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 2009  ottobre 31 Sabato calendario

TRE FOTO CHE PASSANO IL SEGNO


Basta un’immagine, la sequenza di un video, lo scatto di una foto per mettere il turbo ai sentimenti e alla commozione. Da soli, sviluppano potenza più di mille parole, sanno convincere e avvincere. Perché la parola, il ragionamento, il seguire il dispiegamento della logica vogliono sì la nostra attenta partecipazione ma ci lasciano la libertà di scelta: fermarsi o girare pagina. L’immagine, invece, non concede tanta libertà: scarica tutti i suoi cavalli senza trattenersi. Una partenza da Gran premio, senza lunch control. Per questo la stampa fa di tutto per assomigliare alla tv e agli action-movie.

Tutto questo per dire che la multimedialità ha dominato la settimana delle news: due video e una fotografia. Cioè: il film su Marrazzo che, pur secretato, è stato svelato, raccontato e descritto fino al disegno delle mattonelle dell’alcova di via Gradoli. Poi, il terribile filmato dell’agguato a un camorrista del rione Sanità di Napoli, freddato in presa diretta e nell’indifferenza dei passanti. Infine la foto: quella di Stefano Cucchi, il giovane tossico entrato vivo in carcere e uscito dopo tre giorni morto e con il corpo massacrato.
Ammortizzatori mediatici

Ecco, questa settimana, la cronaca più che raccontata è stata vista. Cronaca hard, da cover story e degna della prima serata in tv. C’è forse qualcosa che lega i tre episodi, qualche filo che li accomuni e che si possa usare per cercare di capirne qualcosa di più? O siamo condannati a stare solo dalla parte ”di chi guarda”, spettatori senza diritto di parola mentre sgranocchiamo pop corn e tracanniamo birra? La realtà come spunto fantastico per un più vero reality.

Dunque, il legame. Tutte e tre le sequenze appartengono al brevissimo film di tre vite che non ci sono più. Quella solo politica per Marrazzo, le altre due letteralmente.

Rivediamo quelle immagini: 1) il governatore stralunato chiede ai suoi aguzzini di non rovinarlo; 2) il piccolo boss fuma appoggiato allo stipite del bar l’ultima sua sigaretta, alle spalle il killer punta la pistola; 3) Stefano già cadavere col petto sezionato e poi ricucito come un pollo, gli occhi pestati fino a farli rientrare nelle orbite, pare il Cristo del Mantegna, ma pesa solo 37 chili.

Bisogna che queste tre immagini ci percuotano, ci entrino dentro a riempire il cuore di angoscia e riaccendere la domanda: perché? A spingerla non è solo il sentimento ferito o la ragione mortificata: questa durerebbe solo pochi istanti, qualche lacrima di commozione e poi di nuovo a sentire le chiacchiere di Annozero, Porta a Porta, L’Infedele.

No, c’è qualcosa di più e d’altro da fare. Permettere che l’impatto con quelle vite straziate riverberi fin nel profondo, attacchi le nostre fibre, arrivi fino ai desideri primi e infiniti del cuore. Prima di ogni sapere saputo, concetto o convinzione politica. Per strappare da quei fotogrammi l’uomo tout court, senza altri aggettivi. Che, ci pare di sentire, reclama un finale diverso, un destino che non sia solo spavento o morte. Come noi.

Eppure, contro questo ”cuore”, abbiamo visto schierarsi gli anestesisti dell’opinione pubblica, i venditori di ammortizzatori civili e sociali, gli airbag mediatici per proteggerci dalla realtà con alti muri di gomma piuma. Perché il contraccolpo non faccia male allo spettatore e ritorni dolcemente al mittente.

In questo gioco, la stampa di sinistra e maestra e madre. Il caso Marazzo? Dopo la prima botta, Repubblica ha trovato il bandolo che permette alla sinistra di assorbire lo shock e ribaltare la verità. Così l’ex governatore, da vittima di se stesso e del suo disastro morale e umano, si trasfigura in ostaggio eroico e di grande dignità, ignobilmente ricattato da Silvio Berlusconi. I trans? Le tragedie di tanti viados dal corpo deformato da ormoni, silicone e cocaina, sono pretesto per imbastire una stucchevole quanto ipocrita estetica del sesso ambiguo e della libertà transgender. E il camorrista steso a terra è miccia per un bel dibattito su come si muore a Gomorra, sull’impegno civile antimafia, sull’indifferenza della gente e sul Sud abbandonato dal governo di centrodestra.

Infine il ragazzo ucciso in carcere. Qui è la sinistra antagonista a precipitarsi sul corpo straziato per avvolgerlo nel lenzuolo di slogan ammuffiti: la brutale repressione, il braccio violento della legge, lo Stato di polizia...
Il mondo dell’irrealtà

Basta. Come fermare allora, il film horror di via Gradoli, bloccare l’immagine del killer prima che spari, dare una risposta al dolore della madre di Stefano, ucciso da chi aveva il dovere di difenderlo?

Può essere una buona pista un articolo sul caso Polanski che Filippo La Porta, saggista e critico letterario, ha scritto l’altra settimana per il Foglio. Dice che il disgraziato regista è vittima di quella cultura che giustifica ogni impulso e istinto, che ci incoraggia a non trattenerci mai, ad appagare tutti i desideri, a considerare qualsiasi limite come intollerabile censura. Fin negli spot: «Do it» (fallo) incita lo spot della Nike, mentre Ikea incoraggia a «Vivere a modo tuo». E allora, si chiede La Porta, «perché dovrebbe fermarsi chi abusa del potere che gli dà il suo ruolo, sia egli un medico o un politico?». E si può aggiungere: un governatore, un killer o una guardia carceraria.

Ecco, a questo potrebbe indurci un giusto contraccolpo sorgente da quelle foto, vero, non sentimentale o ideologico. La Porta offre anche una risposta: fermarsi si deve se non si vuole cascare nell’irrealtà, in mondo illusorio e ingannevole. Nel purgatorio dantesco, ricorda il critico, «i sette peccati capitali nascono tutti dalla irrealtà e generano altra irrealtà: solitudine, desolazione». La realtà, nei suoi fatti e nelle sue conseguenze, come fondamento della ragione e criterio di moralità. I giornali non ci aiutano ed è davvero uno scandaloso paradosso. Dovrebbero vivere di fatti e notizie, ma le incartano con i loro valori e birignao prima di finire essi stessi a ricoprire la lettiera del canarino. Meglio allora quelle immagini di feroce umanità, ma reali. Necessari per passare il segno e arrivare al significato. Forse.