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 2009  ottobre 28 Mercoledì calendario

Il Lord che studia il clima «Diventate vegetariani»- Lo scienziato inglese: solo così riusciremo a ridurre i gas serra LONDRA – La ricetta per sal­varci dalla catastrofe climatica è semplice: meno bistecche e più verdura

Il Lord che studia il clima «Diventate vegetariani»- Lo scienziato inglese: solo così riusciremo a ridurre i gas serra LONDRA – La ricetta per sal­varci dalla catastrofe climatica è semplice: meno bistecche e più verdura. Sembra quasi una burla, magari uno slogan sug­gestivo, invece per Lord Nicho­las Stern, economista e autori­tà indiscussa del mondo acca­demico e scientifico, è proprio nella dieta vegetariana che l’umanità può cercare il suo ul­timo rifugio prima di ritrovarsi soffocata dai gas serra. Ridurre i consumi di carne è un prerequisito fondamentale per contenere l’inquinamento e salvaguardare gli equilibri ambientali, è il salvagente, o uno dei salvagenti, del pianeta. Questo ribaltone dei costumi e delle abitudini culinarie nasce dall’osservazione di alcuni nu­meri: un miliardo e 400 milioni di bovini allevati nei cinque continenti, 8 capi mediamente mangiati nel corso della vita, 500 litri di metano prodotti da ciascun capo. Qual è, dunque, l’impatto sia della zootecnia sull’utilizzo delle risorse (ac­qua in primo luogo) sia della di­spersione di residui nocivi nel­l’atmosfera derivante dalla pro­duzione e dal consumo di filet­ti e controfiletti? Nell’ottobre del 2006 lo studioso scrisse 700 pagine per av­vertire la comunità internazio­nale che i costi del global war­ming (desertificazioni, esodi da disastri, epidemie, fame, ces­sazione di attività produttive) avrebbero raggiunto la vetta dei 5,5 trilioni di euro, il 20 per cento del pil a livello mondiale, e che per invertire la rotta ver­so l’autodistruzione si sarebbe­ro dovute impostare politiche capaci di abbattere, entro il 2050, il 25 per cento degli agen­ti inquinanti immessi nell’at­mosfera. Quel rapporto riporta­va un dato preciso: «Le attività umane riversano ogni anno 45 miliardi di tonnellate di gas ser­ra, con ritmo crescente. Gli in­tricati ecosistemi ne assorbono attualmente circa la metà, il re­sto viene trattenuto nell’atmo­sfera, portando la riserva di gas accumulatasi verso livelli sem­pre più alti». Dal 2006 ad oggi i paesi industrializzati e i paesi in via di sviluppo hanno discus­so sullo stato di salute della ter­ra ma, fra accuse e incompren­sioni reciproche, nessuno ha voluto trarre le conclusioni più ragionevoli e compiere, così, il passo decisivo verso un’intesa riparatrice. Fra poche settima­ne comincia a Copenaghen la conferenza che potrebbe segna­re la svolta. Le diplomazie sono al lavoro. L’incubo del collasso non è per niente scongiurato. Sir Nicholas Stern, intervista­to dal Times , eleva di nuovo la sua voce nel mezzo di trattati­ve sempre sull’orlo del falli­mento. Avendo avuto la re­sponsabilità degli economisti della Banca Mondiale ed aven­do collaborato sia con il gover­no britannico sia da alcuni me­si con l’amministrazione ameri­cana, i ragionamenti del profes­sore della London School of Economics non passano di cer­to sotto silenzio. Il fronte che apre è nuovo: di esso sarebbe facile ironizzare ma la questio­ne è talmente seria che va pre­sa con la dovuta attenzione. «Io non sono sicuro che la gen­te capisca completamente ciò di cui stiamo parlando o che ti­po di cambiamenti saranno ne­cessari. importante che si ra­gioni di quello che stiamo fa­cendo e questo include anche una riflessione sulla nostra ali­mentazione » . Che sia costata, spezzatino o bollito, per Nicholas Stern, oc­corre darci un taglio. Secondo i dati delle Nazioni Unite la pro­duzione di carne è una delle fonti principali dei gas serra e, in specifico, è responsabile del 18 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica. Di conseguenza: per abbattere quella percentuale bisogna mo­dificare la dieta quotidiana, di­ce Lord Stern, e bisogna che i governi si accordino per alzare i costi dei cibi «inquinanti». Scelta impopolare. Chi oserà imporre la rivoluzione della ta­vola e sfidare tanto gli allevato­ri quanto l’industria alimenta­re?