Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 24 Sabato calendario

L’evoluzione ricostruita in provetta- I batteri hanno evidenziato i meccanismi di mutazione descritti da Darwin I tumultuosi sviluppi delle conoscenze sul genoma stanno per cambiare profonda­mente le modalità attraverso le quali verifi­care in natura la realtà dell’evoluzione darwiniana

L’evoluzione ricostruita in provetta- I batteri hanno evidenziato i meccanismi di mutazione descritti da Darwin I tumultuosi sviluppi delle conoscenze sul genoma stanno per cambiare profonda­mente le modalità attraverso le quali verifi­care in natura la realtà dell’evoluzione darwiniana. Lo mostrano due ricerche di ri­lievo apparse rispettivamente sulle riviste Nature e su Pnas in questi giorni. Il gruppo di Richard Lenski, esperto di ecologia dei microrganismi alla Michigan State University, sta coltivando in vitro, da ben 21 anni, popolazioni di batteri E. coli, monitorando ogni loro cambiamento. Dato il rapido tasso di riproduzione di questi uni­cellulari, l’esperimento ha permesso di ve­dere l’evoluzione in atto per molti cicli di decine di migliaia di generazioni ciascuno. Ma non è tutto: avendo a disposizione la se­quenza completa del genoma di questi bat­teri, gli scienziati hanno potuto calcolare passo per passo il numero esatto di muta­zioni che si sono accumulate negli anni e hanno appurato che il loro successo, in ac­cordo con quanto prevede la teoria darwiniana, era legato a specifici vantaggi adattativi. La selezione naturale è stata vi­sta in presa diretta, sul bancone del labora­torio. Dalla ricerca si evince anche che mutazio­ni e adattamenti non sempre vanno all’uni­sono. E’ stato scoperto che dopo un primo periodo di cambiamenti genetici costanti (45 mutazioni in 20mila generazioni) e di abbassamento dell’efficienza fisiologica, è subentrata una mutazione nel metabolismo del Dna che ha accelerato il tasso di muta­zione, favorendo l’insorgenza di alcune va­rianti più adatte ma anche la diffusione di alterazioni deleterie. Si tratterebbe di un processo simile alle mutazioni genetiche che interferiscono sulla replicazione del Dna umano e scatenano le progressioni tu­morali. Finora le già robuste evidenze empiriche della discendenza comune di tutti gli esseri viventi erano costituite dai fossili, dalle comparazioni morfologiche e dalla condivi­sione del materiale genetico. Anche se studi pionieristici trentennali come quelli dei co­niugi Peter e Rosemary Grant sui fringuelli delle Galápagos avevano già permesso di osservare la selezione naturale sul campo, si trattava pur sempre di prove difficilmen­te ripetibili. Ora invece i meccanismi darwiniani possono essere riprodotti in la­boratorio, quantificati, simulati e previsti con esperimenti a lungo termine. Non solo, come hanno evidenziato gli evoluzionisti coordinati dal genetista Sho­zo Yokoyama della Emory University, ora è possibile andare oltre l’analisi statistica comparata dei geni: gli avanzamenti delle tecnologie permettono adesso di associare una mutazione molecolare al cambiamento funzionale che ha prodotto nell’organismo, e questo ai suoi effetti adattativi in un dato ambiente. Si può così «fotografare» nel pas­sato la selezione naturale mentre è all’ope­ra, come nella transizione avvenuta in alcu­ni pesci fra la capacità di percepire le lun­ghezze d’onda dello spettro visivo dell’ultra­violetto (posseduta dall’antenato comune dei vertebrati) e invece le lunghezze d’onda tipiche dello spettro ottico e della visione dei colori. Yokoyama e colleghi hanno isolato in un pesce sciabola ( Lepidopus fitchi ) la piccola mutazione che ha prodotto il passaggio alla sensibilità per il colore blu: è bastata la per­dita di una molecola (la 86ma) nella catena di aminoacidi di una delle proteine coinvol­te nella vista. Comparando le abitudini di questo pesce delle profondità, dove la luce ultravioletta è meno intensa, con quelle di altri pesci che non hanno la mutazione (per­ché, per esempio, salgono in superficie a ci­barsi al crepuscolo e conviene loro mante­nere la sensibilità all’ultravioletto), si può dedurre quale sia stata l’esigenza adattativa alla base di questa evoluzione per selezione naturale. Altri cambiamenti favorevoli alla visione cromatica sono comparsi poi nei vertebrati terrestri, dai quali discende an­che il nostro modo di vedere il mondo. Di questi affascinanti sviluppi si discuterà al Festival della Scienza di Genova (festival­scienza. it) con illustri ospiti, tra cui Luigi Luca Cavalli Sforza, Stanislas Dehaene, Mi­chael Huffman, Michael Gazzaniga, Ian Pe­arson e il Premio Nobel Luc Montagnier.