Anna Bandettini, la Repubblica 28/10/2009, 28 ottobre 2009
"Nei registi giovani cerco quel che non so"- Il grande attore da stasera al Mercadante di Napoli diretto da Andrea De Rosa, 27 anni ROMA Mentre altri colleghi, anche più giovani, restano uguali, ancorati a un´immagine eterna, lui non smette di cercare il nuovo, di osare
"Nei registi giovani cerco quel che non so"- Il grande attore da stasera al Mercadante di Napoli diretto da Andrea De Rosa, 27 anni ROMA Mentre altri colleghi, anche più giovani, restano uguali, ancorati a un´immagine eterna, lui non smette di cercare il nuovo, di osare. A 75 anni, aria severa, corpo dritto, asciutto, Umberto Orsini consuma tutta questa minacciosa energia con chi ha anche 40, 50 anni meno di lui, giovani artisti con cui - mission impossible - riesce a parlare, dialogare, a farsi ascoltare, a lavorare senza i ricatti dell´età. Attore di una generazione scomparsa e irripetibile, colto, appassionato di letteratura, lettore avido, anni fa si mise in gioco col teatro esagerato di Pippo Delbono, poi con Elio De Capitani, Mauro Avogadro… E ora è insieme a un ventisettenne, il regista Andrea De Rosa, direttore del Teatro Stabile di Napoli, che Orsini si misura con il suo spettacolo più maturo, la Tempesta di Shakespeare, da stasera al Mercadante di Napoli, il suo primo vero classico anche se pieno di novità, che si aggiunge a una carriera strabiliante iniziata nel ´57, da giovanotto bello e vincente e già dalla vetta, con la Compagnia dei Giovani, poi punteggiata da capolavori come Chi ha paura di Virginia Woolf? (1963), Old Times, L´Arialda, L´Uomo difficile, film come La dolce vita (1959), La caduta degli dei (1969), registi come Fellini, Visconti, Ronconi, Patroni Griffi, Pasolini, Lavia, Castri... «In cinquant´anni di carriera sono riuscito a evitare i classici - dice - perché ho preferito testi più particolari, Harwood, Bernhard, Schiller... Per come sono fatto fisicamente, poi, sono un attore borghese, perfetto per Miller, Morte di un commesso viaggiatore. A Prospero, il protagonista della Tempesta, avrei preferito volentieri Riccardo III che è più maschera. Mi ha convinto Andrea De Rosa, la sua chiave di lettura beckettiana e il fatto di non farne un Babbo Natale». C´entra con la vecchiaia? «Mi vede: non porto la decadenza fisica, né, credo, come testa. Eppure ho più anni di quando Stoppa morì, un attore che ho adorato ma che è sempre stato vecchio. Un po´ come Gassman, da un certo punto in poi. Io no». per questo che lavora con i giovani? «Lo trovo naturale. Non è restyling personale. Mi piace quello che fanno. A me piace il teatro di Delbono con cui tornerò a lavorare. Mi piace De Rosa con cui ho già fatto Molly Sweeney. Mi piacciono perché negli altri cerco quello che non so fare, quello che mi nutre, la squadra, l´alchimia. Fu così con Lavia: lui era l´idolo delle ventenni, io venivo da esperienze teatrali più caute, ma si ricorda che botto con i Masnadieri? Poi lui è diventato un po´ maniera, ma rimane uno che il teatro lo sa fare. Quanto a me, i giovani mi piace metterli in guardia, avendo io visto, letto, lavorato molto». Che rapporto ha avuto con i suoi maestri? «Ho avuto i migliori, i più intelligenti: Santuccio, Carraro, Stoppa, Valli… Luca Ronconi che è il mio compagno di viaggio». Più di Visconti? «Sì, Luchino sapeva fare teatro in modo magistrale ma con gli attori non stava lì troppo a menarla. Da attore il mio riferimento è stato Enrico Maria Salerno». Salerno? «L´unico che ho copiato, l´unico in cui mi sarei volentieri reincarnato. Era moderno. Si è spento quando ha voluto fare il regista di se stesso, ed erano solo robacce. Eravamo i fidanzati delle Kessler. Finiti i loro show, si andava al ristorante e lui mi spiegava come si recitava. I Karamazov della tv li ha creati lui. A cena mi diceva cosa dovevo fare. E il giorno dopo io andavo da Sandro Bolchi, adorabile acchiappone, uno che si circondava di attori bravi: gli proponevo le soluzioni di Salerno. Risultato: un capolavoro tv come se ne sono visti pochi». Parassiti, direbbe il ministro Brunetta... «Le esternazioni sciocche di alcuni uomini di questo governo non le discuto. In tutto il mondo l´arte e il teatro sono irrinunciabili. Se lo Stato non intervenisse ci sarebbe solo teatro commerciale ma se vuoi trasmettere qualcosa alle nuove generazioni non puoi fare sempre Due sull´altalena». Racconti questa Tempesta. «Abbiamo tagliato il testo. Ariel, lo spiritello, non vola. Calibano non è un mostro, ma il matto del paese con le mani sul pisello e il sorriso da angelo. C´è una bella compagnia da Flavio Bonacci, Rolando Ravello a Carmine Paternoster, Rino Cassano e, bravissimo, Salvatore Striano che avevo visto a Rebibbia: quando uscirai di galera ti voglio a lavorare con me, gli avevo detto. Eccolo. E poi è uno spettacolo incredibile, tra Fellini e un incubo alla Lynch». Cioè? «Prospero non è il mago con la bacchetta e la tempesta è una tempesta mentale: niente fulmini e mare agitato come fece Strehler, ma uno spazio claustrale e pieno di incongruenze temporali. Prospero sono io, con su un pastrano, se vuole un intellettuale anche poco gradevole. Un uomo che guarda la vita e soprattutto la morte». Shakespeare lo considerò il suo epilogo. «Non io. Di cose da fare ne ho. C´è Copenaghen di Michael Frayn all´Eliseo, quest´inverno, poi rifarò la Ballata del carcere di Reading di Wilde e sto sempre cercando il mio insuccesso, qualcosa di non consolatorio verso cui tirare la corda. In fondo anche Prospero alla fine non abbandona la scena. Ha percorso un sogno e non vede l´ora che il sogno vada avanti».