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 2009  ottobre 26 Lunedì calendario

SINDACI IN FUGA DAI DERIVATI: GI 90 GLI ADDI ANTICIPATI

Tra i primi comuni a scendere in anticipo dalla giostra dei derivati c’è stato quello di Novara, che a febbraio dell’anno scorso ha detto addio ai suoi due vecchi swap (49 milioni di euro, scadenza 2012) e dopo un braccio di ferro con Bnp Paribas è riuscito anche a chiudere l’operazione con un piccolo utile. Tra gli ultimi, finora, c’è La Spezia, dove comune e Acam, la partecipata che gestisce acqua, energia e rifiuti, hanno deciso la chiusura anticipata della partita finanziaria che nella società aveva prodotto (a fine 2008) perdite per oltre 10 milioni di euro.
In mezzo, c’è una fila di sindaci di comuni più o meno grandi, di tutti gli angoli d’Italia, che si stanno affollando all’uscita di una fantasiland finanziaria che invece della sicurezza sul debito ha regalato spesso sorprese colorate di rosso, scandali e inchieste contabili e giudiziarie.
Nell’ultimo anno e mezzo al ministero dell’Economia sono stati comunicati 90 casi in cui gli enti locali hanno detto addio in anticipo al loro swap (60 casi sono negli ultimi dodici mesi): ogni mese, insomma, 5 sindaci o presidenti vanno in banca per dire «basta» alla finanza creativa, e finora le estinzioni anticipate hanno riguardato circa 1,5 miliardi di nozionale, cioè quasi il 10% dei debiti che comuni e province avevano assicurato (si fa per dire) con uno swap.
La fotografia complessiva, scattata sempre dal Tesoro, non sembra rilevare il fenomeno ma la sua è una stabilità fittizia, dovuta all’effetto trascinamento dei contratti che molti comuni avevano sottoscritto ma si erano dimenticati di trasmettere a Via XX Settembre, e che quindi non rientravano nelle vecchie rilevazioni. Secondo l’ultima rilevazione, sono 629 gli enti territoriali con in tasca uno swap, che hanno un debito sottostante di 35,6 miliardi di euro. Quasi la metà (17,1 miliardi) è affare delle regioni, mentre l’arrivo al ministero di vecchi contratti che prima non erano stati comunicati fa scoprire che sono 525 i comuni non capoluogo che negli ultimi anni si sono messi a scommettere con la finanza strutturata. La corsa dei sindaci allo sportello per chiudere le posizioni si spiega anche con la crisi, che ha reso un po’ meno traballante il quadro finanziario dei tanti che si erano impigliati in contratti con flussi in uscita legati a tassi variabili.
Per sostenere il ciclo economico in profondo rosso le banche centrali hanno tagliato a ripetizione il costo del denaro, riducendo in questi enti i flussi in uscita e le perdite potenziali. In molti, allora, si sono detti «usciamo finché siamo in tempo», e le indagini di procure e corte dei conti che nel frattempo si sono moltiplicate sul terreno della finanza creativa hanno aumentato il loro "potere contrattuale" nei confronti della banca.
A Pozzuoli, per esempio, la magistratura contabile ha evidenziato la nullità di un contratto con Nomura ( che ne inglobava due precedenti) perché conteneva opzioni digitali speculative, in contrasto con le norme che impongono agli enti pubblici di utilizzare strumenti solo di copertura. A Gambolò, in provincia di Pavia, la Corte ha avvertito il comune che un rialzo dei tassi (da qui al 2013) avrebbe spazzato il differenziale positivo fino ad allora ottenuto dal comune, che a fine 2008 si è quindi affrettato a chiudere la partita aperta nel 2004 con la cassa di risparmio di Parma e Piacenza e ha portato in cassa 22mila euro.C’è la presenza della Corte anche nell’operazione di Varese, che a maggio ha chiuso i derivati avviati nel 2002 con Bnp Paribas pagando (in due tranche) una penale da 800mila euro.
Nella corsia di uscita negli ultimi mesi si sono affollati in tanti altri, da Grosseto ad Adria (in provincia di Rovigo) fino a un gruppo di 6 comuni marchigiani. E in tanti vorrebbero accordarsi: Perugia, dopo aver sostenuto costi per 1,7 milioni su un derivato e ricevuto le bacchettate della corte dei conti, studia i modi per diluire i costi di uscita, a Orvieto la nuova giunta (di centrodestra) si lamenta di aver ereditato dalla vecchia amministrazione (di centrosinistra) «un’operazione sui derivati di difficile comprensione, perché fino al 2030 la stima sarà sempre negativa ». Busto Arsizio, dopo l’esempio varesino, si interroga sulle come seguire la stessa strada.
A Levanto (La Spezia), invece, il comune ha ottenuto dal tribunale una consulenza tecnica preventiva, per capire se è il caso di chiedere la nullità di due contratti siglati tra 2004 e 2006 con Bnl. La stessa strada era stata imboccata dal Tecnoparco del Lago Maggiore, ente posseduto da Finpiemonte e Saia ( entrambe a prevalenza pubblica), che dopo la perizia del tribunale ha ottenuto da Unicredit un risarcimento da un milione di euro su uno swap nato per coprire un debito da 11,6 milioni.