T.T., Novella 2000, n. 41, 08/10/2009, pp. 28-29, 8 ottobre 2009
Roberto Saviano. Ha compiuto trent’anni martedì 22 settembre e si è raccontato due volte. Da Daria Bignardi, all’Era Glaciale, su Raidue, e da Gianni Canova, a Mag, su Sky Cinema
Roberto Saviano. Ha compiuto trent’anni martedì 22 settembre e si è raccontato due volte. Da Daria Bignardi, all’Era Glaciale, su Raidue, e da Gianni Canova, a Mag, su Sky Cinema. Curato il look: camicia e pantaloni scuri dalla Bignardi, giacca blu e camicia a righe da Canova, perché, spiega, «la prima volta che sono andato in Tv, tra anni fa, avevo un maglione giallo e una orribile giacca di velluto e mi dissero che sembravo Serpico». […] E’ diventato un sex symbol ed è pieno di fan. «E’ successo perché i siti e i giornali di gossip mettono la mia faccia ovunque. Sono finito anche su un sito gay. Mi ha chiamato un amico: ”Roberto, è sempre tutto uguale?”. Ma la cosa più strana è che all’estero sono percepito come un quasi mafioso, col fascino che certo cinema ha conferito ai boss. Per molte straniere è come se fossi la cosa più vicina alle organizzazioni criminali. Una cosa molto seduttiva». Sempre riguardo alle donne, Saviano ha ammesso di combattere con la gelosia: «Sono cresciuto nella cultura dei rapporti possessivi tipici del Sud. Dove, se la tua ragazza va al mare da sola, è una cosa che ti mette il sangue alle mani. Se succede così anche a me? Be’, ancora adesso devo lavorarci sopra. Da noi, al Sud, se la tua fidanzata entra in un bar impazzisci, perché sai già che sarà guardata e giudicata da tutti gli uomini». Roberto non confessa se ha un amore. La sua riservatezza è comprensibile e la spiega a Canova: «Per me, da tre anni, l’amore e la sessualità devono avere una nuova sintassi. Vivo sotto scorta, non è facile incontrare una ragazza a una festa e corteggiarla. Poi, chi ti sta accanto deve abituarsi a condividere gli spazi con altre cinque persone. Ricordo una passeggiata al centro direzionale di Napoli, io e lei, dietro di noi, due auto blindate a passo d’uomo, accanto, quattro uomini della scorta a piedi. Era una situazione ridicola. Stare con me significa vivere nella clandestinità, per non essere marchiati come persone a me vicine. Ed è questo marchio il motivo per cui molte persone si allontanano da me». Roberto non vive più a Napoli. Ha cambiato dieci case in tre anni. Ma vive soprattutto in giro per l’Italia, in caserme sempre diverse, «che è sempre meglio della solitudine di un appartamento». Passa il suo tempo tra i carabinieri, più che con gli amici. «Con gli agenti della mia scorta c’è ormai un’amicizia profonda, consolidata nei momenti in cui sentivamo la pressione del rischio di morire. Sono tutti napoletani come me, uno solo calabrese». Si sente in colpa verso i familiari e gli amici. «Mi sento una persona peggiore perché non mi fido più di nessuno, perché nessuno può capire cosa significa vivere così. Sono costretto a blindare la mia vita privata, se espongo amici e familiari, li metto sotto pressione. Moltissime volte sono stato costretto a cambiare città perché troppi sapevano dove abitavo». Al collo, sotto la camicia, porta una piastrina militare con nome, cognome, gruppo sanguigno, una frase latina di Terenzio: «Che nulla di umano sia a me estraneo». «L’ho voluta dopo essere stato ai funerali di un pugile di San Prisco saltato su una mina in Afghanistan», ha spiegato alla Bignardi. «I suoi commilitoni nel salutarlo strinsero tutti la loro piastrina identificativa tra i denti. Quella piastrina l’ho voluta anch’io, che sono legato ai simboli, come un segno di continuità con la mia terra». Tra le accuse dei detrattori, lo ferisce più di altre quella di essersi arricchito denigrando paesi del Sud come Casal di Principe: «Mi ferisce perché chi lo dice sa bene che cosa significa guadagnare. Io, da scrittore, guadagno in tre anni quello che un casalese guadagna in un mese». Non si è tolto nessuno sfizio? Una moto? Un’auto sportiva? Chiede la Bignardi. «Per ora no. Spero di farlo, prima o poi».