Sergio Romano, Corriere della Sera 26/10/09, 26 ottobre 2009
SERGIO ROMANO: NEUTRALIT DELLA SVIZZERA NELL’EUROPA CHE CAMBIA
Il suo articolo «Svizzera: se ne può parlare male?» (Corriere, 18 ottobre) contiene tante verità, condivise da noi stessi. Sarebbe però bello completarlo con un altro («Svizzera: se ne può parlare bene») nel quale lei potrebbe illustrare anche tante altre verità. Ecco alcuni esempi.
Neutralità: appartiene al Dna della Confederazione e sempre l’abbiamo impiegata specialmente a favore dei deboli e dei perseguitati.
Segreto bancario: non è uno strumento di difesa egoistico e isolato, ma costituisce una componente del principio di indipendenza e di discrezionalità fra gli individui che ci impedisce di tollerare i ficcanaso, Stato compreso. Sicurezza politica e sociale: l’affidabilità e l’equilibrio dello Stato e del suo sistema fiscale, la qualità dei servizi offerti sono nostre ricchezze che non sempre i nostri clienti ritrovano a casa loro.
Piero Früh
pfrueh@ticino.com
Caro Früh,
Le virtù della Svizzera sono numerose e la Confederazione è sempre, per molti aspetti, un Paese ammirabile e invidiabile. Ma se dovessi fare un elenco dei suoi meriti non farei l’elogio della neutralità. Proverò a spiegarne la ragioni.
La nuova Svizzera nasce come Stato federale, dopo la guerra del Sonderbund, nel momento in cui i suoi principali vicini – Francia, Germania e Italia – hanno già o si apprestano a creare l’unità nazionale con strutture più o meno centralizzate. Nell’Europa della seconda metà dell’Ottocento, quindi, la Svizzera era uno Stato in controtendenza, impegnato a sperimentare un modello politico e costituzionale alquanto diverso da quello degli altri Stati europei. Per un Paese composto da numerosi gruppi etnico-religiosi questa situazione presentava alcuni rischi. Che cosa sarebbe accaduto all’interno della Confederazione se una guerra fosse scoppiata tra Francia e Germania, come effettivamente accadde nel 1870 e nel 1914 o tra l’Italia e l’Austria, come effettivamente accadde nel 1915? Quale sarebbe stata la reazione dei gruppi nazionali svizzeri che avevano con i Paesi combattenti rapporti di «sangue»? Se uno di questi gruppi avesse apertamente simpatizzato con la sua «casa madre», quali sarebbero state le conseguenze di tale scelta di campo sulla politica estera della Confederazione?
La risposta a queste domande fu per l’appunto la neutralità: la sola formula che avrebbe garantito l’indissolubilità della Confederazione. Ma non bastava proclamarla. Occorreva che la neutralità diventasse una componente della identità svizzera. L’educazione alla neutralità richiese qualche decennio, ma fu realizzata con successo anche perché corrispondeva agli interessi generali dell’Europa. Vi furono certamente momenti in cui qualcuno dei suoi vicini calcolò i pro e i contro di un possibile conflitto con la Confederazione: un tema che è stato negli scorsi giorni discusso alla Società svizzera di Milano in occasione della presentazione del libro «I piani svizzeri di attacco all’Italia nel rapporto segreto del colonnello Arnold Keller (1870-1918)» di Roberto Sala e Maurizio Binaghi, pubblicato dall’editore svizzero Casagrande. Anche la Germania, durante la Seconda guerra mondiale, preferì astenersi dal tentare un’operazione che gli svizzeri avrebbero reso costosa in termini di denaro e di sangue. Ma le condizioni dell’Europa sono da allora interamente cambiate e rendono la neutralità svizzera inutile, se non addirittura un ostacolo alla ricerca di formule politiche più conformi alle esigenze del Paese.