aver dato voce all´imbarazzo delle parrocchie per la vita disonorevole del premier. Accade al presidente della Camera, Gianfranco Fini, minacciato di «uno scandalo a luci rosse» perché responsabile di un civile dissenso politico. Accade a Veronica Lario, moglie ribelle dipinta come un´adultera. accaduto ora a Marrazzo, ma quanti ora temono che possa accadere anche a loro? Altro che le puzzette al naso di chi ancora ci annoia con lo sproloquio sul gossip. Non parliamo di letto, di pubblico/privato e ormai nemmeno più di trasparenza e fragilità della responsabilità pubblica. Discutiamo di libertà.

MARCO TRAVAGLIO PER IL FATTO QUOTIDIANO
L’UTILIZZATORE FINALE & SOCI RISCHIANO LA RICETTAZIONE - Pare che uno si diverta a tirare in ballo Silvio Berlusconi anche nel caso Marrazzo. Come se in quella vicenda l’avessero trascinato per i capelli i soliti comunisti. Invece, tanto per cambiare, il presidente del Consiglio ha fatto tutto da solo. O meglio, in tandem con il suo spin doctor e king maker, al secolo Alfonso Signorini, direttore di ”Chi” e ”Sorrisi e canzoni” (Mondador i), con la partecipazione straordinaria di altri suoi attuali o ex dipendenti: Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro. Grazie alle inchieste di Annozero e ai primi verbali depositati dalla Procura di Roma al Riesame, siamo finalmente in grado di mettere in fila i fatti in ordine cronologico. Ogni commento è superfluo.
3 LUGLIO. Irruzione di tre carabinieri deviati e del loro confidente Gianguarino Cafasso, spacciatore salernitano, nell’appartamento di Natalì che ospita il governatore del Lazio, Piero Marrazzo, in via Gradoli 96. Ne esce almeno un video di 13 minuti compromettente per il governatore associato a trans e coca, non si sa se girato dal pusher o da un militare (nel caso che il video fossero due, il primo sarebbe opera di un trans e l’altro da un carabiniere). Marrazzo implora i carabinieri di non rovinarlo, teme che abbiano avvertito la stampa, quelli gli portano via qualche migliaio di euro e lo costringono a firmare tre assegni, ma poi non li incassano. Non sono loro che faranno il ricatto: sarà qualcun altro, al quale passeranno il video, o la notizia, o il video e la notizia, in cambio di denaro. Fin da subito è chiaro a tutti che il video è un corpo di reato, frutto di una perquisizione abusiva e violenta, in violazione della privacy di Marrazzo e del domicilio di Natalì, dunque chi lo sa e lo ”acquista, riceve, od occulta” ugualmente commette il delitto di ricettazione.
11 LUGLIO. Cafasso, tramite il suo avvocato, contatta Libero ancora diretto da Vittorio Feltri per vendere il video.
15 LUGLIO. Due croniste di Libero incontrano Cafasso, che mostra loro due minuti del video (il resto, dice, riprende volti che ”non si devono vedere”). Le croniste informano il loro direttore Feltri che decide di non acquistarlo. Ma da allora sa. Negli stessi giorni sta trattando con Berlusconi per tornare al Giornale (ha raccontato in agosto a Cortina: ”Il 30 giugno scorso ho incontrato Silvio Berlusconi. Ogni volta che lo vedevo mi chiedeva: ”Ma quand’è che torna al Giornale?’. E io: ”Sto bene dove sono’. Ma quel giorno entrò subito nei dettagli, fece proposte concrete e alla fine mi ha c o nv i n t o ”). Possibile che Feltri non dica niente a Berlusconi di quel che sa su Marra z z o ?
AGOSTO. Morto improvvisamente Cafasso, il video tentano di venderlo i carabinieri deviati, tramite il paparazzo Max Scarfone (già protagonista delle foto a Silvio Sircana alle prese con un altro viado). Scarfone attiva Carmen Masi, titolare dell’agenzia milanese ”Photoma - si”. Che contatta il settimanale ”Ogg i” (gruppo Rcs, la stessa rivista che tre anni fa acquistò le foto di Sircana per 100 mila euro, ma non le pubblicò).
21 AGOSTO. Feltri lascia Libero per andare a dirigere Il Giornale, al posto di Mario Giordano. Belpietro lascia Panorama per andare a dirigere Libero. Giordano saluta così i lettori del Giornale: ”Nel - le battaglie politiche non ci siamo certi tirati indietro (…). Ma quello che fanno le persone dentro le loro camere da letto (siano essi premier, direttori di giornali, editori, ingegneri, first lady, bodyguard o avvocati) riteniamo siano solo fatti loro. E siamo convinti che i lettori del Giornale non apprezzerebbero una battaglia politica che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento sulle rispettive alc ove ”.
28 AGOSTO. Feltri esordisce da par suo al Giornale, tirando fuori il primo dossier: una vecchia condanna di Dino Boffo, reo di pallide critiche al premier, per molestie su una ragazza. E spiega: ”Quando la politica si trasforma e si svilisce scadendo nel gossip, quando gli addetti all’informazione si rassegnano a pescare sui fondali del pettegolezzo spacciando per notizie le attività più intime degli uomini e delle donne, fatalmente la vita pubblica peggiora e riserva sorprese cattive. E se il livello della polemica è basso, prima o poi anche chi era abituato a volare alto, o almeno si sforzava non perdere quota, è destinato a planare per rispondere agli avversari. La Repubblica da tempo si dedica alla speleologia e scava nel privato del premier, e l’Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, ha pure messo mano al piccone per recuperare materiale adatto a creare una piattaforma su cui costruire una campagna moralistica contro Silvio Berlusconi, accusato condurre un’esistenza dissoluta in contrasto con l’etica richiesta a una persona che ricopra cariche istituzionali. Mai quanto nel presente periodo si sono visti in azione tanti moralisti, molti dei quali, per non dire quasi tutti, sono sprovvisti titoli idonei. Ed è venuto il momento di smascherarli. Dispiace, ma bisogna farlo affinché i cittadini sappiano da quale pulpito vengono certe prediche. Cominciamo da Dino Bof fo...”. Seguiranno Ezio Mauro, Carlo De Bendetti, Gianfranco Fini, Enrico Mentana, Michele Santoro, Giulio Tremonti.
1° SETTEMBRE. Giangavino Sulas, inviato di Oggi, accompagnato da due dei carabinieri deviati, visiona il solito spezzone del video. E, in mancanza di garanzie sull’autenticità, decide di non farne nu l l a .
25 SETTEMBRE. Un uomo vicino alla maggioranza di governo ”sof fia” a diversi giornalisti, fra cui Peter Gomez de Il Fatto, Giuseppe D’Avanzo la Repubblica, e un inviato di Libero, che circola un video contro Marrazzo. Notizia impossibile da confermare, dunque impubblicabile.
5 OTTOBRE.La Masi consegna una copia del video a Signorini, anche se questi s’è subito detto disinteressato ad acquistarlo per ”Chi”. Signorini dirà di aver ”subito avvertito i miei editori”: la presidente di Mondadori, Marina Berlusconi, e l’amministratore delegato Maurizio Costa. Da questo momento - si presume (salvo che non parli per 15 giorni con la figlia) - il presidente del Consiglio sa del video-ricatto a Marrazzo. Ma non fa nulla, come se attendesse qualcosa. Signorini comunque suggerisce alla Masi di vendere il dvd a Belpietro, che dirige un giornale filoberlusconiano, ma estraneo al gruppo del premier (appartiene alla famiglia Angelucci, editori nonché titolari di cliniche convenzionate con le regioni, Lazio compresa; il capofamiglia Antonio è anche senatore del Pdl).
12 OTTOBRE. Bel - pietro incontra la Masi che gli mostra il video, ma non gliene lascia copia. La signora dirà a verbale che quel giorno si accordò con Libero per 100 mila euro.
14 OTTOBRE.Mentre il Ros informa la Procura di Roma del ricatto ai danni di Marrazzo e partono le indagini segrete (o quasi) dei carabinieri ”buoni” contro i quattro ”de viati”, Signorini chiama la Masi e le annuncia una visita di Giampaolo Angelucci, l’editore di Libero, che visiona il video come già ha fatto Belpietro. Masi e Angelucci si risentiranno in serata per concludere l’af fare. Ma, nel pomeriggio, ecco un’altra telefonata di Signorini: ”Fermate tutto, è interessato anche Panorama (sempre Mondadori, ndr), dobbiamo decidere chi deve pubblicare tutto”. Poi nessuno pubblicherà niente, ma soltanto perchè interverrà la ma gistratura.
19 OTTOBRE. Ber - lusconi – tre mesi e mezzo dopo che Feltri ha saputo tutto, 15 giorni dopo che Signorini e Marina han saputo tutto, 7 giorni dopo che Belpietro ha saputo tutto – si decide finalmente a telefonare a Marrazzo per dirgli di aver visto il video, rassicurarlo che non sarà pubblicato dai giornali del gruppo e suggerirgli di chiamare subito l’agenzia Photomasi per acquistarne i diritti e levarlo dalla circolazione. Di denunciare il reato sottostante, nemmeno a parlarne. Ecco la versione ufficiale del premier, affidata al nuovo libro di Bruno Vespa e subito anticipata alle agenzie di stampa: ”Appena ho visto il video, ho allungato la mano sul telefono e ho chiamato il presidente Marrazzo. Gli ho detto che c’erano sul mercato delle immagini in grado di nuocergli, gli ho dato il numero dell’agenzia che aveva offerto il video e lui mi ha cordialmente r ingraziato”. Il Cavaliere e i suoi consiglieri devono rendersi ben conto che si tratta di un corpo di reato: infatti sono molto interessati a farlo sparire (cosa che può fare solo Marrazzo). Secondo alcuni, sanno che i carabinieri ”buoni” e la Procura di Roma stanno indagando e dunque il tempo stringe. Tanto ormai lo scopo è raggiunto: partita l’inchiesta, il governatore è definitivamente sputtanato e non potrà ricandidarsi alle regionali della primavera prossima. Se si riesce a fare in modo che sia lui stesso a pagare ”i killer” e a far sparire le prove, è il delitto perfetto. Lo stesso giorno Signorini chiama la Masi e le preannuncia che le telefonerà Marrazzo (da chi altri può averlo saputo, se non dal premier?). Il governatore puntualmente si fa vivo e tenta di recuperare il videotape in cambio di soldi. Ma proprio l’avvio della trattativa accelera il blitz della Procura di Roma, che non può permettere la distruzione della prova regina del ricatto. Infatti il giorno dopo, i quattro carabinieri deviati e Scarfone vengono interrogati. E l’indomani scattano le manette, con la pubblicazione della notizia che mette fuori gioco Marrazzo proprio alla vigilia delle primarie del Pd e la messa in sicurezza del videotape: il corpo del reato. Che giaceva da due settimane nella cassaforte della Mondadori e, da almeno qualche giorno, in un cassetto di Palazzo Grazioli. Ben custodito dall’Utilizzatore Finale.

I VERBALI DEL CASO MARRAZZO
Ecco le versioni messe a verbale dai quattro carabinieri indagati per il presunto videoricatto a Marrazzo. Sono dichiarazioni spontanee, rese in piena notte, subito dopo il fermo. C’è il maresciallo Nicola Testini che parla di un video lungo 13 minuti, mentre gli altri parlano di 2-3 minuti di durata. C’è il carabiniere scelto Carlo Tagliente che riferisce di un’irruzione in una casa dove c’erano Marrazzo e un «viados di pelle scura, moro di capelli», e poi racconta del video con «un trans biondo». C’è il militare Luciano Simeone che racconta di come lui e Tagliente avessero nascosto il cd con il file sotterrandolo sotto un ponte sulla Cassia. E tutti, tranne Tamburrino che è accusato solo di riettazione, parlan anche della paura crescente di essere nel mirino del Ros. In due occasioni, mentre tentavano di piazzare il video, avevano infatti incontrato carabinieri del Raggruppamento operativo speciale. Fino a decidere, raccontano dopo il fermo, di distruggere quel filmato che scottava troppo. Anche perché Tamburrio, a proposito delle «due versioni» del filmato, riferisce di aer saputo da Tagliente, e forse anche da Simeone, che «c’erano delle parti del video che dovevano essere tagliate perché erano riprese delle persone che dovevan a suo dire essere tutelate» .

Interrogato dai Ros, il maresciallo Nicola Testini vuota il sacco: «Ho immediatamente compreso le ragioni per cui voi siete qua. (...) A luglio un confidente, tale Cafasso Gianguarino, che girava nel mondo dei trans (...), di recente deceduto, disse a me, Tagliente e Simeone che aveva un video che ritraeva il presidente della Regione Lazio con un trans».
«HO UN VIDEO CON MARRAZZO C’ UN TRANS E TANTI SOLDI»
«Cafasso ci chiese di aiutarlo a venderlo, se conoscessimo qualcuno a cui poteva interessare. Gli dicemmo che avremmo visto se potevamo aiutarlo. Poi lui è morto. Quindi abbiamo continuato da soli. Ho visto il video a casa del collega Simeone, sul suo pc ed effettivamente ritraeva il presidente Marrazzo vestito solo con una camicia, un trans, vicino a un tavolo ove vi erano tanti soldi ed una striscia di sostanza bianca che ritengo fosse cocaina (...). Simeone, che si mosse più degli altri per la gestione della fase di vendita, parlò con il collega Tamburrino che ha un fratello fotografo inserito nell’ambiente delle riviste di gossip. Tamburrino (...) ha iniziato una trattativa con un’agenzia di Milano. Due referenti dell’agenzia, tale Carmen e il marito di costei, si sono anche recati a Roma ove (...) si incontrarono con Tagliente che gli fece visionare il video. (...)».
«IL CD CON L’ONOREVOLE UN ALTRO, PI LUNGO»
«Da quel momento in poi è andata avanti la trattativa, con un altro incontro tra Carmen, il marito, Simeone e Tamburrino. (...). Avevamo intenzione di chiedere 60mila euro di compenso per la vendita del video ma loro ci offrirono 50mila euro. Il provento lo avremmo diviso equamente noi tre. Non so chi abbia fatto il video, so solo che era a spezzoni e molto mosso. Non conosco il trans, so che si chiama Natalie, ma non so dove eserciti la professione. Nel video si sente il trans che dice di essere Natalie. Il video da me visionato aveva una durata di circa 13 minuti. (...) come vi ho già detto, ritraeva l’onorevole Marrazzo nelle modalità suddette e ricordo che, dall’audio, si sentiva che lo stesso proferiva le seguenti parole «Io sono il presidente e ci sono dei giornalisti». Mi sembrava un fotomontaggio poiché il video si fermava e riprendeva».
«VOI DEL ROS CI SEGUIVATE E CI AVETE INSOSPETTITO»
«(...) Il video lo abbiamo distrutto circa 5-6 giorni fa perché il pomeriggio di circa un mese fa avevamo notato un collega che sapevo facesse servizio presso il Ros. Lo stesso si trovava davanti al bar Vanni con una ragazza. Ciò mi insospettì. In un’altra occasione, di pochi giorni dopo, notai un altro ragazzo, a bordo di uno scooter, che sembrava osservarmi. Mi avvicinai e gli chiesi i documenti. Appuravo fosse un collega e lo stesso mi riferiva essere del reparto operativo di Roma (...). Da quel momento sentivamo di essere sempre seguiti e osservati e la cosa destò la nostra preoccupazione, soprattutto la mia. Più volte tentai di convincere gli altri a distruggere il video e a tirarci fuori dalla vicenda. Ero, infatti, sicuro che avremmo avuto guai(...)».
«UN’OPERAZIONE DI ROUTINE MA IN CASA C’ERA QUEL VIP»
Tocca al carabiniere scelto Carlo Tagliente: «Nei primi giorni di luglio 2009, credo, se non ricordo male, fosse il 3, unitamente al mio collega Simeone Luciano, ho avuto un contatto con un confidente legato al mondo dei transessuali, tale Cafasso Gianguarino. Preciso che quest’ultimo era un confidente del maresciallo Testini Nicola, ma (...) è diventato anche mio confidente. Come vi dicevo quel giorno ci chiamò, non ricordo come e su quale utenza, noi (io e Simeone) andammo all’appuntamento e lui ci disse che (...) si stava svolgendo un festino con dei trans all’interno di un appartamento di Roma, via Gradoli (...). Ivi giunti, nella tarda mattinata - primo pomeriggio (ora di pranzo), bussammo alla porta dell’appartamento qualificandoci come carabinieri. Aprì un viados di pelle scura, moro di capelli. Noi entrammo e ci trovammo di fronte una persona di sesso maschile che riconoscemmo subito essere il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Alla vista di questa personalità ci trovammo in gravissimo imbarazzo anche perché indossava solo una maglia intima e le mutande per cui non sapemmo veramente cosa fare. Lui ci pregò con gli occhi lucidi di non fare nulla perché ci diceva «io ho una mia dignità e la mia posizione... vi prego aiutatemi... saprò ricompensarvi, vi aiuterò nell’Arma». Quindi ci disse che avrebbe potuto aiutarci se volessimo un trasferimento. Io purtroppo devo dirvi che ho una grave situazione familiare, perché ho un nipote di 5 anni in gravissime condizioni. La voglia quindi di cercare di rendermi utile alla mia famiglia mi ha fatto ritenere che veramente avrebbe potuto aiutarmi».«PRIMA CHE ANDASSIMO VIA MI CHIESE IL CELLULARE»
«Noi (...) non avevamo individuato nessuna cosa pertinente a qualunque tipo di reato, per cui anche perché non sapevamo veramente cosa fare, abbiamo deciso di andarcene senza fare nulla per timore della personalità. Io prima di andarmene, su sua richiesta, gli lasciai l’utenza che io utilizzavo normalmente per i contatti con i confidenti necessari al mio lavoro. Devo precisare che questa utenza io l’ho dismessa circa 10 giorni dopo perché ero intimorito, imbarazzato dalla possibilità che lui potesse chiamarmi. (...) Circa 15 giorni dopo questo evento (...) verso la fine del mese di luglio, (...) Cafasso (...) ci disse che era entrato in possesso, senza specificare come, di un video che ritraeva il citato presidente Marrazzo mentre si trovava in compagnia di un trans in atteggiamenti ambigui. Ci chiese (...) di aiutarlo a ricavare qualcosa da questo video. In termini di soldi, intendo».
«NEL VIDEO DI CAFASSO IL TRANS ERA BIONDO»
«(...) Andammo quindi con lui in zona Cassia e a bordo della sua auto ci fece vedere il video su un suo pc portatile. Effettivamente il video conteneva il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo che si trovava in un luogo chiuso in compagnia di un trans biondo, questa volta, vicino a un tavolo ove vi era un piatto con delle strisce di una sostanza bianca polverosa. Alla fine del video, che peraltro era molto mosso e frammentato tanto da farci inizialmente pensare a un fotomontaggio, vi era anche un’autovettura tipo Lancia Thesis a mia memoria di colore scuro, ripresa lungo una strada. In quella occasione, poiché noi palesammo l’idea di aiutarlo senza però dargli alcuna rassicurazione, Cafasso ci diede il video in un cd rom o dvd (...) che io e Simeone nascondemmo in una zona di campagna sulla via Trionfale vicino al Ponte Nuovo. Preciso che il video da me visto durava 2-3 minuti ed era comunque breve. (...) a settembre di quest’anno Cafasso morì d’infarto in un albergo sulla via Salaria. (...) Ci trovammo quindi con la copia del filmato in mano e pensammo di proseguire nel tentativo di venderlo».
«LA TRATTATIVA PER LA VENDITA SU DUE DIVERSI CANALI»
«(...) nel frattempo Simeone, tenendoci comunque al corrente, aveva instaurato rapporti finalizzati alla vendita su due diversi canali: il primo con tale Riccardo, un imprenditore che a me non è mai piaciuto, che per quanto di mia conoscenza fu presentato a Luciano da un suo confidente, tale Ottavio. Voglio precisare fin d’ora che questa situazione non ha portato a nulla anche se Riccardo con tale Massimo (...) ebbero modo di visionare il filmato sotto casa di Luciano attraverso un pc di un coinquilino dell’epoca di Luciano stesso. (...) Sempre su di loro, per quanto mi disse Luciano, posso dire che non erano loro i diretti acquirenti del video ma stavano agendo per conto di altri che non conosco. Prima di concludere questo aspetto della vicenda devo dirvi che Luciano e Testini durante un incontro con Riccardo - non so dirvi quando perché non ero presente - notarono un maresciallo del Ros che stava con una ragazza davanti al bar Vanni per cui si insospettirono. Questo fu un primo campanello di allarme (...); il secondo canale fu attraverso Tamburrino, ossia un carabiniere della stazione Roma-Trionfale che Luciano attivò sapendo che aveva un parente fotografo».
«L’AGENZIA CI ASSICURAVA UNA COMPRAVENDITA LEGALE»
«(...) la trattativa è stata incanalata verso un’agenzia di Milano di cui poi io ho avuto modo di conoscere tali Max, una donna e il marito di quest’ultima (...). Feci vedere nell’occasione il video alla donna e all’uomo in sua compagnia. I due vennero all’appuntamento con il carabiniere Tamburrino e tale Max. Questi ultimi due, in questa circostanza, non hanno assistito alla visione del video avvenuto a bordo della mia autovettura Mercedes Classe B. Attraverso questo canale ci è stato offerto il compenso di 50mila euro. Noi valutammo positivamente l’offerta perché ci fu assicurato che questa agenzia avrebbe potuto commercializzare il video in modo assolutamente legale. Poi però un giorno, non vi posso dire quando con esattezza, ma posso dirvi che era successivo all’incontro del bar Vanni dove fu visto un maresciallo del Ros conosciuto da Testini, durante un servizio di ocp avemmo modo di notare un uomo a bordo di un motociclo tipo T-Max fermo di fronte al ristorante bar «Al Cocomerino» di via Cortina d’Ampezzo. Credendo che fosse un soggetto che si doveva incontrare con uno dei nostri indagati lo fermammo e il maresciallo Testini gli chiese i documenti. Questa persona glieli diede e il maresciallo Testini gli chiese se fosse un collega. Ricevuta risposta positiva e avendo appreso che stava lì per un servizio poiché lui ci disse «o ci stiamo noi o voi, non possiamo starci in due», noi decidemmo di andare via per non dare fastidio. Tuttavia riflettendoci successivamente la cosa sembrò strana e ci fece preoccupare ancor di più, io quindi pregai gli altri di lasciar perdere, ma solo 5-6 giorni fa decidemmo di distruggere il video (...). Non so veramente spiegare come possa essermi trovato in una posizione tale, è stata una debolezza imperdonabile. Feci d’accordo con i miei colleghi una copia del video attraverso il masterizzatore del mio pc portatile (...). Entrambe le copie furono distrutte da me Luciano e Testini 5 o 6 giorni fa spaccandoli in più pezzi e gettandoli in un bidone dell’immondizia vicino alla caserma sede della compagnia Trionfale (...)». Ecco poi il verbale di Luciano Simeone. «(...)Vi dico subito che il video che voi sicuramente state cercando lo abbiamo distrutto circa 5/6 giorni fa. (...) ci siamo trovati con questa copia di cd di circa tre minuti che dopo una visione ritraeva una persona che sembrava il presidente della Regione Lazio con un trans e della polvere bianca su un tavolo. Non so chi abbia fatto il video, so solo che era a spezzoni ed era molto mosso. (...) tutto è naufragato poiché ci siamo spaventati e abbiamo deciso di distruggere il video 5,6 giorni fa, quando abbiamo capito che avevamo fatto una cosa sbagliata. Lo abbiamo capito anche quando abbiamo notato uno di voi al bar Vanni e anche al bar Cocomerino, che era conosciuto da Testini Nicola».
IL «MISTERIOSO» RICCARDO E GLI ACQUIRENTI MANCATI
«In quell’occasione stavamo incontrando un imprenditore tale Riccardo presentatoci da un mio conoscente tale Gramazio Ottavio per vedere se conoscesse qualche agenzia interessata. Anche in questo caso non abbiamo fatto niente. Un’altra persona conosceva la vicenda del video, ossia tale Pietro Colabianchi, un imprenditore edile che ha delle case in Sardegna ove io sono andato in vacanza questa estate. Non so se abbia fatto qualcosa per venderlo. (...) Lo avevamo nascosto dentro una custodia sotterrato sotto un ponte nella zona di La Storta. Cafasso aveva un’altra copia ma non so dove la tenesse (...)». Antonio Tamburrino: «A inizio luglio son stato contattato dai miei colleghi Simeone Luciano, Tagliente Carlo e Testini Nicola i quali mi chiedevano se conoscevo qualche giornalista appartenente a testate scandalistiche. Suppongo mi abbiano avvicinato a causa del fatto che ho delle amicizie nel citato ambito giornalistico. Preciso che in quella occasione non mi venne specificato il motivo per il quale mi chiedevano se conoscessi qualche giornalista.
«TANTI GIORNALISTI AMICI HANNO VISTO IL MATERIALE»
Alla richiesta dei tre colleghi rispondevo che avrei fatto loro sapere qualcosa. Dopo una decina di giorni ho incontrato presso il locale ”Cacio e Pepe” sito in Roma nel quartiere Prati, da me occasionalmente frequentato, tal Max Scarfone, che sapevo essere un paparazzo, al quale dicevo che alcuni miei amici erano intenzionati a fargli vedere un qualcosa che poteva essere d’interesse per il suo lavoro. (...) dopo qualche giorno mi sono incontrato con Scarfone nei pressi di piazzale Clodio e (...) siamo giunti in una casa sita nei pressi della via Cassia dove ad attenderci c’era Tagliente Carlo. (...) C’era inoltre un pc portatile attraverso il quale il Tagliente ha fatto visionare a Scarfone un filmato (...) che ritraeva una donna, presumibilmente un transessuale, e un uomo che mi sembrava essere il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. (...) Si notavano inoltre banconote di vario taglio. (...) Scarfone chiese informazioni circa la effettiva durata del video, nello specifico se quella visionata fosse solo una parte o l’intero filmato. Il Tagliente rispose che c’era un’altra parte del video, ma che non poteva essere vista in quanto c’erano delle parti che dovevano essere tagliate poiché erano riprese delle persone che dovevano, a suo dire, essere tutelate».
«NELLE RIPRESE PERSONE CHE VANNO TUTELATE».
«Non ricordo se questa specificazione fu fatta in quella sede o successivamente mi fu fatta dal Simeone. (...)Verso la fine di settembre la signora Carmen venne nuovamente a Roma (...) chiese (...) da chi fosse stato girato. Simeone rispose che era stato girato da un altro trans il quale lo aveva poi a loro consegnato. (...) Ricordo di essere partito il 5 ottobre (...) mi sono recato nell’ufficio della signora Carmen e del marito Mimmo, a Milano, in viale Monza (...). Non so cosa la signora Carmen abbia fatto con il video, mi disse però che lo aveva fatto visionare alla Mondadori e aggiunse che i dirigenti avrebbero riferito del contenuto del video al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. (...) Proposi quindi di fissare un incontro per stabilire il prezzo di vendita. (...) lo Scarfone ed il Simeone in tale occasione si accordarono per la somma di 55mila euro che doveva essere consegnata in contanti a Milano. (...). Nulla so dire circa le modalità della consegna in quanto sarebbe dovuta avvenire nella giornata del 21-10-2009 e non abbiamo avuto il tempo di accordarne i modi (...)».

MAURIZIO BELPIETRO PER LIBERO
Non ho doti da veggente, ma dal primo giorno dell’affare Marrazzo avevo previsto che gira e rigira saremmo finiti a Berlusconi. Ci hanno messo una settimana, ma ora sono arrivati al dunque: se il presidente del Lazio si è messo nei guai con i trans, la colpa è del Cavaliere. Ci ha provato l’altra sera Santoro, tentando di dimostrare che la responsabilità non è del governatore, ma di qualcun altro che voleva usare le sue frequentazioni per incastrarlo. L’allusione era evidente, ma se uno non avesse capito l’antifona, ci ha pensato Repubblica con il suo pistaiolo di punta, Giuseppe D’Avanzo, il quale ieri ha scodellato il teorema giudiziario-giornalistico, formulando anche il capo d’imputazione e gli indagati, per la comodità dei pm che non dovranno perder tempo a ripassare il codice ma potranno copiare quel che è stampato sul quotidiano di Largo Fochetti.
Che scrive D’Avanzo? Facendosi aiutare da una fonte anonima avanza l’ipotesi che i carabinieri in cella per il ricatto al governatore siano stati «comandati» oppure eterodiretti. Insomma, che abbiano avuto un mandante deciso a incastrare Marrazzo. Una volta evocata la supposizione, allo stato dei fatti infondata, il passo successivo è facile come bere un bicchier d’acqua. Anche se per evitarsi una querela D’Avanzo non lo dice, il misterioso personaggio è chiaramente Berlusconi. E per dare sostanza al presupposto, il cronista trasformato in pm continua la sua requisitoria, spiegando che il video del ricatto è finito nelle mani della Mondadori e lì è rimasto «per troppo tempo» prima che Berlusconi, venutone a conoscenza, avvertisse il governatore. A conclusione di un simile capolavoro di giornalismo con le manette, arriva inevitabile la condanna: Berlusconi, il direttore di ”Chi” e tutti quanti sapevano del filmato sono colpevoli di ricettazione. E tanto per dettare la linea ai magistrati che stanno indagando, nel sottotitolo che accompagna l’articolo si annuncia che la Procura valuterà, appunto, la ricettazione.
Va detto che D’Avanzo, quando ci si mette, sa essere avvincente e sono certo che se scrivesse spy story potrebbe avere una certa fortuna. Ma in questo caso si è dimenticato un capitolo della storia: quello che lo riguarda. Perché il supercronista la faccenda di trans e cocaina avrebbe potuto intercettarla molto prima che lo facesse Berlusconi. Infatti, come racconta il nostro Gianluigi Nuzzi a pagina 7, il 25 settembre insieme a un gruppetto di colleghi e politici ricevette un sms che lo informava dell’esistenza di un video in cui si vedeva Marrazzo «che sniffa con due trans». La notizia, come è noto, non è del tutto esatta: il trans è uno solo, il governatore non sniffa ma la droga è nel piatto. Tutto ciò però ha poca importanza. Ciò che conta è che D’Avanzo, insieme a due colleghi del Fatto quotidiano, ovvero l’ultrasinistra del giornalismo, sanno che un politico è ritratto in una situazione a dir poco imbarazzante. Invece di buttarsi a capofitto alla ricerca del video o quanto meno di un riscontro, che fanno l’ispettore giudiziario di Repubblica e i suoi colleghi? Niente. Assolutamente niente. Non cercano conferme, non vanno a caccia d’immagini come avrebbero fatto se si fosse trattato di Berlusconi o di un parlamentare di centrodestra. No, alzano le spalle e dicono che la notizia è una bufala.
D’Avanzo è il cronista che ha battuto Portici palmo a palmo pur di trovare il fidanzatino di Noemi e farlo parlare male del Cavaliere. l’inviato speciale sul fronte dell’antiberlusconismo, un cagnaccio che non molla la presa quando c’è da mordere i polpacci del premier. Lui è l’uomo delle dieci domande, ripetute e aggiornate per mesi con maniacale ossessione. Improvvisamente, ammutolisce quando si trova di fronte lo scoop dell’anno, quello su Marrazzo. Di chiedersi se il video è vero, chi lo ha registrato, chi lo custodisce, il 25 settembre pare non averne voglia. Forse è distratto dai postumi delle vacanze o forse pensa a quelle che verranno, sta di fatto che il segugio non segue la pista. Colpito da apatia da informazione giudiziaria lascia per settimane che il filmato giri, che un po’ di colleghi ne parlino, che qualche politico, anche di sinistra, ne venga a conoscenza. Si risveglia solo quando entrano in scena i carabinieri del Ros e scoprono il ricatto. Dopo aver ignorato cosa aveva davanti, comincia a domandarsi cosa c’è dietro.
Per D’Avanzo il problema è cosa succede nei giorni trascorsi tra il momento in cui il direttore di ”Chi” viene a conoscenza del video e la telefonata di Berlusconi a Marrazzo. Per noi il problema è cosa succede tra il 25 settembre, giorno in cui D’Avanzo sa del video, e il 21 ottobre, data in cui vengono arrestati i presunti estortori. E per questo facciamo alcune domande al re delle domande. Perché chiude gli occhi? Forse che un governatore con un trans vale meno di un presidente del Consiglio a una festa di compleanno? Oppure un Marrazzo in mutande tra viado e cocaina non conta quanto un Berlusconi tra belle ragazze? C’è una lista di istituzioni esentate da articoli a luci rosse e un’altra invece per cui gli articoli hard sono obbligatori? Oppure è amico di Marrazzo, di sua moglie, di sua zia o della cugina di settimo grado? Ha mai conosciuto il governatore (se sì, specificare quando), la moglie, la zia o la cugina? Cosa rende poco interessante la vita privata di un presidente di Regione e tremendamente pruriginosa quella di un premier? Il colore politico? L’appartenenza a un partito? Oppure esiste una legge della «Repubblica», quella rossa intendo, che vieta di occuparsi di chi sta a sinistra e obbliga a azzannare chi milita a destra?
Ecco, sono dieci. Naturalmente non mi aspetto che mi risponda. Mi aspetto solo una querela. Così la beffa per D’Avanzo e tutti i suoi epigoni sarà perfetta. Arrivederci.

GIANLUIGI NUZZI PER LIBERO
Dovevamo immaginarlo. Da tangentopoli a transopoli il passo è breve, brevissimo. Il tempo di un clic, di un video e l’asticella scende. Così in una transopoli abitata da moralisti a gettone si sta cercando di girare la colpa sul solito Silvio Berlusconi, imputato di aver avvisato Piero Marrazzo, sostenendo in pratica che il Cavaliere doveva rendere pubblico il video della notte di via Gradoli. Berlusconi non doveva avvisare quindi nessuno e far sì che il mondo sapesse. Il ragionamento non sta in piedi. Perché se Berlusconi si fosse così comportato, un domani lo avrebbero accusato di aver armato la mano di un qualsiasi scoop con seguito di inevitabili richieste di dimissioni. Se invece proviamo a condividere comunque questa tesi bisogna ritenere che valga per tutti. A iniziare proprio da chi impartisce questa interessata lezione al presidente del Consiglio. Si ha una notizia, bisogna darla.
Nella vicenda di Marrazzo invece non è andata così. Tra impacci e imbarazzi, silenzi e giochi sugli specchi sta venendo fuori una verità ben diversa, che val la pena di raccontare dall’inizio alla fine. Ovvero, già un mese fa giornalisti di punta di testate importanti, cronisti investigativi sapevano dell’esistenza del video, del suo contenuto, del politico ritratto. Avevano indizi importanti. Avevano tutto il tempo di verificare, cercare riscontri, capire di più su un filmato che almeno in apparenza lega il presidente della Regione Lazio a trans e coca.
la catena di montaggio
Il 25 settembre scorso alle ore 15 squillano dieci cellulari. Le utenze sono quelle di Giuseppe D’Avanzo (Repubblica), di due colleghi de Il Fatto, del sottoscritto e anche di una pattuglia mista di parlamentari: Italo Bocchino (PdL), Francesco Storace (La Destra), Daniele Capezzone (PdL), Bobo Craxi e un amico dello stesso Marrazzo che ha chiesto l’anonimato. Sui cellulari arriva un sms di un personaggio al centro di mille relazioni nel mondo della politica, dei media, come l’imprenditore Luigi Crespi, l’uomo dei sondaggi un tempo vicino al Cavaliere. Il messaggino seppur impreciso potrebbe rilevarsi una bomba atomica: ”Altra spolverata di fango - si legge -, pare stia per uscire un filmatino con Marrazzo che sniffa con due trans, ormai siamo nella fogna infognati”. Il 25 settembre non è un giorno qualsiasi. L’sms arriva in un momento in cui di questo filmato si sa ancora poco o niente. Era stato proposto in estate al settimanale Oggi, ma Andrea Monti e Umberto Brindani non si erano detti interessati. Prima ancora le nostre Brunella Bolloli e Fabiana Ferri avevano visionato tre minuti di filmato insieme a Gianguarino Cafasso, il pusher tossicomane che morirà poco dopo. Non fidandosi hanno respinto l’offerta. Alfonso Signorini, il direttore di Chi ancora non ha in mano il dischetto. Insomma, si può salire sulla notizia e approfondirla.

Subito dopo l’sms, come per incanto, accadono dei fatti strani. Qualcuno riversa negli ambienti giornalisti notizie tese a dissuadere l’approfondimento sul politico di sinistra. «Il video è un falso», «La videocassetta è in mano a gente pericolosa, dei servizi segreti deviati». « una operazione di diffamazione, Marrazzo non va a trans. Il video è manomesso al computer». Libero non si scoraggia. Cerca di risalire la catena di montaggio dell’informazione chiedendo a Crespi un contatto con chi gli aveva dato la notizia. La sensazione è di muoversi in solitudine. Non si sente il fiato sul collo. Né D’Avanzo, cronista di punta di Repubblica capace di elaborare ogni sospiro di Noemi, della D’Addario, né gli altri sembrano agitarsi più di tanto. Peccato. Mai sapremo cosa sarebbe accaduto se l’sms avesse avuto Berlusconi e non Marrazzo come protagonista. Per intuirlo basta declinarlo con il nome del presidente: «Altra spolverata di fango - si legge -, pare stia per uscire un filmatino con Silvio che sniffa con due trans, ormai siamo nella fogna infognati». Di fronte a questo sms i destinatari impigriti sul leader di sinistra del Lazio come avrebbero reagito, con quella pigrizia che ha segnato il caso Marrazzo?
l’ipotesi cospiratoria
Questo sms non solo è testimone di disattenzione ma il fatto che sia stato mandato a numerosi parlamentari, politici, amici di Marrazzo azzera l’ipotesi cospiratoria che con interesse chi ha stressato per sei mesi il paese con le escort cerca ora di riversare sul presidente del Consiglio. Bisogna rassegnarsi, il complotto ordito da Berlusconi non c’è. Basta rileggere le date: questo cadrebbe dagli inizi di ottobre quando ormai la cosa è nota a esponenti di diverse anime della PdL e anche dell’opposizione. A meno che non si voglia parafrasare l’assurdo con Berlusconi che ordisce incurante del piccolo particolare che i vizi di Piero sono ormai noti nelle stanze della politica.