Guido Ruotolo, La stampa 28/10/2009, 28 ottobre 2009
I TRANS INSISTONO: ALTRI SOTTO RICATTO
Un giallo, la storia del video di via Gradoli. Quanti sono in realtà? Quante copie di quei due minuti sono ancora custodite da possibili acquirenti? I dubbi sono tanti. A partire dallo stesso filmato definito «promo». Chi l’ha visto ipotizza addirittura che possa essere un montaggio di due diversi video. E, dunque, quanti sono i video che «incastrano» Marrazzo? I trans di via Gradoli e della zona Trionfale-Ponte Milvio, raccontano fuori verbale di altri episodi di ricatti che vedono coinvolti clienti importanti. Anche politici. Girano nomi eccellenti, una sorta di lista nera, che però non trova conferme nelle carte giudiziarie. Almeno quelle ufficiali. Almeno per il momento. E poi c’è il discorso della cocaina.
Ma torniano al «giallo» del video. Antonio Tamburrino andò a Milano, quel 5 ottobre. Con un biglietto ferroviario pagato dall’agenzia «Photo Masi». Era stato «raccomandato» da Max Scarfone, il fotografo degli scatti rubati e compromettenti perché gli altri carabinieri gli avevano chiesto di cercare di piazzare il video del ricatto contro Marrazzo. E quando arrivò alla sede dell’agenzia, i suoi titolari, Carmen Pizzuti e Domenico Masi, lo fecero attendere. Cinque ore. E alla fine dissero che quel video di due minuti gli interessava. Fissando anche un possibile prezzo di vendita: 90.000 euro.
Ricordate la data: 5 ottobre. Quel giorno, dalle indiscrezioni che filtrano, Carmen Pizzuti e Domenico Masi non solo consultarono il legale ma copiarono il video e lo fecero vedere a mezzo gruppo dirigente editoriale della «Mondadori». Sicuramente una copia la vide Alfonso Signorini, direttore di «Chi», che la tenne con sé fino a martedì 20 quando gli uomini del Ros dei carabinieri se lo fecero consegnare.
Il giorno prima, lunedì 19 ottobre, il presidente del Consiglio chiamò al telefono il governatore del Lazio. Berlusconi, intervenendo a «Ballarò», così ha ricostruito la telefonata: «Ho saputo che mia figlia Marina aveva già rifiutato il filmato, perché Mondadori non è Repubblica o L’Espresso. Quindi ho allungato la mano sul telefono, ho chiamato Marrazzo e gli ho detto quello che sapevo da mia figlia. Gli ho detto ”abbiamo i numeri di telefono dell’agenzia che ce l’ha in mano, te lo comunico lasciando a te la scelta di quello che vuoi fare: acquistare il documento o denunciare alla magistratura».
Sicuramente, quel video l’ha visto il direttore di «Libero», Maurizio Belpietro. Ma quante altre copie del video sono ancora in circolazione?
Carmen Pizzuti, in una intervista al settimanale «Oggi», conferma che subito dopo che Berlusconi avvisò Marrazzo, l’agenzia «Photo Masi» ricevette - nel primo pomeriggio di lunedì 19 ottobre - una chiamata proprio dal governatore del Lazio, che propose di stipulare «un contratto di cessione in esclusiva con un patto di riservatezza» del video. «Piero Marrazzo - ricorda Carmen Pizzuti - parlava lentamente, con lunghe pause. Mi chiese di poterci incontrare, e il giorno dopo mi contattò un suo emissario, senza entrare nei dettagli».
Intanto a Roma il lavoro degli inquirenti continua. In attesa del Riesame che si dovrà pronunciare sulla posizione delle quattro divise del disonore finite in carcere, la Procura ha affidato al Ros ulteriori indagini per verificare se la «banda dei quattro» ha portato a termine altri «colpi» come quello nei confronti di Piero Marrazzo. Contemporaneamente, gli investigatori stanno risentendo diversi trans. Ieri, anche «Natalie», che compare nel video con Marrazzo. Se il «promo» sequestrato nei locali dell’agenzia «Masi» e nella redazione di «Chi» è un assemblaggio di due video, allora potrebbe esistere davvero un filmato dove, secondo alcuni trans, Marrazzo sarebbe ripreso con due trans. Con quella «Brenda», che adesso gli investigatori stanno cercando. Ancora una volta le più forti sono le donne, capaci di alzare la testa nei momenti di difficoltà. Così ha fatto Roberta Serdoz, la moglie tradita, umiliata, sorpresa, dell’ormai ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo. La disperazione ha lasciato il passo a una lucida determinazione a tirare fuori se stessa e la figlia da una situazione insostenibile, a fare in modo che suo marito non ceda alla tentazione di farla finita. L’hanno pregata gli amici, i collaboratori, i familiari di Piero. E lei alla fine ha seguito anche il suo cuore. Questo si chiama «perdono»? Troppo presto per dirlo, troppo banale. Stare accanto al padre di tua figlia, all’uomo con cui hai condiviso progetti e anni di vita, non significa cancellare quello che è stato. Né superarlo. «E’ questo», ti spiegano gli amici intimi di Roberta. Ha capito subito che la strada della rinascita non poteva ripartire che dalla mancanza di vergogna, dall’esporsi alla vita, al lavoro, alla gente comune. E così eccola ieri, con la faccia tirata, dimagrita, ma impeccabile nel tailleur scuro, a un convegno della provincia sul ruolo delle donne nel lavoro a palazzo Valentini. Un po’ di commozione all’inizio, nell’abbraccio a Zingaretti, quando l’hanno applaudita, quando le hanno portato delle rose. E quando una delle donne presenti ha raccontato la sua esperienza una sola battuta - «Da queste parole abbiamo capito come andare avanti senza buttarci giù» - è stata elevata a commento di quello che sta passando. Invece non c’è stata nessuna concessione alla curiosità, un’ora di dibattito e poi via, verso casa, sfuggendo da un’uscita secondaria, dalla figlia che è rimasta a casa da scuola, dai genitori, dai pochi amici che accetta di vedere. Dal marito, un uomo distrutto, che ha bisogno del sostegno della moglie e che, dicono gli amici, non resisterebbe a un abbandono.
Lei, Roberta, lo sa e raccoglie le forze per non cedere alla tentazione di occuparsi solo di sé, come sarebbe legittimo. In redazione, al Tg3, a Saxa Rubra, non lontano dalla villa di Colle Romano, sulla Tiberina, sono tutti molto ammirati da questo comportamento, da questa donna sempre molto fiera, orgogliosa, innamorata di suo marito. «Per questo il colpo è stato ancora più duro». A Roberta piaceva il suo nuovo ruolo in politica, non disdegnando per nulla il ruolo di first lady. Altri tempi, sembra un secolo fa. Adesso non è ancora tempo di parlare di futuro, ed è ancora presto per parlare del passato, di quello nascosto sotto un cumulo di bugie. La famiglia modello non esiste più, e occorrerà trovare un modello nuovo per andare avanti. Per farlo Piero Marrazzo ha deciso di prendersi un periodo di meditazione. Voleva andare all’estero, ma lo hanno sconsigliato. Così ecco che si apre la via della Fede, della meditazione, della espiazione, in un luogo lontano dalla folla. Forse Montecassino, dove l’abate è un grande amico. Ma nessuna conferma arriva anche se è impossibile accedere all’Abbazia. E non sarebbe la prima volta dell’ex governatore in questo eremo consacrato alla regola benedettina «Ora et labora», chiuso nelle celle che i frati concedono agli ospiti, cullato dai ritmi di preghiera e lettura, aiutato a ritrovarsi dai religiosi. Due giorni fa Marrazzo ricordava le parole di un Monsignore: «In chiesa si può entrare anche attraverso un peccato». E lui è entrato sicuramente dalla porta principale.