Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 24 Sabato calendario

QUANDO TUTELE E DIRITTI SONO UNA BARZELLETTA


La cronaca riferisce l´arresto di Giuseppe Grossi: si parla di fatture false, fondi neri all´estero, contanti avvolti in carta da giornale, sospette tangenti. Un copione talmente noto che provoca, purtroppo, solo sbadigli nell´opinione pubblica. Ma Grossi è azionista di controllo e amministratore delegato di una società quotata, la Sadi, che prima della crisi capitalizzava quasi 300 milioni. Un´impresa, dunque, che dovrebbe rappresentare il meglio in termini di controlli, trasparenza e governance. Invece emerge un campionario di aree grigie, fragilità, disfunzioni.
Sadi è quotata dal 1997; ma la società attuale di Grossi lo è, di fatto, solo da inizio 2007. Grossi sbarca in Borsa con Servizi Industriali (SI) non con un´offerta pubblica, ma attraverso una fusione di SI in Sadi. Un espediente spesso utilizzato per aggirare il processo di quotazione, e quindi il prospetto informativo al vaglio di Consob, analisti e investitori.
La fusione è, di fatto, un´acquisizione: Sadi (che è pure in perdita) vale appena un decimo di SI. Difficile credere alle "sinergie" quando il 75% dei ricavi di Sadi vengono dalla produzione di soffitti e pavimenti, che poco hanno a che fare con le bonifiche e lo smaltimento rifiuti di SI. Quotandosi attraverso una fusione, inoltre, resta in bilancio lo strascico dell´avviamento: una valore frutto di stime che però oggi rappresenta quasi un terzo del patrimonio, e un quinto del capitale investito di Sadi.
Sadi eredita da SI la prassi di operare attraverso una lunga filiera di società partecipate. Una specialità italiana, motivata da ragioni fiscali (uso di società estere) o sindacali (più facile chiudere una società che un ramo di azienda). Ma nel caso Sadi colpisce che si tratti in genere di Srl italiane: ammettendo l´amministratore unico e una trasparenza minima, le Srl rendono difficili i controlli e i bilanci opachi. Per esempio, in marzo Sadi usa una Srl controllata per acquistare il 50% di una nuova Srl, che compra un´altra Srl, proprietaria di un terreno che ospiterà una discarica da 40 milioni di ricavi. La nuova Srl viene consolidata da Sadi con il metodo del patrimonio netto: vale a dire i suoi costi, ricavi, crediti e debiti escono dal bilancio di gruppo. Inoltre, queste società operano con parti correlate (altre società "collegate" all´azionista di controllo), e quindi in potenziale conflitto di interessi (a danno delle minoranze). In attesa che Consob licenzi un regolamento atteso da 5 anni, in Sadi i rapporti "correlati" trionfano: un quarto dei ricavi e quasi un quinto dei crediti. Ancora più sorprendente visto che un terzo del totale delle attività tangibili sono crediti commerciali. Dal punto di vista dei controlli, dunque, la struttura societaria meno adatta per chi opera in un settore a massimo rischio di tangenti
Sadi rispetta tutti i crismi della buona governance: sindaci, revisori, comitato per il controllo interno, comitato per le remunerazioni, entrambi composti in maggioranza da amministratori indipendenti. Però nessuno si accorge che la società ha gonfiato i costi nell´ambito di un appalto, per alimentare un flusso verso l´estero, apparentemente a disposizione dell´amministratore delegato. Perfino i revisori, che in sede di predisposizione del bilancio 2008 muovono 7 pagine di rilievi pesantissimi, si mettono in moto solo a febbraio solo dopo aver «appreso da notizie di stampa che società del gruppo sarebbero oggetto di indagine da parte della Procura». Rilievi che non sembrano aver prodotto risultati, tranne un piccolo accantonamento di 1,6 milioni per le presumibili maggiori imposte da pagare a causa dei costi fittizi contestati; ma coperto da un credito della società nei confronti di Grossi personalmente. Quali garanzie possa dare, gli amministratori non lo dicono: suvvia, possiede l´80% della società. Accantonamento, poi, che gli amministratori, in assemblea, dichiarano di aver fatto «sulla base delle notizie assunte dai giornali». Non male per un società quotata.
Questi problemi ci saranno fino a quando potranno esistere società quotate con solo il 12% delle azioni in mano al mercato, e un imprenditore che la gestisce con l´80%: i confini tra il privato e la società si confondono al punto che parlare di tutele e diritti degli investitori sembra una barzelletta.