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 2009  ottobre 26 Lunedì calendario

L’UTILE SI PERDE TRA LA TERRA E LA TAVOLA

Per fare un frutto basta un seme. Ma per portarlo sulla nostra tavola si dispiega una task force di soggetti, risorse e macchinari da far sembrare l’enigma della sfinge un gioco da ragazzi. Se poi tracciamo a ritroso la strada percorsa dal nostro fumante piatto di pasta, anche le dodici tappe dell’infinito viaggio di Ulisse da Troia a Itaca appaiono una scampagnata fuori porta.
La vita "precedente" di tutto ciò che consumiamo esiste e, soprattutto, pesa significativamente sul costo finale. Ma più che il risultato di una somma di responsabilità degli attori interni alla filiera agroalimentare, è il frutto di limiti strutturali del nostro paese e di un percorso tortuoso e ridondante che appesantisce il prezzo al consumo dei prodotti. Questa la conclusione del rapporto di Nomisma «La filiera agroalimentare tra successi, aspettative e nuove mitologie» che Ancd Conad e Federalimentare presenteranno mercoledì nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica a Roma.
Succede così che – secondo la ricerca – per ogni cento euro che si spendono per alimenti in Italia "solo" 3 rappresentano gli utili della filiera (impresa agricola, industriale e di distribuzione), 38 se ne vanno per il costo del lavoro, 16 per il costo del capitale e per quello di finanziamento, 12 per imposte dirette e indirette, 4 per il costo delle importazioni, e ben 27 per i costi esterni di filiera che comprendono packaging, trasporti e logistica, promozioni, energia e utenze e costi dei mezzi tecnici agricoli. Un prodotto può dunque passare dal contadino al grossista, arrivare all’industria alimentare di trasformazione per tornare nuovamente a un intermediario, prima di arrivare a destinazione. Tutti passaggi (non sempre indispensabili) che si traducono in costi aggiuntivi sui prodotti. Per risparmiare sul prezzo finale, quindi, – spiega l’analisi ”, la strada da percorrere non è quella della riduzione degli utili, data la loro limitata incidenza, ma quella della riduzione dei costi.
«La parola chiave è aggregazione – spiega Camillo De Berardinis, amministratore delegato Conad e presidente Ancd ”. Le forme possono essere diverse, dal consorzio alla coope-rativa, ma la soluzione al problema prezzi passa soprattutto attraverso il confronto costruttivo degli attori in gioco. Solo organizzandosi insieme, infatti, si può superare l’ostacolo della polverizzazione della fase produttiva e della poca concentrazione di quella distributiva ». Una realtà tutta italiana. Dando un valore alla produzione e dividendo lo stesso per il numero di imprese ci rendiamo conto che, tra i maggiori paesi europei, il dato più basso è quello italiano: 28,8 in agricoltura, contro il 101,3 della Francia; 1,4 dell’industria alimentare, contro il 2,2 di quella tedesca. Anche sulla distribuzione moderna l’Italia fa il fanalino di coda di Regno Unito, Germania, Francia e Spagna: se nel paese più virtuoso (la Gran Bretagna) le tre più grandi catene fatturano il 60 per cento del totale della distribuzione moderna, nel nostro paese i tre maggiori operatori incidono solo al 33. Ma l’azienda Italia lotta anche con limiti strutturali: un sistema di comunicazione autostradale e ferroviario inadeguato e costi dell’energia elettrica per uso industriale superiori alla media europea. «Il paese deve orientare le proprie risorse – conclude De Berardinis – verso processi di ammodernamento del settore così che l’accesso al mercato dei prodotti avvenga attraverso processi semplificati».
«Anche all’interno dellafiliera c’è margine di miglioramento – spiega Giandomenico Auricchio, presidente di Federalimentare ”, ma la ricerca Nomisma evidenzia come i due terzi dei costi totali siano esterni alla filiera. Per guadagnare competitività, dunque, è necessario scrivere nuove regole che diano ossigeno all’industria alimentare e alla distribuzione, che sono i veri agenti modernizzatori del nostro paese. Ma non solo. Per valorizzare un’industria sana come quella alimentare, anche la politica deve fare la sua parte garantendo infrastrutture adeguate e defiscalizzando le imprese».