Gian Enrico Rusconi, La Stampa 30/10/09, 30 ottobre 2009
La lezione della Merkel: pragmatismo senza illusioni - Non convince fino in fondo ma tranquillizza
La lezione della Merkel: pragmatismo senza illusioni - Non convince fino in fondo ma tranquillizza. Ci si fida di lei, della sua tattica cauta e attenta alle cose, priva di enfasi. Disinvolta nel mutare opinione e schietta nel descrivere la difficoltà della situazione economica e sociale. Non cerca alibi, non punta il dito su presunti colpevoli. Ma questa volta, nominata cancelliera per la seconda volta, Angela Merkel ha davanti a sé una prova assai più dura della precedente. E’ paradossale dire che era più facile governare con i socialdemocratici, considerati avversari politici, che non con partiti apparentemente più affini e amici (cristiano-sociali bavaresi e liberali). Ma è così. Lo dimostra il farraginoso e poco trasparente programma di governo messo a punto nelle scorse settimane. La promessa elettoralmente vincente (fatta soprattutto dai liberali) di allentare la pressione fiscale è stata mantenuta. Ma le decisioni operative enunciate lasciano un’infinità di dubbi circa la loro incidenza effettiva in vista dell’atteso effetto di rilancio della crescita e della creazione di posti di lavoro. Per ora l’unica cosa certa è che per far fronte alla situazione aumenterà il debito pubblico. Si è permesso di dirlo pubblicamente lo stesso Presidente della Repubblica al momento della nomina formale della Cancelliera - e con toni preoccupati. La Merkel lo sa benissimo. E ha già anticipato che non c’è alcuna garanzia puntuale per la ripresa. «Cercheremo di realizzare le cose che ci siamo ripromessi». Una scommessa, insomma. Tanta franchezza incoraggia e insieme disarma l’opposizione che avanza molte critiche e obiezioni, di segno più disparato. Ma di grandi visioni politiche coerenti e di grandi piani programmatici non c’è traccia nel panorama politico tedesco. Il pragmatismo merkeliano vince. Ma si tratta pur sempre di un governo di coalizione dove i partner minori hanno un disperato bisogno di profilo politico, soprattutto i liberali. Il loro leader Guido Westerwelle incarna perfettamente questo bisogno. Lo si è visto nelle settimane scorse: sempre presente, puntiglioso, con una parlata tagliente, sprizzante sicurezza e attivismo. Come vicecancelliere e ministro degli Esteri avrà un rapporto particolarmente stretto con la Merkel. E’ prevedibile che dietro la facciata cordiale il rapporto crei tensione competitiva. Ma aspettiamo di vedere quali saranno gli inevitabili punti di contrasto. Nelle ultime ore nei rituali del passaggio delle consegne di governo è ricomparso anche il vicecancelliere uscente (e sfortunato concorrente per la cancelleria) il socialdemocratico Steinmeier. Non è un mistero che tra lui e la Merkel ci fosse un’intesa che andava al di là delle reciproche competenze. Loro due incarnavano meglio di altri lo spirito della Grande Coalizione, che la Merkel non esita oggi a lodare come esperienza molto positiva. Da questo punto di vista, la sconfitta elettorale della socialdemocrazia deve essere stata doppiamente dolorosa per Steinmeier. In fondo la Spd si è elettoralmente svenata proprio per far funzionare la «sua» Grande Coalizione. Ma non si è trattato di un episodio. Non è esagerato infatti sostenere che nel 2009 si è chiuso per la Spd il ciclo iniziato nel 1959 con il famoso congresso e programma di Bad Godesberg. E’ stupefacente ma insieme estremamente significativo che quel cinquantenario sia passato sotto silenzio. Rimosso. come se la cesura storica della socialdemocrazia legata a Bad Godesberg sia stata assimilata così profondamente che cinquant’anni dopo, nell’anno 2009 che ha segnato il crollo elettorale più grave del dopoguerra della Spd, nessuno abbia più la capacità e il coraggio di misurare la distanza da quell’evento. Da Bad Godesberg - espressione diventata per antonomasia simbolo della grande svolta del socialismo tedesco - è iniziata la storia dei successi politici della socialdemocrazia, caratterizzata dalle esperienze delle varie coalizioni guidate o sostenute dalla Spd, dalle sue strategie «di partito popolare» e di governo del «nuovo centro». Questo ciclo è esaurito, ma il valore storico retrospettivo del programma di Bad Godesberg rimane intatto. Tante volte nei decenni scorsi si è detto e scritto che quel programma aveva esaurito il suo ruolo propulsivo. Aveva svolto la sua funzione storica di ridefinizione del socialismo democratico fuori dal dogmatismo marxista, in un momento storico strategicamente importante. Ma poi la Spd avrebbe dovuto trovare e sviluppare altri nuovi contenuti al di là di quel testo programmatico. Andare «oltre Bad Godesberg» è stato un ritornello ricorrente. In effetti si sono stesi altri programmi. Ma nessuno è stato l’equivalente di quel nome-simbolo, nessuno è riuscito mai a cancellarlo dalla memoria dei socialisti tedeschi. O a sostituirlo. tempo che i socialdemocratici tedeschi ritrovino oggi la forza, il coraggio intellettuale e la capacità di ripensare radicalmente che cosa vuol dire essere socialisti nel secolo XXI, che li sta mettendo a così dura prova. Altrimenti è davvero finita. E’ paradossale che la Merkel sia stata involontariamente la loro becchina.