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 2009  ottobre 23 Venerdì calendario

Pepe il «tupamaro» l’ex guerrigliero che vuole la presidenza- «Essere socialdemocratico è una codardia» RIO DE JANEIRO – «Dammi retta Pepe, mettiti una giacca

Pepe il «tupamaro» l’ex guerrigliero che vuole la presidenza- «Essere socialdemocratico è una codardia» RIO DE JANEIRO – «Dammi retta Pepe, mettiti una giacca. Non c’è niente di male. Ne ho per­se tre di elezioni perché giravo in camicia, poi alla quarta ho vin­to ». José Mujica, per tutti Pepe, ha accettato il consiglio dell’ami­co Lula. Smesse le guayaberas cu­bane e i giubbotti in stile country, ha tenuto duro solo sulla cravat­ta. Ma se domenica prossima – come tutto lascia pensare – vin­cerà le elezioni presidenziali in Uruguay, non lo si potrà accusare di trasformismo. Nell’America Latina dei leader con un’altra vita alle spalle – l’operaio, il vescovo, il parà – Mujica si definisce con orgoglio un tupamaro, e il nome del cele­bre movimento guerrigliero degli anni Settanta figura tuttora sulla scheda elettorale. Ovviamente, a 74 anni suonati, non è più un com­battente in armi, attività per la quale ha pagato un prezzo terribi­le durante la dittatura militare in Uruguay: quindici anni di galera, buona parte in una cella lugubre sotto terra, e la minaccia quotidia­na di venire ammazzato se i suoi compagni in libertà avessero ripre­so a combattere. Non ha bisogno di test di demo­crazia, Mujica, e non solo perché la sua coalizione, il Fronte Ampio, governa già l’Uruguay da quattro anni, con il moderato Tabaré Vázquez. «Ho già riconosciuto la codardia di essere diventato social­democratico », scherza. stato de­putato, senatore e ministro, nel settore dove ne capisce di più, l’agricoltura e l’allevamento. Atti­vità che ancora costituiscono la ba­se produttiva del piccolo Paese su­damericano, appena tre milioni di abitanti, «in un angolo importan­te del mondo all’incrocio tra alcu­ni fiumi», definizione sua. Dice che l’Uruguay ha tutte le condizio­ni per trasformarsi in un gioielli­no del Sud del mondo, un Paese agro-intelligente, una sofisticata fattoria sotto la linea dell’equato­re, come quella dove vive a mez­z’ora di strada da Montevideo. Del denaro e dei consumi, perso­nalmente non gli importa nulla. Il mio sogno di vita? Pescare, cu­rare le piante e sedermi all’om­bra di un albero. Quando fu elet­to deputato, rinunciò allo stipen­dio e continuò a vendere fiori ai mercati. Per settimane dovette penare per convincere gli uscieri del Parlamento a farlo entrare nel garage con una vecchia moto, sempre sporca di fango. Ma se il gusto retrò aiuta il per­sonaggio, attrae per coerenza e ser­ve a creare nei discorsi buone me­tafore contadine, sono le odierne passioni di Mujica a sostenere la sua candidatura. La scienza, la tec­nologia, lo spirito imprenditoria­le, le idee nuove. Arrivando a ca­valcare persino i luoghi comuni che dipingono l’Uruguay come un Paese sonnolento e triste, e i suoi concittadini attaccati alle certezze e alla rassegnazione di un buon impiego statale. «Abbiamo tutti bi­sogno di una scossa, ci vorrebbe­ro un po’ di emigrati stranieri nei nostri campi. I nostri fanno ben poco», ammette. E ce n’è anche per i dirimpettai del Rio de la Pla­ta: «Gli argentini? Un popolo di idioti, isterici e paranoici, che ama­no farsi governare da ladri e mafio­si », disse in un’intervista che poi uscì in un libro, qualche mese fa. Da Buenos Aires volarono fulmini e lui, già candidato, dovette fare marcia indietro con la solita scusa delle «parole estratte da un conte­sto » e chiedendo scusa. Ma la vec­chia rivalità tra i due Paesi, che si allarga dal tango al futebol passan­do per le vacche, male non cade in politica, e l’episodio è stato veloce­mente archiviato. Per domenica, il dubbio pare es­sere solo uno, se «Pepe» ce la farà o meno al primo turno. I sondaggi gli attribuiscono il 44-45% dei vo­ti e manca poco per evitare il bal­lottaggio. Il suo rivale di centrode­stra Luis Lacalle è fermo al 30-31%.