Lavinia Farnese, Novella 2000, n. 42, 15/10/2009, pp. 52-56, 15 ottobre 2009
Federico Moccia. Scrive «di notte, a penna, lontano dai rumori. Nella mia mansarda d’inverno o sul terrazzo d’estate
Federico Moccia. Scrive «di notte, a penna, lontano dai rumori. Nella mia mansarda d’inverno o sul terrazzo d’estate. Con la musica. Lascio andare un cd di classica, o la bella casualità della radio. A volte la canzone che sto ascoltando entra nella storia». *** Fiorello diceva: «Moccia ci mette dal fine primo tempo all’inizio del secondo di una partita per scrivere un tomo di 500 pagine». Invece? «Un anno di preparazione: appunti sparsi, scaletta che fa ordine, frasi e dialoghi. E poi due mesi di scrittura. Matta e disperatissima». *** «Un giorno ero sul treno. Chiedo al controllore: ”Scusi manca molto?”. E la ragazzina che mi stava di fianco: ”Hai la voce come Fiore!”. La mia notorietà sotto le scarpe, la sua imitazione, un sigillo». *** Da adolescente era «timido, imbranato, romantico e gran sognatore». *** Suo padre, Pipolo (nome d’arte di Giuseppe Moccia), in coppia con Castellani, era un grande della commedia italiana. «E’ stato, per me, maestro, oltre che papà. Andavamo sempre alle Grotte di Nerone, ad Anzio, in riva al mare. Giocavamo coi sassi. M’infondeva una serenità e una semplicità interiore bella e rara». *** Sposato con Giulia dal 2001. A novembre diventerà papà.