Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 30 Venerdì calendario

REGOLE, OBBLIGHI, DIRITTI: ECCO LA NUOVA UNIVERSITA’

(Pezzo generale + tre approfondimenti) -

La riforma dell’università «sarà legge nei primi mesi del prossimo anno, tra febbraio e marzo. Poi ci vorranno sei mesi per i decreti legislativi. Entro un anno sarà applicata». Lo ha annunciato il ministro Mariastella Gelmini. Negli 88 atenei italiani si discute della proposta appena varata dal governo. Si tratta di un provvedimento destinato ad avere un grosso impatto perché investe tutti gli aspetti della vita delle università. Che continuano a essere autonome, ma d’ora in avanti dovranno dar conto del proprio operato: dall’uso che viene fatto delle risorse finanziarie ai risultati della ricerca scientifica e dell’attività didattica. Le università che saranno gestite male, che daranno i risultati peggiori riceveranno meno finanziamenti. I soldi non verranno più dati a pioggia. Molte le novità in arrivo: dalla gestione affidata ai manager alla progressione di carriera in base al merito, dal reclutamento dei prof che partirà con un’abilitazione nazionale all’apertura dei cda al territorio e alle imprese, dalla valutazione dei docenti da parte degli studenti all’introduzione del prestito d’onore, dal termine di 8 anni per il mandato di un rettore ai contratti a tempo determinato per i nuovi ricercatori che non potranno svolgere questo ruolo per più di sei anni. Fino all’accreditamento dei corsi universitari’ sarà chiaro quali sono quelli che funzionano e quelli che non vanno – che secondo il ministro Gelmini, «va nella direzione di favorire l’abolizione legale dei titoli di studio». «Una proposta di Confindustria che condivido e che condividiamo dentro al governo – ha spiegato il ministro ”. chiaro che si tratta di un punto di arrivo e non di partenza».

Le polemiche non si sono fatte attendere. A poche ore dall’approvazione del ddl l’Unione degli Universitari (Udu), organizzazione di sinistra, ha proclamato la mobilitazione. Si comincia da Palermo dove stamani si svolgerà un’assemblea con il rettore Roberto Lagalla.

Secondo Piergiorgio Bergonzi, responsabile Scuola del Pdci – Federazione della sinistra «il Ddl del governo è contro l’università pubblica: conferma i tagli di risorse e definisce il processo di privatizzazione, trasferendo poteri senza precedenti ai consigli di amministrazione, prevedendo al loro interno una presenza di privati-esterni pari al 40 per cento e incoraggiando la trasformazione delle università in fondazioni». La Conferenza dei rettori (Crui) si riunirà mercoledì per un esame della riforma. Il giudizio è positivo, purché arrivino i finanziamenti. Ma come cambierà la vita quotidiana negli atenei nei prossimi anni? Ne parliamo con i diretti interessati: professori, ricercatori e studenti.


IL PROFESSORE - L’orario di lavoro fissato per legge -

 una piccola rivo­luzione, ma sembra destinata a cambiare le abitudini dei pro­fessori universitari. A comincia­re da quelle relative all’orario di lavoro. Fino a oggi non si è mai saputo a quante ore dovesse ammontare l’impegno lavorati­vo di un docente universitario nel corso di un anno. Ora lo sap­piamo: 1500 ore, 36 ore a setti­mana. Di definito, finora, c’era solo l’impegno legato all’attivi­tà didattica, 350 ore di cui 120 da destinare alle lezioni. In alcu­ne università la certificazione delle ore di lezione è prassi nor­male. Ora verrà estesa a tutti gli atenei. Il compito spetterà ai nu­clei di valutazione di ciascuna università. La riforma – sem­pre che l’iter parlamentare non cambi alcune cose – fissa dei paletti su una materia mai rego­lamentata a fondo.

Naturalmente la novità non spaventerà quei docenti che nell’università hanno passato e passano la gran parte del loro tempo. «Questa mattina ho co­minciato a lavorare alle nove e stasera uscirò dall’università verso le 21. Domani lavorerò fi­no alle tredici. Non credo che con la riforma Gelmini e i suoi incentivi potrò dare di più. Co­me non potranno dare di più tutti i professori che amano questo mestiere e lo hanno scel­to per questa ragione». Il profes­sor Bruno Dente insegna al di­partimento di Architettura del Politecnico di Milano, una delle università più quotate a livello internazionale.

Cambia anche lo stipendio del prof. Oggi subisce un incre­mento automatico ogni due an­ni, a prescindere da qualunque tipo di verifica sull’attività di­dattica e scientifica. La remune­razione può raddoppiare solo in ragione del passare degli an­ni. Con la riforma non solo gli scatti diventano triennali, ma vengono concessi solo dopo una verifica che verrà fatta da una commissione composta in parte da membri esterni all’ate­neo. I docenti che non hanno prodotto nulla di scientifica­mente valido restano al palo. Sulla progressione di carriera potrebbe influire anche il giudi­zio degli studenti, i cui risultati comunque restano riservati a un uso interno.

Il professor Eugenio Gaudio, docente di Anatomia nella facol­tà medica della Sapienza di Ro­ma è convinto che nei prossimi anni la qualità della sua vita di cattedratico potrebbe migliora­re sulla spinta di una sfida che lo appassiona: «La riforma mi indurrà a impegnarmi di più sotto il profilo scientifico e di­dattico perché la progressione economica sarà legata alla pro­duttività ». Un po’ alla volta le università si apriranno alla mobilità. Nei nuovi concorsi solo un terzo dei posti può esser riservato agli interni. Luisa Collina, do­cente della facoltà di Design del Politecnico di Milano, già si ve­de immersa in un ambiente nuovo, forse internazionale, più dinamico, più stimolante, molto diverso dall’attuale carat­terizzato dalla quasi totalità di docenti formati e cresciuti nella stessa università. Cambia l’in­gresso nella carriera accademi­ca, attraverso un’abilitazione nazionale per titoli. «Finalmen­te potrei avere la possibilità di avere degli allievi ai quali posso dare una possibilità per il futu­ro – dice Andrea Lenzi, presi­dente del Consiglio universita­rio nazionale e direttore del di­partimento di Fisiopatologia medica della Sapienza ”. Se og­gi vado nel mio dipartimento trovo dieci allievi bravi ai quali non so quale futuro dare. Doma­ni, con la riforma, avrei la possi­bilità di far prendere loro un’abilitazione nazionale, non condizionata da posti definiti ma solo sulla base della qualità scientifica».

Giulio Benedetti


LO STUDENTE - Voto a chi insegna e certezza di trovare il prof in cattedra -

L’identikit dello studente di domani è quello di «uno che finalmente si trova al centro del sistema», dice Mat­teo Petrella, 27 anni, a cui man­ca un esame per laurearsi in Economia a Roma Tre. Per esempio, non sarà più un optio­nal per lui incontrare all’univer­sità il suo professore: con la ri­forma Gelmini il docente di ruolo sarà obbligato a non dar­gli «buca» nel giorno di ricevi­mento e a salire in cattedra a fa­re lezione senza più farsi sosti­tuire dagli assistenti, come in­vece oggi succede e non di ra­do. Anche perché gli conviene: lo studente del 2010 avrà un’ar­ma in più per farsi rispettare dai «baroni». Il voto. Avrà cioè il potere di giudicare, di pro­muovere o bocciare il suo pro­fessore per la frequenza in aula e la bontà della didattica. E sa­ranno dolori, per l’ateneo di ri­ferimento.

Perché non saranno giudizi astratti, senza conse­guenze: i voti dei ragazzi risul­teranno determinanti per la ri­partizione dei fondi statali. Il Miur premierà, cioè, con stan­ziamenti maggiori le universi­tà con i docenti più produttivi. «Insomma, una rivoluzione», commenta soddisfatto Renato Marini, 20 anni, studente di Scienze della comunicazione a La Sapienza. I voti (in alcuni atenei la pratica è già diffusa ma ora verrà estesa a tutto il pa­norama) potranno essere espressi dai ragazzi individual­mente al termine dei corsi (for­se tramite questionario). Ma anche in sede di Nucleo di valu­tazione d’ateneo: un organo già esistente che, però, prima della riforma Gelmini era costi­tuito in maggioranza dai docen­ti interni. D’ora in poi non sarà più così.

L’identikit dello studente di domani è quello di uno che for­se dovrà studiare di più ma an­che soffrire di meno per tirare avanti. Nell’articolo 4 del ddl Gelmini è previsto un fondo speciale nazionale «finalizzato a sviluppare l’eccellenza e il me­rito dei migliori studenti, indi­viduati tramite prove nazionali standard». In particolare, il fon­do è destinato a erogare agli studenti più meritevoli «borse e buoni studio da utilizzare per il pagamento di tasse e contri­buti nonché per la copertura delle spese di mantenimento durante gli studi». Più facili an­che i prestiti d’onore (saranno garantiti tassi bassissimi).

Tutti soldi, questi, che si ag­giungeranno a quelli stanziati già ogni anno dalle Regioni e che dunque renderanno più co­spicuo il gruzzolo a disposizio­ne degli aventi diritto (oggi una borsa di studio per i fuori­sede, in media, non supera i 2-3 mila euro l’anno). Novità in arrivo anche per mense e ca­se dello studente: saranno ga­rantiti degli standard qualitati­vi minimi a livello nazionale (a cui le Adisu regionali dovran­no adeguarsi) per evitare che i ragazzi di un ateneo si trovino ad abitare in ministanze col ba­gno in comune (come succede in via De Lollis a Roma) e stu­denti di altre università abbia­no invece tutti i comfort. Sorri­de Matteo Petrella, che però è presidente romano di Azione universitaria e dunque sicura­mente pro Gelmini. Ma il con­senso studentesco intorno alla riforma non è unanime. I ragaz­zi dell’Onda si pronunceranno solo la prossima settimana, quando renderanno pubblico un loro documento. Giuseppe Di Molfetta, 24 anni, studente di Fisica a La Sapienza, annun­cia invece che il Coordinamen­to Link e l’Unione degli studen­ti hanno già indetto una giorna­ta di mobilitazione nazionale per il prossimo 17 novembre, con scioperi e cortei in tutta Ita­lia contro quello che ritengono «lo smantellamento dell’uni­versità pubblica » .

Fabrizio Caccia

IL RICERCATORE - Sei anni di contratto poi cambiano carriera e ruolo -

Ecco il ricercatore del futuro, disegnato dalla ri­forma Gelmini. Si laurea e, gra­zie ai meriti acquisiti durante gli anni di studio, ottiene tre anni di contratto con il diparti­mento di una facoltà universi­taria. Alla scadenza, se il suo la­voro sarà stato soddisfacente per il dipartimento, contratto rinnovato per altri tre anni. Nel frattempo, il nuovo ricerca­tore cerca di ottenere – per ti­toli – l’abilitazione nazionale all’insegnamento universita­rio. Con l’abilitazione in tasca, alla scadenza dei sei anni po­trà essere chiamato, dalla sua o da altre università, a ricopri­re la carica a tempo indetermi­nato di «professore associa­to ». Il ricercatore del futuro guadagnerà il venti per cento in più degli attuali ricercatori. Godrà di «scatti di merito». Dovrà garantire 1500 ore di presenza in facoltà, con un si­stema di controlli. Dunque, non si potrà più es­sere «ricercatori a vita», come accade ai 23.000 in servizio og­gi presso le università italiane. Se la riforma Gelmini sarà ap­provata dal Parlamento, si di­venterà ricercatore superando un concorso bandito da un di­partimento di facoltà. Tre anni più altri tre. Se il ricercatore avrà ottenuto l’abilitazione na­zionale potrà diventare profes­sore associato, una delle uni­che due figure docenti, assie­me al professore ordinario. Senza abilitazione e senza chia­mata, invece, l’esperienza ter­minerà dopo massimo sei an­ni.

« un progetto migliorativo – dice Marco Merasina, re­sponsabile del Coordinamen­to nazionale dei ricercatori uni­versitari ”. Contiene la ’pro­messa’ di un posto fisso e di una carriera. Mentre gli attuali ricercatori sono entrati con questa qualifica tramite con­corsi universitari e rischiano con la stessa qualifica di anda­re in pensione. Ci sarebbe vo­luta una norma transitoria an­che per noi».

Con le nuove norme un «nuovo» ricercatore avrà mag­giore facilità di diventare asso­ciato rispetto ai «vecchi», che dovevano aspettare i concorsi per associato, rari e talvolta pi­lotati.

Capitolo retribuzioni. Oggi un ricercatore prende 1.300 eu­ro al mese all’ingresso e può arrivare, dopo molti anni, a 3.000. Con la riforma dovreb­bero esserci aumenti del 20 per cento. «La materia – dice Merasina – è affidata a una successiva delega». Gli scatti di anzianità dovrebbero diven­tare scatti di merito, legati alla relazione sull’attività svolta. Da biennali diventerebbero pe­rò triennali. Anche qui, delega al governo.

«Quello che manca – dice Merasina – è una definizione dello stato giuridico del ricer­catore. Per quei sei anni di con­tratto farà ricerca o finirà a in­segnare e a fare esami come tutti noi?».

Andrea Garibaldi