Ettore Livini, la Repubblica, 30/10/2009, 30 ottobre 2009
LA PRIMA GUERRA DELLA SVIZZERA
I corpi speciali della guerra dello scudo, in regolare divisa delle Fiamme Gialle, sono in azione sul confine più "caldo" d´Italia già dalla prima mattina. Hanno parcheggiato il loro furgone grigio ipertecnologico a bordo strada. Il tettuccio scricchiola, trema per un attimo. Due pistoni idraulici scoperchiano una botola da cui spuntano, quasi per magia, braccio meccanico e telecamera. L´occhio elettronico gira con un ronzio, segue la fila di auto in colonna verso la Svizzera e inquadra l´obiettivo nel mirino. Dieci metri, cinque, tre. A fuoco? «Clic». L´autovelox fiscale ha colpito ancora: vittima una Range Rover Bianca Sport Hse di Genova. La targa (Ds 347...) è stata immortalata, registrata in hard-disk e digitalizzata, come capiterà in giornata ad altre migliaia di vetture. Obiettivo ufficiale: smascherare gli esportatori di capitali, balzati d´improvviso - dopo anni d´impunità - in vetta alla lista dei "Most wanted" della criminalità tricolore. Obiettivo reale: «Spaventare gli italiani con i conti in Canton Ticino - butta lì Fulvio Pelli, presidente del Partito liberal-radicale elvetico - nella speranza un po´ miope di convincerne il più possibile ad aderire allo scudo prima della scadenza del 15 dicembre».Benvenuti sul fronte della "Prima guerra fiscale". Italia contro Svizzera. In ballo i 130 miliardi di risparmi del Belpaese parcheggiati da anni nei riservatissimi forzieri delle banche rossocrociate. Giulio Tremonti – costretto ai salti mortali per far quadrare i conti dello stato – vuol farli rientrare in patria a tutti costi grazie alla mini-multa – il 5% sul capitale regolarizzato – prevista per i "pentiti". Berna fa quadrato, a difesa del suo buon nome («siamo nella lista bianca dell´Ocse, altro che la caverna di Alì Babà di cui parlano a Roma», si infiamma James Nason dell´associazione dei banchieri elvetici) e di un´industria bancaria che vale il 15% del pil nazionale e il 20% di quello di Lugano.
La guerra (fredda, per fortuna) si combatte senza esclusione di colpi. I contestatissimi "mezzi mobili plurisensoriali", l´esoterico nome tecnico degli Autovelox della Finanza piazzati su molti valichi di confine, sono solo la punta dell´iceberg. L´Agenzia delle entrate tricolore «con tempismo sospetto», ironizza Pelli, ha mandato decine di finanzieri a perquisire le sedi italiane di 76 banche svizzere. «Un´azione discriminatoria – dice Nason ”. Un blitz teatrale e inutile che non ci aspettavamo da un paese amico. Pura propaganda pro-scudo, lo capirebbe anche un bambino». Il Governo svizzero, come succede in ogni conflitto che si rispetti, ha convocato l´ambasciatore italiano a Berna esprimendo il suo disappunto. E i falchi iniziano a soffiare sul fuoco. «Se parlassi io, il governo italiano cadrebbe in 24 ore» ha minacciato in un´intervista a Blick un anonimo ex-direttore di un istituto ticinese. «Sospendiamo i negoziati sulla doppia imposizione con l´Italia», ha chiesto il consigliere agli Stati Filippo Lombardi. «Chiudiamo i rubinetti agli italioti – butta lì senza andar per il sottile Giuliano Bignasca, storico leader della Lega dei ticinesi arrabbiatissimo con gli "amici" del Carroccio ”. Io propongo di ritirare 500 permessi di lavoro ai frontalieri per ogni miliardo scudato!».
Eccessi? Può darsi. Ma che la tensione sia altissima – specie a cavallo del confine dove la posta in gioco è più alta – è evidente nei fatti. «L´Italia tratta le nostre banche peggio della mafia», ha detto il posatissimo ex procuratore generale Paolo Bernasconi. Gabriele Gendotti, presidente del Consiglio di stato ticinese, ha evocato lo spettro dello spionaggio internazionale: «Capisco che l´Italia in crisi abbia bisogno di denaro – ha detto – ma ci sono segnali di agenti del fisco giunti in Svizzera per controllare i loro connazionali». «Una leggenda metropolitana», minimizzano al comando provinciale della finanza di Como. Sarà. Ma nel dubbio il municipio di Chiasso ha attivato ieri le ronde anti-investigatori, pattuglie di poliziotti incaricate di smascherare le "spie" nemiche. E ha chiesto, come si fa quando l´allarme è rosso, «la collaborazione della popolazione».
Nell´occhio del ciclone, al momento, sono finiti i 44.500 frontalieri italiani che ogni giorno attraversano il confine per andare a lavorare in Svizzera. Il loro rischio è finire cornuti e mazziati. Bignasca vuol rispedirli in patria. Anche se come dice Claudio Pozzetti, segretario Cgil di settore «senza la manodopera tricolore l´industria ticinese (178mila addetti in tutto, ndr) crolla». Berna – come ritorsione anti-Tremonti – ha minacciato di ridurre dal 40% al 12,5% (come per l´Austria) i cosiddetti ristorni fiscali, la quota delle loro tasse girata all´Italia (59 milioni nel 2008, finiti ai Comuni di confine, per lo più ad amministrazione leghista). Di più: lo scudo di Tremonti rischia di costare ai frontalieri multe salatissime. «Fino al 200% dei loro versamenti previdenziali», dice Johnny Crosio della Lega Nord, assicurando che il Carroccio «ha avviato un pressing al riguardo su Tremonti».
Come finirà? «Le domande di rimpatrio di capitali sono già parecchie, lo scudo Ter di Roma avrà più successo delle prime due versioni, anche perché le condizioni di rientro sono molto generose – ammette in camera caritatis un banchiere luganese ”. Ma la nostra piazza finanziaria ha i mezzi per resistere. E visto che l´Italia non sembra intenzionata a combattere davvero l´evasione, i capitali in Svizzera, scudo o non scudo, continueranno ad arrivarne».
Berna stessa sembra volere più la pace della guerra anche se il raid dell´Agenzia dell´entrate nelle filiale italiane delle banche elvetiche – «un boomerang» sostiene Pelli – ha costretto il Governo a far quadrato attorno a un problema che finora era solo ticinese. La parola d´ordine, nella miglior tradizione della riservatezza elvetica, è sopire e troncare, troncare e sopire. «Abbiamo competenze e know-how tali da consentirci di guardare con serenità al futuro – dice Nason ”. La gente non ci sceglie mica solo perché c´è il segreto bancario». Lo stesso ministro delle finanze elvetico Hans Rudolf Merz, compagno di partito di Pelli, si schiera con le colombe: «L´Italia deve toglierci dalla black list – ha dichiarato al Sole 24 Ore – ma fare lo scudo è un suo diritto». L´obiettivo di Berna, che in questi mesi ha dovuto gestire anche la patata bollente dell´inchiesta Usa sui clienti Ubs, è arrivare a una soluzione che salvaguardi il sistema senza compromettere i rapporti con il resto del mondo.
Il primo passo è stato l´ok all´euroritenuta, una tassazione crescente sui redditi dei cittadini esteri da girare ai paesi d´origine. Che però, come si è lamentato in una lettera il solito implacabile Tremonti, ha reso all´Italia in un anno "solo" 89 milioni. Come se in Svizzera ci fosse la miseria di 30 miliardi tricolori. «Il segreto bancario non durerà in eterno, l´abbiamo capito anche noi – dice Pelli ”. La soluzione migliore sarebbe una tassazione secca alla fonte ben fatta. Lo proponiamo a tutti ma l´Italia, guarda caso, è uno dei paesi che ci sente meno». La guerra fredda, in prospettiva scudo, rende di più. «Ma il mondo non finisce mica il 15 dicembre – conclude il consigliere federale liberal-radicale ”. Se industriali e professionisti del Belpaese portano i soldi nel Ticino o a Singapore il problema non siamo noi, ma il fisco tricolore. E provocare è rischioso. La Svizzera è un paese a democrazia diretta. Noi saremmo per trattare, ma se la gente poi ce l´ha su con Roma, possono far saltare noi e la nostra buona volontà con un referendum...». Neutrali, insomma, va bene. Ma sacrificarsi per Tremonti, alla fine, quello di sicuro no.