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 2009  ottobre 26 Lunedì calendario

I segreti di Aldo Giovanni e Giacomo «Le nostre gag? Minestrone surreale» - 

Aldo, Giovanni e Gia­como chiacchierano a ruota libera sulla loro carriera, sul passato presen­te e futuro

I segreti di Aldo Giovanni e Giacomo «Le nostre gag? Minestrone surreale» - 

Aldo, Giovanni e Gia­como chiacchierano a ruota libera sulla loro carriera, sul passato presen­te e futuro. Cerchiamo di mettere or­dine, avvertendo che ogni risposta va­le per tre, sono come i moschettieri. O come un minestrone, dicono. E specificano: Giacomo è le verdure, Al­do i borlotti, Giovanni il brodo, il suc­co.

 Questi otto dischi che contengo­no cinema, teatro, tv e pure il back­stage sono come un libro sfogliato all’impazzata, sono un riassunto della vostra carriera, quasi 20 anni, in forma di puzzle...
 «C’è tanto, ma tanto altro materia­le abbiamo dovuto scartarlo, si pote­vano fare altri tre dvd».

 Nostalgia? 
«Beh, un poco di emozione sì, spe­cie con ”Mai dire gol” che fa parte di quel nostro periodo 1994-97 che fu il più ricco, creativo, aperto, evangeli­co: insomma il meglio». 

Quindi commossi? 
«Sui ”Corti” ci siamo commossi e tutti e tre ci siamo sentiti più anzia­ni ». A volte sembra che voi improvvi­siate ma invece è tutto calcolato, provato, studiato: o no?
 «Quasi sempre è così, ma ci piace anche aver qualche ”incidente’ in sce­na: una sera a Milano allo Smeraldo non veniva giù un telo e abbiamo do­vuto inventarci qualcosa, Giovanni è sceso in platea a vendere bibite: sem­brava fosse organizzato, invece era tutto davvero improvvisato, ma non ci perdiamo d’animo. Noi s’improvvi­sa con Aldo che ha frequenti vuoti di memoria perché pensa sostanzial­mente ai fatti suoi e una sera nello sketch del museo a un certo punto ha fatto scena muta. Un ictus? No, so­lo s’era bloccato, cosa che con l’età ac­cadrà sempre più spesso. Ma l’im­provvisazione funziona, è anche se­gno di creatività, di energia e la pla­tea apprezza molto l’estemporaneità di una sera, si sente privilegiata». 

 Quella di «Mai dire gol» è stata una delle vostre stagioni più popo­­lari, avete lanciato personaggi e tor­mentoni, come oggi accade con le ronde da Fazio.
 «Ma la tv è da sempre il nostro massimo comun divisore perché i no­stri film vanno in tv e gli spettacoli teatrali diventano materiale da home­video che poi passano in tv, come il caso di ’Tel chi el telùn’ nato sotto la tenda alle Varesine, solo 45 recite a Milano ma in funzione di tre serate in tv».

 In questi anni, avete sperimenta­to ogni medium.
 «Una volta anche la radio, Radio deejay con Baldini nel ”92-’93. E ci ri­mane la voglia di riprovarci, è uno dei desideri condivisi perché è uno strumento molto libero».

 Per licenziare uno sketch biso­gna che tutti e tre siate d’accordo, vero?
 «Certo, poi si prova, non è detto che sia d’accordo anche il pubblico. Allora a volte lo tagliamo, a volte si allunga o si accorcia come accade nel comico, dipende dalla platea, specie quando ci sono 300 repliche per ro­dare un pezzo, come fu per ’I corti’. Ma agli inizi dobbiamo avere l’unani­mità, non vale due contro uno».

 Ma l’idea di chi è? 
 «Dipende, quella dei bambini per esempio è di Aldo ma poi elaboria­mo insieme; il serial ticinese viene da un vero programma tv, ’All’ultimo minuto’, che parlava di casi risolti mi­racolosamente: lo parodiammo ma neanche troppo, il detective svizzero ha un suo vero campione».

 Confessatelo, qual è la filosofia? 
«Abbiamo uno stile? Se c’è, è sem­pre stato trovare una via surreale in cui però il pubblico si possa identifi­care. Così scegliamo scene di vita quotidiana che poi magari accadono sul serio: quando siamo in fila al Ban­comat temiamo sempre che si avveri lo sketch, può succedere di avere un isterico dietro e un imbranato da­vanti ». Mai cambiati i vostri rapporti? «Mutano l’età, l’energia, anche la voglia creativa forse, ma noi siamo rimasti nei secoli fedeli a quel ger­me di follia degli anni d’oro». La gente cosa apprezza in voi? «Si identifica sempre e volentie­ri ». Evolversi? «Difficile, ma ci siamo sempre di­vertiti e così continuiamo a farlo». Non vi piace usare l’attualità, non fate mai satira ad personam, non citate politici, ma poi tutto è comunque politico alla fine. «Crediamo in effetti sia così, ab­biamo sempre schivato i nomi pro­pri, anche per resistere di più nel tempo, bisogna cercare l’astrazione. Anche le ronde che facciamo in tv al sabato sono l’esempio di qualcosa che c’è nell’aria (ma non in realtà, attenzione) che per noi è lo spunto per raccon­tare episodi di va­ria imbecillità umana». Siete un esem­pio più unico che raro di longevità da trio nel mondo dello show, diffi­cile resistere? «Divertente: essere in tre permette di cambiare alleanze, è uno schema spiazzante, rende variabile l’incastro, mescola i meccanismi, è proprio la commistione di tre anime a fare il connubio vincente, il nostro copyri­ght ». Ma avete un segreto, vi siete chie­sti perché la gente vi adora in ogni platea d’Italia? «Perché noi giochiamo e loro no, noi continuiamo ad essere bambini e loro stanno in castigo da an­ni. Ci invidiano perché noi continuiamo a re­gredire ma in un certo senso li invitiamo a giocare con noi. La trasgressione è l’infantilismo libe­ratorio del gioco, inserendo però ca­ratteri reali, sensazioni vissute. La fantasia non supera mai la realtà». Il Trio è nato in teatro, nelle sale di cabaret, da Zelig, con il Circo di Paolo Rossi e poi con i memorabili spettacoli che hanno girato l’Italia. Ora? «Ci sentiamo meno girovaghi e più pantofolai, perciò il teatro ci pia­ce assai ma facciamo fatica a stare lontani da casa così a lungo, insom­ma siamo un poco viziati». Fate una compagnia stabile comi­ca a Milano allora! «Perché no, ci avevamo pensato in scena, ci troviamo bene». Siete animali da palcoscenico. «Ma no, diciamo che siamo bestio­line, i lemming del teatro». Se ogni sketch deve avere la libe­ratoria di tutti, ciascuno è libero di avere le sue preferenze. così? Con­fessatele. Giacomo: «Gli svizzeri, I bambini, L’auto». Aldo: «La cadrega, La prei­storia, Nico». Giovanni: «Gli svizzeri, La montagna, I bambini». Assieme agli svizzeri, vincono i bambini, anzi i feti. Da attualizza­re? «No, va bene così, è già passato per l’esame risata, come quello della lezione di siciliano di Aldo in cui poi si è inserito l’inglese perfettino di Giacomo». Non è frequente trovare una car­riera divisa in otto dischi e soprat­tutto con una serie di sketch che funzionano anche se continuamen­te interrotti da un montaggio di sa­na follia che mescola ogni forma di espressione e va avanti e indietro nel tempo. « vero, funzionano anche taglia­ti. Crediamo sia utile per i giovani, ed anche per noi, poter guardare al passato prima che vada tutto su Youtube». Cambiereste qualcosa? «Forse sempre tutto... no, va bene così, ma ci piace guardarci in­dietro ». Ora «Che tempo che fa» fino a Natale. E dopo? «Prepariamo il nostro film di Nata­le 2010 che abbiamo cominciato a scrivere ed è l’ultimo del contratto del 1997 con la Medusa, quando furo­no i romani a lanciarci nel cinema». Il regista? C’è, ma non si dice, co­me il soggetto.