Cinzia Gubbini, il manifesto 28/10/09, 28 ottobre 2009
MORTO A 31 ANNI DOPO L’ARRESTO
«Oggi ho seppellito mio fratello. E non so perché». Chiede verità Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano un ragazzo romano di 31 anni fermato nella notte tra il 15 e il 16 ottobre dai carabinieri, trovato in possesso di alcuni grammi di droga e da allora entrato in un vortice senza fondo. E’ morto lo scorso giovedì all’ospedale Sandro Pertini. Senza aver mai potuto vedere la famiglia.
Ieri si sono svolti i funerali, a Tor Pignattara, il quartiere dove Stefano viveva insieme ai genitori. La parrocchia di via Filarete era gremita: «Gesù è morto sulla croce massacrato come un delinquente, una morte da condannato che però risorgerà a vita eterna», ha detto don Valerio. Quella parola «massacrato» non è casuale. I famigliari e gli amici di Stefano sospettano che sia stato picchiato. Picchiato selvaggiamente. Di certo aveva due vertebre rotte, la mandibola frantumata. Quando la sorella e i genitori hanno finalmente potuto vedere il corpo di Stefano non hanno avuto dubbi: «Era sfigurato, il volto nero come se fosse bruciato», racconta Ilaria. Ma cosa è accaduto? Dove e perché? Non ci sono certezze: «Ad oggi - insiste la ragazza - non abbiamo un atto, nulla in mano. Stiamo cercando faticosamente di capire. Ma vogliamo andare fino in fondo». Intanto la famiglia Cucchi si è affidata ad avvocati esperti, gli stessi che hanno seguito il caso di Federico Aldrovandi, il ragazzo ucciso da quattro poliziotti a Ferrara.
La storia inizia la notte tra giovedì 15 ottobre e venerdì 16: Stefano viene fermato dai carabinieri insieme a un amico nel parco degli Acquedotti. Addosso gli trovano venti grammi di fumo - forse marijuana - e 2 grammi di cocaina. Secondo alcune fonti ci sarebbero anche due pasticche di ecstasy. Comunque i ragazzi vengono portati alla stazione di Capannelle, dove vengono interrogati in stanze separate. L’amico di Stefano viene rilasciato. Lui, invece, passa la notte in una stazione dei carabinieri, forse non la stessa in cui è stato interrogato. Nel frattempo i carabinieri vanno a casa dei genitori per perquisire la stanza di Stefano. Questi passaggi sono stati raccontati dettagliatamente dal padre Giovanni - un geometra, il figlio lavorava con lui - in una lettera inviata ai suoi legali. «I carabinieri - aggiunge Ilaria - dicono a mia madre di stare tranquilla. Che il quantitativo di droga rinvenuto è minimo. Che il giorno dopo Stefano sarebbe stato rimandato a casa. Le restituiscono anche le chiavi dell’auto». Il giorno dopo - venerdì - c’è il processo per direttissima a piazzale Clodio. I Cucchi sono abbastanza tranquilli, si affidano a un avvocato d’ufficio. Le cose non vanno come dovrebbero andare: sia perché l’udienza viene rinviata al 13 novembre. Ma soprattutto perché i famigliari già vedono il volto di Stefano gonfio, e si preoccupano. Il giorno dopo un carabiniere comunica alla famiglia che Stefano è stato ricoverato. Inizia l’incubo. Intanto, c’è un qui pro quo sul luogo del ricovero. Ma quando capiscono che il ragazzo si trova al Sandro Pertini si precipitano. I genitori di Stefano non riusciranno mai a varcare la soglia del reparto medico carcerario. Nessuno spiega loro che per entrare devono chiedere un’autorizzazione. Gli viene detto che l’autorizzazione deve arrivare dal carcere. I genitori chiedono di poter almeno parlare con un medico. Nessuno scenderà mai a dare notizie. Intanto Stefano sta malissimo. Muore giovedì, probabilmente all’alba, ma i genitori vengono avvertiti solo dopo le 12. «Qualcuno - dice Ilaria - mi ha raccontato che Stefano aveva chiesto una Bibbia. Sapeva che stava morendo. Da solo».