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 2009  ottobre 29 Giovedì calendario

«Nulla cambia? Neppure a Londra e New York»- SINGAPORE – Se Singapore è uno Stato gestito co­me un’azienda, i suoi leader sono gli amministratori dele­gati

«Nulla cambia? Neppure a Londra e New York»- SINGAPORE – Se Singapore è uno Stato gestito co­me un’azienda, i suoi leader sono gli amministratori dele­gati. Tharman Shanmugaratnam, il ministro del Tesoro cresciuto alla London School of Economics, non ci trove­rebbe probabilmente nulla di male non fosse che, come inizia a parlare, è subito chiaro lui è qualcosa di più: ma­nager e intellettuale della finanza nello stesso abito. Nella crisi, Singapore ha subito una delle contrazio­ni peggiori e ora uno dei rimbalzi più forti. Come si spiega? «In parte non è così eccezionale, dipende dal fatto che siamo una città globale. Non siamo un Paese composto di città internazionali, città più provinciali e hinterland. Siamo una città e uno Stato insieme, e quanto a questo una città globale. Di conseguenza reagiamo in modo par­ticolare ai trend globali e la nostra economia è più volati­le di altre. Ma su un decennio la crescita media è stata del 5%». Intanto l’Ocse vi leverà dalla lista nera nei centri of­fshore «non cooperativi», perché avete firmato i 12 ac­cordi previsti. «Non è un giochetto di numeri, non abbiamo mai pen­sato che fosse una mossa difensiva. la scelta giusta al momento giusto e tutti si devono adeguare. I nuovi stan­dard dell’Ocse creeranno un mondo migliore, ma nessu­no si può muovere da solo. Dobbiamo coordinarci». Perché non avete fatto accordi di scambio d’infor­mazioni con l’Italia? «Ci piacerebbe. Lo abbiamo proposto, è che per ora le cose non sono progredite. Firmeremmo volentieri un ac­cordo perché con l’Italia abbiamo un rapporto sempre più importante». Il segreto bancario a Singapore è legge. Cosa cam­bia con i nuovi accordi previsti dagli standard dell’Oc­se? «La novità principale è che adesso non è più necessa­rio che sia coinvolto l’interesse nazionale singaporiano perché il segreto sia tolto su un certo conto. Certo, con­trolleremo che le richieste di levata del segreto da parte di altri Paesi siano corrette e precise. Niente retate. E del resto l’Ocse prevede esattamente questo». Se si chiede ai banchieri la risposta è diversa: loro dicono che non cambia nulla e che il segreto resta soli­do. «Mettiamola così: nessuno, nemmeno l’Ocse, la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, chiede che i diritti dei contri­buenti siano ignorati. E nessuno chiede che la privacy dell’informazione delle banche sia ignorata. Sarebbe un mondo peggiore, non sarebbe un mondo dinamico, non sarebbe capitalismo nel senso positivo e con le sue vir­tù ». Sarebbe una privazione della libertà per gli investi­tori? «Certo, assolutamente. La possibilità di scambiarsi in­formazioni è importante, quando c’è motivo ragionevole di sospettare qualcuno di un reato. Ma se qualcuno dice che nulla sta cambiando a Singapore, allora bisogna dire esattamente la stessa cosa di altre capitali finanziarie: Londra, Parigi, New York. Perché seguiamo esattamente le stesse procedure. Vedremo nella pratica chi sarà coo­perativo e chi no, il nostro comportamento reggerà qua­lunque confronto». La Svizzera sembra un centro finanziario perdente nella crisi, mentre Singapore sembra vincente. Che ne pensa? « presto per dirlo. La Svizzera ha avuto un paio d’an­ni difficili, ma non credo che la competitività dipenda solo da queste questioni. L’Asia è un continente in piena espansione e trasformazione, con grandi differenze da Paese a Paese. C’è un ruolo per un posto stabile e affidabi­le come il nostro e questo non ha nulla a che vedere con il segreto bancario». Invece da cosa dipende? «La crescita della nostra capitale finanziaria ha molto a che fare con questa trasformazione in tutta l’Asia. Ci sono anche dei flussi di capitale dall’Europa, ma non van­no enfatizzati. Quella è più una vicenda tutta europea che si sta dipanando ed è facile trovarvi un ruolo per Sin­gapore. Ma è l’enorme trasformazione dell’Asia che crea grandi ricchezze ogni giorno. E siamo solo all’inizio».