Roberto Giovannini, la Stampa 31/10/2009, 31 ottobre 2009
LA PARTITA IVA DEI MURATORI MAGHREBINI PAGATI IN NERO
Che mondo. un mondo tremendo». Il nome vero non lo dice, ha troppa paura: «Se mi riconoscono ho chiuso, non lavorerò mai più». Lo chiameremo Hassan: ha quarant’anni, viene da un paese del Maghreb ed è laureato in biologia. Naturalmente qui in Italia, in Val di Magra, tra Sarzana e La Spezia, dove vive dal 2005, fa tutt’altro: il muratore. Ma sulle impalcature - quasi sempre senza casco o altre misure di sicurezza - Hassan non ci va da lavoratore dipendente, e se per questo nemmeno da precario. Ci va come «imprenditore», come datore di lavoro di sé stesso, con tanto di partita Iva.
E anche se a fine mese il padroncino che lo fa lavorare - se tutto va bene - gli avrà dato al massimo 1.000, 1.100 euro, Hassan è costretto ad emettere fatture da due, tremila euro ogni mese. Fatture fasullissime, ovviamente, come è fasulla e terribile la condizione di dover accettare di lavorare da «imprenditore di sé stesso» (senza tutela dagli infortuni, senza contributi, sottoposto a un ricatto continuo) pur di avere attraverso quel pezzo di carta la possibilità di conquistare l’agognato permesso di soggiorno. Pagato 8 euro l’ora, per giornate di 12 o più ore di lavoro, invece dei 12 euro dei «fortunati» lavoratori in nero. Sono un puro miraggio i 25 euro l’ora stabiliti dal contratto di lavoro. Un sistema allucinante che si sta diffondendo a macchia d’olio, spiega Roberto Canale, il segretario spezzino degli edili della Cgil. «Si tratta di centinaia di edili costretti alla partita Iva - dice sconsolato - una realtà che a quanto pare solo noi vogliamo cambiare».
«In patria - racconta Hassan, cappellino rosso del sindacato in testa - lavoro non c’era, e così decisi di andare in Europa. In Francia prima, dove ho imparato a fare il muratore; in Italia a fine 2002, approfittando della sanatoria prevista dalla Bossi-Fini. In Val di Magra perché ci sono dei miei compaesani, ci aiutiamo tra noi». Vita dura, quella dell’operaio edile, ma tranquilla: finché tra il 2005 e il 2006 arrivano i romeni, «gente disposta a tutto, che accetta di lavorare per una ”giornata” che dura 13 ore la miseria di 35 euro, senza caschi, senza niente. Gente che vive in 20 dentro case affittate da italiani a 400 euro al mese». E i romeni soprattutto dal 2007 sono cittadini dell’Unione Europea, e a differenza dei maghrebini che hanno bisogno del permesso di soggiorno. «Io a questi prezzi non posso sopravvivere - lamenta Hasan - devo vivere qui, e mandare i soldi a mia moglie e ai miei due bimbi al paese. Loro stanno bene, ma io li vedo solo due volte l’anno».
Il fatto è che da quando è cominciata la crisi non c’è scelta: lavoro «regolare» non se ne trova. E poi, ai lavoratori extracomunitari serve il permesso di soggiorno, che viene concesso per l’arco di durata del contratto di lavoro che un’azienda gli fa, e che la Questura concede dopo dieci mesi, quando in pratica sta per scadere. Niente contratto, niente permesso. E i «padroncini» delle aziende edili – per lo più italiani, ma ce ne sono tanti anche tunisini o del Marocco - hanno buon gioco: i romeni si lasciano al nero, gli extracomunitari si prendono a lavorare se aprono la partita Iva. «E ti dicono anche di andare da certi commercialisti amici loro – racconta – gli dai le carte, paghi 300 euro, e pensano a tutto loro, fatture false comprese. In mezz’ora puoi andare in cantiere a lavorare».
Che cosa vuol dire lavorare così? «Vuol dire che se ti fai male ti lasciano insanguinato davanti all’ospedale. Che non si paga l’Inail e non si ha diritto a niente in caso di infortunio, che non si pagano né tasse né contributi. Del resto, anche un mio amico che pensava di essere assunto in regola, dopo due anni è stato licenziato. E’ andato con 24 buste paga all’Inps per chiedere l’indennità di disoccupazione, e ha scoperto che l’impresa non esisteva. Aveva solo un numero di telefono del datore di lavoro: ”sbagliato numero”, gli hanno detto».
Ovviamente un sistema simile funziona soltanto perché tutti – istituzioni e amministrazioni comprese – sono d’accordo a far funzionare questa macchina di sfruttamento. «Per forza. Saremo centinaia, ”imprenditori”, ma all’Ufficio Iva nessuno dice niente. Le mie false fatture false sono da 2.000-2.500 euro al mese, anche se ne prendo 1.000 lavorando 12 ore al giorno, e ovviamente non pago un centesimo di Iva o Irpef. Non la paga nessuno – dice Hassan - abbiamo imparato dagli italiani, nessuno paga mai niente». Verifiche fiscali? «Nessuno mi ha mai chiesto niente, neanche una lettera». Controlli degli ispettori del lavoro? «Da quando sono in Italia, mai». I rapporti con gli italiani? «Ce ne sono tanti come noi, muratori con partita Iva. Però loro prendono 15 euro l’ora invece di 10, e non è giusto. E poi, capita che i nostri colleghi italiani ”imprenditori” facciano a noi extracomunitari dei contratti di lavoro falsi, che ci servono per il permesso di soggiorno: un ”favore” che gli dobbiamo pagare 1.000 euro». Prospettive, speranze? «Non ne ho. E’ troppo facile e comodo approfittarsi di noi».