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 2009  ottobre 24 Sabato calendario

«Non c’è giustizia neanche nella Bibbia» - C’era una volta un mugnaio (ve n’erano parecchi) che s’indignò: «Ci sarà pure un giudice a Milano!»

«Non c’è giustizia neanche nella Bibbia» - C’era una volta un mugnaio (ve n’erano parecchi) che s’indignò: «Ci sarà pure un giudice a Milano!». Non ne scoprì solo uno. Alla ribalta - correvano gli Anni Novanta - salì un pool. Ne faceva parte, tra gli altri, Gherardo Colombo. Da tempo ha smesso la toga, così come sembra trascorsa l’ora di Mani Pulite, nuovamente in auge la capitale morale o «città egémone» fissata da Carlo Emilio Gadda, dove, «infine, lamentati i mali del mondo, adempiuto il periplo delle cose che non vanno, ecco, alfine, ”i miei brilànt!”». L’Ingegnere è una sovrana Ombra del catalogo Garzanti, la casa editrice di cui Gherardo Colombo, sessantatreeenne, è neo presidente. Simboleggiando così la liaison fra diritto e letteratura che rifulse, in particolare, al tempo del codice civile napoleonico, modello di stile per Stendhal milanese. Il caso, non casuale, vuole che si discorra con Gherardo Colombo nel marmoreo Palazzo di Giustizia (in aula magna si presenta Il caffè di Sindona, per Garzanti, di Gianni Simoni e Giuliano Turone, ex magistrati - Turone con Colombo scoprirà la P2). Il marmo che, rifletteva Corrado Alvaro, veste le cose definitive, o mai definitive, come la verità, nel nostro Paese inafferrabile - piazza Fontana non è topograficamente lontana. Da magistrato a editore... «Ho lasciato nel 2007, dopo trentatré anni e tre mesi, quasi quattro. Rinunciando ad altri quattordici anni di carriera. Perché l’addio? Lo spiegherei con una metafora. Un idraulico è chiamato in un appartamento dove il rubinetto si è ammutinato: non esce più l’acqua. Per trentatré anni mi sono applicato al rubinetto. Quando invece bisognava, bisognerebbe, scendere in cantina, intervenire sulla centrale, alla fonte del guasto. Siamo al cospetto del problema: la relazione fra il cittadino e le regole, al cortocircuito che la caratterizza. La giustizia non può funzionare se i cittadini non comprendono il perché delle regole». «Sulle regole» è il titolo di un suo libro. «Ma non l’ho scritto quando ero ancora magistrato. Il quotidiano lavoro non mi consentiva un’attività, come dire, didattica». Gesualdo Bufalino avvertiva - a proposito di didattica - che la mafia si combatte a partire dalle scuole elementari, ai maestri affidava una missione titanica... «All’incontro con gli studenti dedico non poche energie. Ne è scaturita anche un’operetta, per Salani, con Anna Sarfatti: Sei Stato tu? La Costituzione attraverso le domande dei bambini». Il libro come mezzo di formazione. La presidenza di una casa editrice la conferma in questo ruolo... «Mi accadde di partecipare, a Udine, al premio Terzani. Là incontrai Stefano Mauri, accertando un’affinità elettiva che si trasmuterà in amicizia. E in sodalizio professionale: prima come vicepresidente, ora come presidente della Garzanti». Il primo libro letto... «Mah, i ricordi sono vaghi e, insieme, ovvî. L’abbecedario, Jules Verne, Salgàri... Le letture che hanno cominciato a orientarmi risalgono al liceo, in primis la filosofia, grazie a un’ottima insegnante. All’Università sarà la filosofia del diritto a calamitarmi. Un autore, in special modo: Hans Welzel, il suo Diritto naturale e giustizia sostanziale, quale fil rouge la relatività del diritto e, infine, della giustizia». Dalla saggistica alla narrativa... «Kapuscinski e Terzani, se vogliamo annoverarli fra i narratori. Fanno vedere la vita, la rivelano: ecco perché li prediligo». E un classico? «Non esito. I fratelli Karamazov, e, nei Fratelli, la leggenda del Grande Inquisitore: il popolo, la folla assuefatta, sottomessa, pronta a obbedire, incapace di scegliere, di mostrarsi responsabile. Quando il vecchio, con bruscosa ironia, domanda: ”Non eri Tu che tanto spesso, allora, dicevi: voglio rendervi liberi? Ma ecco, Tu hai veduto ora, codesti uomini liberi!”». La folla manipolata, suggestionata. Dal Seicento - siamo a Milano - della «Colonna infame» a oggi... «Gli italiani sono un popolo adolescente, hanno bisogno, sempre, di un tutore, di chi dica loro che cosa fare, che cosa pensare...». Siamo all’Italia del signor B., alle «Strane regole del signor B.», vivisezionate per Garzanti da Franco Cordero. «Con lui mi laureai nel 1969 alla Cattolica. E’ approdato alla Bollati Boringhieri. Acquistata dal gruppo di cui faccio parte la casa torinese, è di nuovo fra noi». I giuristi-scrittori. E’ il centenario di Norberto Bobbio e di Alessandro Galante Garrone (che per Garzanti pubblicò «I miei maggiori», ora introvabile). «Ho meditato soprattutto le pagine di Bobbio. Gli feci visita (volli fargli visita) a Torino, nella stagione di Mani Pulite. Era critico sulla custodia cautelare. Cercai di scalfirne i dubbi, le riserve, sull’applicazione di tale istituto. Mi attengo al principio, gli assicurai, che la legge è uguale per tutti». Mani Pulite: c’è un testo che al meglio racconti quella stagione? «Il manuale imprescindibile è Mani Pulite. La vera storia, di Marco Travaglio, con Gianni Barbacetto e Peter Gomez. E’ una ricostruzione fedele di quell’epoca. A mancare, invece, è un’analisi esauriente del fenomeno». Un’altra Italia, rispetto a quella, come testimoniava il mite giacobino Galante Garrone, che considera la vita come un affare di coscienza. «Galante Garrone, Bobbio e, va da sé, Piero Calamandrei. Ne ricordo gli scritti e discorsi politici adunati sotto il titolo Costituzione e leggi di Antigone. Quando ammonisce: ”Dopo la breve epopea della Resistenza eroica, sono ora cominciati (...) i lunghi decenni penosi ed ingloriosi della resistenza in prosa. Ognuno di noi può, colla sua sconfortata desistenza, essere complice di una ricaduta che, questa volta, non potrebbe non esser mortale». Da Calamandrei a Pasolini, che Garzanti va ripubblicando, il passo è breve... «Un testimone insostituibile perché profetico». L’Italia che dovrebbe fondarsi sulla vox populi, elevata a fonte del diritto... «Già nelle Scritture ci imbattiamo nella piaga della folla (soggetto diverso dal popolo) che sostituisce la legge, Barabba docet. Ho letto per intiero la Bibbia, non trovandovi un concetto universale di giustizia. Dominante è il relativismo: si oscilla fra un Dio terribile e distratto e un Dio che esorta ad amare, addirittura, i propri nemici...». «I fratelli Karamazov», il suo proto libro, è stato definito da Nabokov «un tipico racconto poliziesco, un tumultuoso giallo - al rallentatore». Polizieschi e gialli che posto occupano nella sua biblioteca? «Una fresca lettura, e convincente, è Il suggeritore di Donato Carrisi». E Simenon, per esempio? «Il Simenon di Maigret. Non vorrei apparire irriverente, ma il mio Maigret è Gino Cervi». Sono noti, d’altronde, i rapporti non idilliaci, comunque nel segno del sospetto, fra il commissario con la pipa e Palazzo di Giustizia. «Il giudice istruttore non avrebbe approvato quello che l’istinto (l’istinto di Maigret, ndr) gli diceva quel giorno, avrebbe forse aggrottato la fronte...».