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 2009  ottobre 29 Giovedì calendario

BERNA POTEVA PENSARCI PRIMA


L’ambasciatore italiano in Svizzera è stato convocato dal ministro degli Esteri elvetico per comunicazioni relative alle ispezioni del fisco italiano presso 76 filiali di banche svizzere con sede in Italia. una decisione grave, che denota l’eccezionale tensione ormai determinatasi tra Berna e Roma in seguito agli accertamenti finalizzati a contrastare l’evasione e altri comportamenti illeciti in campo internazionale, che l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza stanno mettendo in atto onde sostenere l’operazione scudo fiscale. Questa operazione si inquadra anche nell’azione di contrasto dei paradisi fiscali varata dal G20 di Londra e nelle problematiche che essa ha fatto sorgere con il Paese confinante con il nostro. La contestazione che viene mossa dal governo svizzero è che con le ispezioni si compirebbe un atto intimidatorio, creando una situazione che inquieta. Viene anche criticato, negli ambienti della diplomazia elvetica, il modo in cui è stata introdotta quella che viene chiamata amnistia, anziché scudo fiscale, e si parla di un non necessario melodramma che indurrebbe a pensare che si vogliano spaventare i cittadini italiani aventi rapporti con una banca estera. A questo punto occorre distinguere i profili della vicenda.

Non vi è dubbio che, sotto l’aspetto giuridico, sussista il pieno diritto delle autorità italiane a svolgere gli accertamenti in questione, che potrebbero essere motivati anche da elementi presupposti che il pubblico non conosce. È difficile contestare un’azione di prevenzione o di contrasto di eventuali irregolarità o di possibili veri e propri illeciti (così è stata presentata dagli organi competenti) svolta sulla base delle norme vigenti secondo lo ius soli. D’altro canto, imboccata dal governo italiano la strada del condono fiscale senza inasprire significativamente per il periodo successivo le sanzioni per l’illecita esportazione di capitali (limitandosi alla sola innovazione dell’inversione dell’onere della prova a carico degli esportatori, una volta scoperti, in difetto di che l’operazione si configura come evasione), poteva apparire abbastanza scontato che si sarebbe fatto ricorso ad atti anche eclatanti per rendere possibile o stimolare il rimpatrio dei capitali investiti in particolare in Svizzera. Scontato anche perché si poteva facilmente supporre che si sarebbe voluto fare il volto dell’arme per far dimenticare il regalo del condono così concepito e, al tempo stesso, sperare in un consistente gettito dell’operazione, atteso quasi con l’acqua alla gola. Di qui anche l’annuncio, durante le fasi di approvazione dello scudo, di una indagine fiscale promossa sui rapporti finanziari di 170 mila cittadini sospettati di avere capitali nella Confederazione. Gli stessi intermediari italiani ritengono, poi, di poter trarre vantaggio da iniziative di questo tipo, mentre comunque si starebbero modificando i rapporti concorrenziali a beneficio dei nostri operatori.

Insomma, convivono fattori giuridici con fattori di immagine e competitività a dare conto delle iniziative italiane. Si dà poi maggiore dignità al tutto con il richiamo della lotta ai centri off-shore. Naturalmente, una inoppugnabile azione, anche moralmente apprezzabile, motivata dal sospetto di evasioni fiscali potrebbe o dovrebbe comportare anche il coinvolgimento dell’Autorità giudiziaria. chiaro, tuttavia, che anche questo tipo di azioni ispettive, o altre forme di moral suasion, non possono dare quel che avrebbe dato una rigorosa disciplina dei rimpatri. Non c’è surroga che tenga. A stento la legge scudo fiscale ter salva l’anima.

Dato atto, dunque, sul piano giuridico della correttezza del comportamento italiano, è la gestione di queste iniziative che può suscitare, come ha suscitato, reazioni in Svizzera sul piano diplomatico. Occorrerebbe una vasta operazione che miri alla stipula di un’adeguata convenzione con la Confederazione entro tempi tassativi e profili l’attivazione di un contrattacco nel caso in cui a una messa in chiaro dei rapporti (che tuteli entrambi gli Stati e i loro valori) non si dovesse addivenire. Non un cedimento. Né la rinuncia a questo o a quell’interesse del nostro Paese, bensì un comportamento del tipo di quello tenuto dagli Stati Uniti, pur in una situazione diversa, che ha conseguito larga parte dei risultati sperati dall’amministrazione americana.

Non è sufficiente percorrere la sola strada della pur difficilmente sindacabile scelta ispettiva unilaterale. Se si vogliono evitare crescenti tensioni, sono l’iniziativa internazionale e quella del governo ai massimi livelli che devono essere promosse. Insomma, un mix di trattativa per definire forme di efficace collaborazione da un lato, e di decisioni unilaterali dall’altro in caso di fallimento del negoziato. Non si può certo creare una perenne bellicosità fiscale con la Svizzera, pur rilevando l’esagerazione di talune affermazioni sulla vicenda riferite al governo elvetico. Ricondurre le relazioni interstatuali a un assetto normale, senza cedere nelle prerogative del nostro Paese dovrebbe essere l’impegno dell’esecutivo.