Marco Fortis, il Messaggero 28/10/2009, 28 ottobre 2009
UN MAXI PRESTITO EUROPEO PER LA RIPRESA
DA TEMPO sosteniamo che l’Italia è uno dei Paesi che sta dimostrando più capacità di resistenza e reazione nel corso di questa crisi economica globale. quanto segnalano costantemente, sin dalla primavera scorsa, anche gli indicatori anticipatori dell’Ocse. Naturalmente, occorre guardare sempre lontano all’orizzonte e non perdere di vista la bussola dei dati macroeconomici e settoriali più consolidati. Infatti, è facile lasciarsi fuorviare o confondere dai ”balletti” delle statistiche mensili, che si muovono in modo erratico, come dimostrano gli ultimi indici su fatturato ed ordinativi dell’industria italiana di agosto (molto brutti) che sembrano in contraddizione con gli indici della produzione industriale dello stesso mese (molto belli) o con i dati sull’export verso i Paesi extra Ue di settembre (ancora più belli).
Le statistiche più significative, come quelle trimestrali, mostrano invece chiaramente che i Paesi più fondati sull’economia ”reale” e con meno debiti delle famiglie (Italia, Francia, Germania, per limitarci all’Europa) vanno molto meglio, pur nelle grandi difficoltà di questa crisi senza precedenti, dei Paesi che negli scorsi anni hanno fatto troppa finanza e speculazione immobiliare e le cui famiglie sono tuttora molto indebitate (soprattutto Spagna e Gran Bretagna, quest’ultima appena scioccata da una nuova ed inaspettata diminuzione del Pil nel terzo trimestre).
Secondo l’Eurostat, nei tre mesi che vanno da giugno ad agosto 2009, rispetto al periodo marzo-maggio, la produzione industriale in Italia (+4,4%) è cresciuta di più in termini congiunturali che in Francia e Germania, mentre in Gran Bretagna è rimasta al palo e in Spagna è diminuita. Nel primo semestre del 2009, inoltre, secondo l’Organizzazione mondiale del turismo gli arrivi turistici internazionali dell’Italia sono quelli calati di meno in assoluto (-4,4% rispetto al primo semestre 2008), contro diminuzioni di entità doppia in Spagna e Gran Bretagna.
Sono tutti segnali che dimostrano che l’economia ”reale” italiana è forte ed ha le capacità per reagire. Ciò a dispetto di certe nuove mode ”catastrofiste”: l’ultima è quella di cercare di prevedere quanto tempo sarà necessario affinché il nostro Paese ritorni ai livelli produttivi pre-crisi. C’è chi profetizza addirittura un orizzonte di 5-10 anni. Ma che cosa dovrebbero dire allora i tedeschi, visto che il valore aggiunto manifatturiero italiano è diminuito del 15% a prezzi correnti tra il secondo trimestre 2008 e il secondo trimestre 2009 mentre quello della Germania è sceso addirittura del 26%!
bene ribadire che questa crisi non è una peculiarità italiana e che la ripresa internazionale sarà oltremodo faticosa proprio perché le famiglie di gran parte dei Paesi più ricchi (clienti delle nostre imprese esportatrici) restano eccessivamente indebitate e dunque impossibilitate a consumare e perché non si può fare affidamento per rilanciare l’economia del mondo solo sull’artificiale vivacità dei lavori pubblici in Cina (dove si sta per di più profilando il rischio di una nuova ”bolla” sull’onda del credito troppo facile). Né basteranno i modesti (rispetto alla gravità della crisi) ed ancora non ben definiti (rispetto ai bilanci e alle coperture) tagli delle tasse annunciati negli ultimi giorni da alcuni importanti Paesi dell’Ue come Germania e Francia per mettere il turbo ai rispettivi consumi privati.
Ma l’Europa, in cui l’Italia si colloca, ha una carta importante da giocare, se riuscirà a conciliare le sue divisioni interne per ricercare il bene comune. Infatti, per far ripartire la sua economia può attivare un potente volano di domanda interna continentale incentrato sugli investimenti, cosa che non possono fare efficacemente i suoi singoli Paesi membri (anche per i vincoli di finanza pubblica) ma che può fare invece l’Ue nel suo complesso.
tornata di attualità negli ultimi tempi l’ipotesi di emissione di un importante debito pubblico europeo, che potrebbe arrivare anche a 1.000 miliardi di euro, garantito dalle riserve auree dei diversi Paesi. L’Ue è l’unica area economica del mondo che ha la forza e la credibilità per attivare un simile progetto. Sinora si è sempre pensato che tale debito pubblico europeo dovesse essere finalizzato a finanziare gli investimenti strategici nell’energia e nelle infrastrutture. Noi pensiamo invece che, fermi restando tali obiettivi prioritari, una parte dei finanziamenti, almeno un 20%, dovrebbe essere indirizzato anche all’ammodernamento dell’economia ”reale” dell’Europa, che ha tre pilastri produttivi: la manifattura, l’agricoltura e il turismo. Nella sola manifattura europea, senza considerare il suo indotto, lavorano 35 milioni di addetti, a cui equivalgono circa 100 milioni di persone se consideriamo le loro famiglie.
Il ”Vecchio Continente”, nonostante il processo di globalizzazione, rimane di gran lunga la più importante potenza mondiale per valore aggiunto nell’industria manifatturiera, nell’agricoltura e nel turismo, largamente davanti all’America del Nord e all’Asia. Se è vero che è stata l’economia ”reale” che ha salvato gran parte dell’Europa (Italia inclusa) dagli eccessi della tecno-finanza globale che ci ha portato a questa crisi e che è sull’economia ”reale” che dovremo puntare per ritrovare un equilibrato sentiero di crescita economica futura, l’Ue non può non pensare di non concentrare una parte importante dei suoi progetti di stimolo dell’economia sull’ammodernamento di fabbriche, fattorie, alberghi, ristoranti e musei. Lo può fare destinando parte dell’ipotizzata emissione di debito pubblico europeo ad incentivi per la ”rottamazione” dei mezzi di produzione della sua economia ”reale”. Così facendo non solo si ammodernerebbero i luoghi di produzione dell’Europa, rendendoli più competitivi, ma si attiverebbe anche una potente domanda interna di beni che in massima parte è l’industria europea stessa in grado di produrre. Infatti, a parte i computer, l’Europa è leader mondiale nella produzione di quasi tutto ciò che le serve per diventare più efficiente, attrattiva e più rispettosa dell’ambiente: macchine industriali ed agricole; mobili per ufficio ed esercizi commerciali; materiali, prodotti e tecnologie per alberghi e ristoranti (piastrelle, rubinetti, illuminotecnica, cucine, impianti di riscaldamento, prodotti tessili come lenzuola, tende, tovaglie, ecc.). su questi beni, che produciamo noi stessi in Europa e in Italia (e che non importiamo se non in minima parte), che dovrebbero essere concentrati in modo mirato gli incentivi fiscali Ue. Il formidabile rilancio dell’attività dei produttori europei ed italiani di tali beni, conseguente al piano di ammodernamento dell’economia ”reale”, si ribalterebbe in poco tempo anche sulle stesse entrate fiscali dei vari Paesi e sulle aspettative e sui consumi delle famiglie di tutti coloro che lavorano nell’industria manifatturiera e nel suo indotto, generando un volano virtuoso.