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 2009  ottobre 24 Sabato calendario

«La trattativa con lo Stato durò fino al 2004»- L’interrogatorio: «Graviano mi parlò di Berlusconi, disse che avevamo il Paese in mano» PALERMO – Quando nella primave­ra del 2008 decise di collaborare con i magistrati Gaspare Spatuzza – il penti­to che ha fatto riaprire le inchieste sul­le stragi mafiose del ”92 e del ”93 – si agitò perché Silvio Berlusconi aveva appena vinto le elezioni

«La trattativa con lo Stato durò fino al 2004»- L’interrogatorio: «Graviano mi parlò di Berlusconi, disse che avevamo il Paese in mano» PALERMO – Quando nella primave­ra del 2008 decise di collaborare con i magistrati Gaspare Spatuzza – il penti­to che ha fatto riaprire le inchieste sul­le stragi mafiose del ”92 e del ”93 – si agitò perché Silvio Berlusconi aveva appena vinto le elezioni. «Il soggetto che io dovevo accusare me lo trovo ca­po del governo – ha spiegato ai pub­blici ministeri di Palermo nell’interro­gatorio del 6 ottobre scorso ”, e al di là di questo il ministro della Giustizia, quel ragazzino così possiamo dire... che io vedo la figura di Dell’Utri, che so che gestiva i circoli di Forza Italia». Spatuzza cominciò a riempire verba­li parlando d’altro anche se, dice, «ho dato degli spunti, delle chiavi». Poi gli hanno concesso il programma di prote­zione ed è entrato nello specifico dei rapporti tra Cosa nostra e la politica, fi­no a chiamare in causa Berlusconi e il senatore Marcello Dell’Utri. Nel genna­io ”94, alla vigilia della nascita ufficiale di Forza Italia, il capo della famiglia ma­fiosa palermitana del quartiere Brancac­cio, Giuseppe Graviano, oggi ergastola­no anche per le stragi del ”92-’93, si pre­sentò a Spatuzza in un bar di via Vene­to a Roma: «Ci siamo seduti ai tavolini e diciamo che era felicissimo, come una persona che aveva preso un Supere­nalotto, una lotteria. Mi spiega che ave­vamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo, e che ci siamo messi il Paese nelle mani». Graviano accennò al 1987, quando Cosa Nostra spostò i pro­pri voti dalla Dc al Psi, e annunciò che i nuovi referenti «non erano come quei quattro crasti (cornuti, ndr ) dei sociali­sti », ma apparivano molto più affidabi­li. «La persona di fiducia che aveva por­tato avanti questa cosa era Berlusconi. Io all’epoca non lo conoscevo, quindi gli dissi se era quello di Canale 5. Mi di­ce di sì, e anche che di mezzo c’era un nostro compaesano, Dell’Utri. Marcel­lo Dell’Utri». Il futuro pentito fu sollevato dalla ri­velazione di Graviano, perché in quei giorni doveva organizzare un attentato contro i carabinieri in servizio allo sta­dio Olimpico di Roma. A lui non piace­va l’idea di provocare «morti che non ci appartengono, perché noi abbiamo commesso delitti atroci però ”ste cose di terrorismo non ne abbiamo mai fat­te », e se ora la mafia pensava di avere l’Italia «in mano», non ce n’era più bi­sogno; poteva finalmente dedicarsi a un vecchio conto in sospeso, ucciden­do il pentito Contorno. Invece no. Gra­viano – che qualche mese prima gli aveva detto «è bene che ci portiamo dietro un po’ di morti, così chi si deve muovere si smuove, c’è in piedi qualco­sa che se va a buon fine ne abbiamo tut­ti dei benefici, a partire dai carcerati» – insisteva con l’Olimpico: «Deve ser­vire come il colpo di grazia». Ma l’ultimo atto della strategia della tensione di Cosa Nostra fallì, qualcosa nell’organizzazione non funzionò. E pochi giorni dopo «tutto si blocca» per­ché i fratelli Giuseppe e Filippo Gravia­no furono arrestati a Milano, la città «dove erano ubicati i contatti politici» dei due capimafia. Poi vennero le ele­zioni, il primo governo Berlusconi du­rato pochi mesi, una nuova stagione di incertezza politica, altri arresti di «uo­mini d’onore». Tra i mafiosi rimasti in libertà qualcuno cominciò a dubitare delle promesse ricevute, e uno di loro ne parlò con Spatuzza che oggi riferi­sce: «Siamo nel ”95 e c’è già questa per­sonalità politica che ormai è diventato qualcuno, Berlusconi. Dice, ma ne è valsa la pena di fare ”ste cose, ne avre­mo dei benefici? E io gli dissi: stai tran­quillo che stiamo in buone mani… Quindi gli dissi che proprio Berlusconi era la persona più vicina a noi». La decisione di appoggiare Forza Ita­lia e il suo leader, secondo Spatuzza, era il frutto della «trattativa» tra Stato e mafia «proseguita fino al 2003-2004». E finito pure lui in prigio­ne, il neo-pentito cominciò a discutere con Filippo Graviano di una via d’usci­ta alternativa: «Se non arriva niente da dove deve arrivare si poteva iniziare a parlare con i magistrati manifestando la propria dissociazione, ma senza ac­cusare altri». Cioè il punto 5 del papel­lo con le richieste mafiose che, secon­do il figlio dell’ex sindaco di Palermo Ciancimino, Cosa nostra aveva fatto re­capitare alle istituzioni nel 1992, a ca­vallo tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio nelle quali morirono Fal­cone e Borsellino: l’inizio della «trattati­va », appunto, che per i pubblici mini­steri non s’è mai interrotta, seppure at­traverso soggetti diversi, nei dieci anni successivi.