Sabrina Giannini, Report (in onda domenica 18/10/2009), 18 ottobre 2009
UNA POLTRONA PER DUE
di Sabrina Giannini (Report 18/10/2009)
Sabrina Giannini (fuori campo): Queste donne hanno creato dal nulla la loro impresa. Sono artigiane del divano. Realizzano quel marchio pregiato che è il Made in Italy. Manuela Amadori cuce e assembla i divani. Elena Ciocca ha una sartoria per cucire i rivestimenti. La vita di queste due imprenditrici è cambiata due anni fa, quando la loro solitaria denuncia ha svelato un volto inedito della ricca, operosa, Forlì.
Manuela Amadori (imprenditrice): «Te lo fanno capire, non hanno neanche bisogno di dirlo, o Manuela, il prezzo è questo, vedi un po’ te ci sono i cinesi? Perché tieni tutti quei dipendenti, dai cinesi ti costa molto meno. Ed esci che hai il cuore strappato perché come fai ad entrare nella tua ditta dove vedi i dipendenti e prendere in considerazione un alternativa a quella?!».
Elena Ciocca (imprenditrice): «Si poteva fare questo giochetto, tanto se volevi rimanere sul mercato, i giochetti sono tanti, però, no, io non scendo a queste schifezze. Queste sono schifezze! Punto!».
Milena Gabanelli (in studio): Buonasera, non è vero che tutti abbiano un prezzo. C’è una parte del Paese che sa essere libera e consapevole, indipendentemente dal prezzo che dovrà pagare. L’inchiesta di questa sera, la vogliamo dedicare a due donne coraggiose. Ed è ambientata in una delle zone più laboriose del Paese, tradizionalmente portatrice di grandi valori civili. Siamo in provincia di Forlì, in uno dei distretti più importanti al mondo nella produzione dei divani. Un settore che non è in recessione, ma le piccole imprese italiane chiudono perché il mercato è stato alterato, molto prima dell’arrivo della crisi e lo sarà anche molto dopo. A mettere in ginocchio migliaia di artigiani è la concorrenza sleale. Ma né istituzioni né associazioni di categoria intervengono per frenare i danni irreversibili che sta provocando. A farli emergere la determinazione di due piccole imprenditrici e l’attenzione di una Procura di provincia. La nostra Sabrina Giannini.
Spot Poltrone Sofà: Sabrina Ferilli – «Poltrone Sofà ti dà il benvenuto con la nuova collezione sofashion a metà prezzo».
Voce – «Solo ora sofà basilico a soli 590 euro!».
Sabrina Ferilli - «Metà prezzo e tutta la qualità di Sofà fatti a mano in Italia».
Sabrina Giannini (fuori campo): La qualità del fatto a mano in Italia… per la precisione fatto in Romagna, dove si trova uno dei più importanti distretti della produzione del divano al mondo. Intorno alle grandi aziende più o meno famose ci sono migliaia di artigiani che producono i loro divani. Ed è da uno di loro che troviamo in produzione proprio quel modello venduto a metà prezzo.
Questo è un tre posti, no?
Anonimo 1: «Sì, questo è un tre posti! Io un coso così lo prendo a 170 euro!».
A 170 euro che cosa gli fai però?
«Compro il fusto che costa 20 euro e la gomma costa 40 euro. 110 euro mi rimane tra tagliaggio e montaggio».
Tu quello lì, a Poltrone Sofà, lui ti da il tessuto e basta?
«Si, mi dà solo il tessuto!».
Praticamente è compensato? Cioè questo non è legno, e compensato?
«Per come ti pagano loro gli prendo anche il legno? Ma dai!».
Buongiorno, stavo cercando il signor Bacci? Lei? Scusi l’invasione, sono Sabrina Giannini di Report, RaiTre, mi stavo occupando di una cosa sul divano e mi hanno consigliato di parlarle!
Paolo Bacci (imprenditore): «A me?».
Eh! Che c’ha una disavventura da raccontarmi? Ha chiuso?
«Io? Purtroppo sì! Se volevi lavorare per loro ti toccava stare nei loro parametri, cioè ti imponevano il costo del divano…».
E quando è cominciata questa cosa qui?
«A me non andava bene, gli ultimi due anni è stata una tragedia, ci davano solamente i tessuti».
Il rivestimento?
«Il resto, le materie prime tutto noi dovevamo comprare!».
Tutto voi. Quindi voi dovevate comprare, fusto…?
«Fusto, gomma, piedi, tutto il necessario che ci vuole per costruire un divano…».
Spot Poltrone Sofà: Donna fuori campo – «Ogni nostro sofà è il frutto delle mani sapienti dei nostri artigiani, che si sono adoperati con passione e abilità per offrire un sofà garantito ben 10 anni».
Giannini (fuori campo): vero, gli artigiani si sono adoperati con passione e abilità. Per fare un divano a tre posti prendono mediamente 250 euro ma devono pagare di tasca loro: la struttura in legno, l’imbottitura dei cuscini, il rivestimento in gommapiuma con cui coprire la struttura, il taglio e cucito del tessuto o della pelle, il montaggio del divano e l’imballaggio. A tutti questi costi va aggiunta la manodopera.
Quindi Lei doveva anticipare tutto di tre mesi?
Bacci: «Certo!».
E questo vuol dire che lei era sempre esposto di tre mesi?
«Tutt’ora sono…lavoro in queste condizioni qui! Però volevamo un piccolo aumento».
Perché non ci stavate?
«Infatti l’ultimo anno che abbiamo lavorato ci abbiam rimesso dei soldi in tasca. Il 10 aprile mi doveva arrivare il bonifico in banca e non mi è arrivato».
Perché Lei aveva chiesto un aumento, o non aveva dato la commessa? Lei aveva dato…
«Io ho consegnato tutto, tutto, tutto!».
E quindi Lei adesso è in causa?
«Sono riuscito ad ottenere i miei soldi ma con…».
Con una causa legale?
«Ah, certo!».
E la cifra di quanto era tanto per…?
«Di 330 mila euro, era la fattura di dicembre, gennaio e febbraio, tre mesi di lavoro».
Giannini (fuori campo): L’artigiano, che si assume gran parte dei rischi d’impresa, decide di non accettare più prezzi, a suo dire, troppo bassi e a quel punto l’azienda si rifiuta di pagarlo. Per riavere i suoi soldi deve rivolgersi al Tribunale ma sembra non essere il solo ad avere avuto questo genere di problemi. [...] L’azienda non produce direttamente ed i negozi in franchising vendono su ordinazione. «Una catena di successo», si legge dal sito internet. Proprio delle strade che portano al successo avremmo voluto parlare con il titolare dell’azienda, Renzo Ricci, ma la replica alla richiesta di un’intervista è stata la seguente: «Come anticipato telefonicamente, confermo che per costante prassi aziendale Poltronesofà non rilascia interviste». [...] Quando incontro l’imprenditore cinese il suo capannone è pieno di divani già imballati pronti per essere spediti. Tra quelli in partenza si legge un’etichetta con su scritto: ”Fatto a mano per Alfredo e Sara”. Una dedica speciale per chiunque si sieda sul ”Frutto delle mani sapienti dei nostri artigiani”. Recitava cosi la telepromozione. Sfogliando il catalogo l’imprenditore cinese riconosce i divani che sta producendo.
Imprenditore cinese: «Questo è mio».
Quello lì quanto ti dà?
«Quello 280».
Tutto?
«Totale».
Giannini (fuori campo): Più esattamente sono 253 euro come si vede da questa fattura. A parte il rivestimento, deve comprare tutto di tasca sua. E facendo un calcolo di tutte le spese che anche lui deve sostenere per comprare le parti del divano, gli resta un utile di sole 70 euro. Come fa a produrre da A alla Z 40 divani al giorno con 23 dipendenti?
Lui sostiene di avere 23 persone.
Ciocca: «No, non si fa!!!».
Non ce la si fa?
«Ma no, ma no, solo per cucirlo ci vorrebbero 35 persone!».
Vedi il calcolo come è ben fatto?!
«Al giorno e solo di cucito! E poi il montaggio!».
Giannini (fuori campo): Ma quando l’ho incontrato a settembre, assicurava di avere tutti gli operai in regola…
Imprenditore cinese: «Tutto è a fare in regola. Non è uguale assumere quattro ore e lavorare otto».
E quando? Prima si faceva però.
«Prima sì, adesso no».
Giannini (fuori campo): Mentiva. Due settimane fa la polizia di Forlì è entrata nel capannone per un controllo e ha trovato che dei 22 operai, 18 erano inquadrati con un part-time di sole 4 ore al giorno. Dunque fa uso di manodopera in nero ed è così che può praticare prezzi fuori mercato.
Giulio Sapelli (economista): «Innanzitutto questa nuova imprenditoria cinese è un’imprenditoria che si fonda sulla famiglia cinese, che è una famiglia molta allargata, che arriva fino a i quinti, sesti cugini. Una famiglia cinese può avere in un tempo T con 1, cioè attuale, può avere anche 200 persone. Noi siamo abituati di dire che tutti quelli della stessa famiglia vivono più o meno con lo stesso reddito, hanno lo stesso status, no! Nella famiglia cinese ci sono quelli che comandano, quelli che non comandano, ci sono i poveri e ci sono i ricchi».
Cioè quelli si portano i parenti?
«Ma certamente, certamente, perché Lei sa molto bene il rispetto degli asiatici per gli anziani è straordinario».
Un po’ meno per i dipendenti però?
No…
Per i clandestini che lavorano a cottimo?
«Ma se sono cinesi è normale trattarli cosi, questa è la cosa che probabilmente gli occidentali non capiscono. che loro sono contenti di questo sfruttamento. Perché anzi non lo ritengono neanche uno sfruttamento, cioè qui c’è tutto… bisogna entrare in una mentalità completamente nuova. Per loro è un modo per guadagnarsi una ciotola di riso, nessuno gli ha mai fatto vedere una cosa diversa. Naturalmente coloro che li comandano ed hanno il sistema di potere sanno che c’è una realtà diversa e la segregazione, non la segretezza, la segregazione, serve a mantenere questa ignoranza».
Giannini (fuori campo): Infatti gli operai vivono tutti nella casa attigua al capannone. Vitto e alloggio gratuiti ma retribuiti per sole 20 ore settimanali, mentre è altamente probabile che lavorassero una media di 12 ore, ma al giorno, incluso sabato e festivi… E all’occorrenza anche di notte. Infatti per oscurare la luce è stata coperta la vetrata del capannone al fine di non destare sospetti nelle forze dell’ordine. E questo spiega anche il perché gli italiani che lavorano rispettando le regole chiudono bottega. [...]
Ma Lei queste aziende le conosceva da anni no? Non avevano un debito nei suoi confronti?
Uomo 1: «Si certo, un debito morale e basta, c’era un’amicizia, un debito morale c’era sicuramente».
Però?
«Però in confronto ad un riscontro economico, il debito morale va a quel paese!».
E non li vedeva imbarazzati quando li vedeva in giro?
«Sì, imbarazzati, infatti quando chiudevo degli incontri, il babbo cercava di mandare avanti il figlio, il figlio cercava di mandare avanti il babbo! Loro non è che l’abbiano fatto perché io volevo troppo e gli altri lo facevano per meno, l’hanno fatto anche perché se no forse non ci scappavano. Dovevano concorrere con altre ditte che lavoravano i cinesi. Allora se le altre lavorano con i cinesi e fanno un determinato prezzo, per stare negli stessi prezzi anche loro si sono dovuti adeguare».
Donna 1: «Se noi volevamo continuare a lavorare io e lui, la proposta l’abbiamo anche avuta dalla persona, ci dava il lavoro che lui lo dava ad un italiano ed era libero secondo lui! E poi noi lo dovevamo passare ai cinesi, perché così ci pagava poco! Poi io prendo il lavoro, lascio a casa le mie dipendenti che hanno lavorato qui 20 anni, che hanno fatto della fatica, per dare lavoro ai cinesi sotto costo. Neanche per idea!».
«Pensa se quando uscissi di qui incontro una mia ex dipendente che mi dice: ”Schifoso, hai detto che hai chiuso perché non hai più lavoro e invece il lavoro lo dai ad i cinesi”, pensa un attimo! Se facessi questo lavoro qui!».
Non lo avrebbe mai accettato?
«No, ma scherziamo! Noi siamo persone oneste!».
Giannini (fuori campo): Oggi della loro azienda resta una definizione sulla carta: attività cessata. Un’ecatombe che solo nel 2006 ha fatto chiudere 50 aziende italiane. Mentre dall’altra parte si vede la crescita esponenziale di imprese individuali cinesi aumentate del 135%. [...] I grandi poltronifici e le grandi marche stanno traendo il massimo vantaggio dalla concorrenza a basso costo. I piccoli artigiani sostengono che per restare nel giro devono subappaltare ai cinesi parte del lavoro. Ecco una cinese che sta consegnando il suo lavoro già finito. [...] In 5 anni il fenomeno si è così diffuso da colpire gli stessi cinesi.
Donna cinese: «Il nostro calcolo non è basato diciamo su l’orario di lavoro».
Come minimo la metà di quello che vi dovrebbero dare, ma questo voi lo sapete?
«No!».
Non lo sapete? Non lo riuscite a capire?
«All’inizio no, poi adesso man mano abbiamo…»
Avete capito? E adesso che avete capito avete chiesto l’aumento?
«Sì!».
E cosa vi han detto?
«Ce lo hanno rifiutato…».
Rifiutato, e sono andati dove a farlo?
«Hanno trovato qualcun altro che offre un prezzo più basso».
Quindi c’è un po’ di concorrenza anche tra voi cinesi?
«Tanta concorrenza!».
Giannini (fuori campo): Perché c’è sempre qualcuno più competitivo. Hanno tutti iniziato timidamente il mestiere, assorbito l’esperienza a qualunque prezzo. Fino al giorno in cui i cinesi sono stati preferiti ai loro maestri italiani.
Uomo ditta: «Il cucito lo danno alla cinese che glielo davo io prima. Mi hanno proprio pestato, io non ci sono più, direttamente a lei!»
Giannini (fuori campo): E questo è il cinese che lavora direttamente per il grande poltronificio, la Tre Erre, uno dei più importanti fornitori della marca francese Roche Bobois. Una catena in franchising di alto livello, 240 punti vendita in tutto il mondo. Il titolare della Tre Erre è il signor Tartagni. Ha 200 dipendenti e nel capannone costruisce prototipi e prepara alcune parti del divano. Ma la gran parte del lavoro di sartoria e di assemblaggio lo fa fare fuori, ai terzisti. [...]
Quindi nel vostro settore c’è una concorrenza?
Franco Tartagni (imprenditore): «Sì, certo c’è una concorrenza».
Lei la reputa leale o sleale?
«Per come l’abbiamo gestita noi, leale perché abbiam dato a tutti gli stessi prezzi. Allora noi diciamo che sicuramente oggi, il prezzo del prodotto finito, parliamo del 2009, sono probabilmente più bassi di quelli che erano nel 1999».
Esatto!
«Ma questo è il mercato che ci ha portato a questo».
Non la concorrenza dei cinesi qua?
«No, la concorrenza è più dei cinesi che arriva dalla Cina».
O facevamo così o si chiudeva, questo è il messaggio?
«Sì, ma anche di qui in avanti o siamo bravi a fare dei prezzi super competitivi o saremo costretti a chiudere tutto! Ma io lo voglio fare nella regola però…».
Ah ecco, mi ha letto nel pensiero però…
«Io, noi lo vogliamo fare nelle regole, per noi non esiste niente che non sia nelle regole!». [...]
Giannini (fuori campo): Il prezzo dovrebbe essere correlato alla qualità e qui c’è il valore aggiunto del Made in Italy. Due giorni fa siamo entrati in un punto vendita Roche Bobois di Roma. Chi acquisterebbe un divano fatto in Cina a questo prezzo?
Commessa: «Questo escluso i cuscini, 4 mila euro ed è in promozione».
Giannini (fuori campo): « lo stesso modello che realizza Manuela Amadori. Vediamo qual è il valore che viene dato, oggi, a quel Made in Italy che Roche Bobois mette ben in evidenza».
Amadori: «Questo qui, due pezzi così 205 euro».
Cioè quello lì di pelle?
«Questo qua, questo. 205 euro». [...]
Ciocca: «I nostri imprenditori di Forlì si son fatti le scarpe, se così si può dire, fra di loro per poter avere delle commesse da quest’azienda francese, ognuno abbassava di un tot e per potersi accaparrare il lavoro alla fine c’era chi lo faceva per meno».
Chi è che l’ha detto ai francesi che ci sono….praticamente….
«Che qui i forlivesi sono cretini! Chi gliel’ha detto? L’han capito, son sempre qui i francesi».
Giannini (fuori campo): E forse si francesi sapranno anche che uno dei loro fornitori diretti, la Cosmosalotto di Ezio Petrini, tre anni fa ha licenziato i suoi 80 dipendenti ed ha affittato il capannone ad un imprenditore cinese, che oggi fa i divani per lui. [...]
Amadori: «Se ci fosse crisi, allora lascio il posto… almeno qualcuno lavora, no? Ma non si tratta di crisi, perché noi…se il lavoro fosse distribuito alle ditte che comunque rispettano delle regole, di lavoro noi ne avremmo ancora tantissimo».
Ecco quindi Lei dice: «Se ci fosse una crisi reale, io non avrei problemi a lasciare il posto a qualcuno!».
«Infatti».
….poiché è una crisi determinata dalla concorrenza sleale…
«Sleale! Non posso…non ci posso stare a lasciare a casa qualcuno perché lo Stato qualche risposta me la deve dare».
Ciocca: «Se c’è da proteggere qualcuno si protegge un’azienda così grossa, non si protegge il piccolo artigiano con 6, 8, 10 dipendenti. Non fa prima di tutto rumore, tanto quando ha chiuso un artigiano non è che poi se ne parli e che è…mentre un’azienda del genere è da tutelare, forse giustamente perché ci sono centinaia e centinaia di famiglie però anche le mie famiglie vanno a far la spesa». [...]
Ditemi chi avete contattato e chi poi vi ha aiutato.
«Come lista, io addirittura ho telefonato a tutti i sindacati di categoria. Ma i sindacati non devono tutelare me come azienda, devono tutelare i miei dipendenti. I sindacati tutti: la Cgil, la Cisl, la Uil, tutti! [...] Avevamo mandato degli elenchi e fatto segnalazioni a tutti gli enti: all’Ispettorato, all’Inail, a tutti quanti e sapevamo bene che i documenti erano arrivati. Allora avevo chiesto da quanto tempo avevano loro questi documenti sulla scrivania».
Senza agire?
«Senza agire e non ho avuto nessuna risposta. Ho fatto la stessa domanda 2 o 3 volte e….».
Amadori: «E ha detto che non era tenuto a rispondere».
Ciocca: «Il signore dell’Ispettorato del Lavoro mi disse che lui non era tenuto a rispondermi».
Ah così?
Ciocca: «Sì».
Questo era l’anno…? 2006?
Amadori: «2005…sì, 2006..».
Giannini (fuori campo): Nel 2006, l’anno in cui gli artigiani cominciavano a lamentare il drastico calo di lavoro, i controlli presso le aziende cinesi effettuati dall’Ispettorato del Lavoro furono 12, e su 12 interventi furono contestati 314 illeciti, trovati 110 lavoratori irregolari, di cui 23 clandestini. 23! Nel 2007, con la situazione che andava peggiorando, gli interventi furono soltanto 5, e ancora gli ispettori trovarono i lavoratori in nero, di cui 4 clandestini. Paradossalmente, il problema aumentava e le ispezioni diminuivano. Purtroppo, non possiamo chiedere conto all’allora direttore: da un anno e mezzo è in pensione.
Gabanelli (in studio): Mentre il piccolo imprenditore è sempre più penalizzato sul fronte dei costi per adeguarsi alle normative europee, di fianco un mondo parallelo fatto di cittadelle cinesi senza regole che può competere a qualunque costo. Ma tutti a far finta di niente. Ai grandi va bene così e il sistema li ha progressivamente inglobati sotto una veste di formale legalità. Sempre meno clandestini, non più tutto in nero, ma in regola qualche ora al giorno. E poi si sono iscritti alle associazioni di categoria per la contabilità. Ma le associazioni non si sono mai chieste ”come è possibile avere fatturati così elevati lavorando solo poche ore al giorno”?. [...]
Giannini (fuori campo): La storia va avanti fino a quando un esposto anonimo arriva in questura. Le due imprenditrici vengono convocate. La polizia indaga. Dalle prime indagini risulta fin da subito evidente l’anomalia, ovvero che le aziende cinesi sono in grado di produrre con soli 20 dipendenti, quello che un’azienda italiana produce con 80 dipendenti.
Dal Tgi Del 25/04/2007: «Due capannoni industriali sono stati posti al sequestro e 11 persone denunciate. Si tratta di 5 imprenditori italiani, con cariche all’interno di società di capitali, e 6 cinesi, titolari di aziende, ritenuti responsabili di aver prodotto con manovre non corrette, una grave turbativa nell’esercizio delle industrie del commercio a danno di imprese artigiane locali».
Giannini (fuori campo): L’indagine passa nelle mani del sostituto procuratore Di Vizio. L’inchiesta ipotizza 78 violazioni del codice penale, dalle norme sulla sicurezza alla turbativa di mercato e coinvolge la Polaris, la Cosmosalotto e la Tre Erre.
Lei non aveva avuto sentore che la grande disponibilità dei cinesi fosse direttamente proporzionale all’attitudine di far lavorare in nero le persone? Cioè non aveva il sospetto che i cinesi fossero…
Franco Tartagni (imprenditore): «Mmm… no di farli lavorare in nero no, che magari fossero capaci di lavorare molte ore, anche perché io credo che tutti quelli che sono stati a lavorare all’estero sanno che quando uno è là, da solo, che non parla la lingua, se lo tengono a lavorare fa anche 2 ore in più. L’abbiamo fatto noi quando siamo stati emigranti e l’hanno fatto loro. Io a dir la verità quando…il fatto che avessero l’azienda, che fossero all’interno di un’associazione per le buste paga e tutto quanto, mi sembrava, allora, l’ho valutata una garanzia sufficiente che fossero abbastanza in regola».
Giannini (fuori campo): La garanzia era che un’importante organizzazione economica come la CNA si occupasse di gestire la contabilità di alcune di queste imprese cinesi. Poteva la CNA non capire, guardando buste paga e fatturati, che i conti non tornavano? Che con 20 operai non si può produrre come un’azienda che ne ha 80? Lo chiedo a chi ha diretto la CNA per 20 anni, prima di essere stato eletto, pochi mesi fa, Presidente della Camera di Commercio.
Molti suoi associati hanno trovato quasi impossibile che la CNA non capisse che il part-time era fittizio e che dietro ci fosse una concorrenza sleale contro gli stessi associati al CNA.
Tiziano Alessandrini (presidente Camera di Commercio di Forlì-Cesena): «Metta anche che lo sapesse, ma oltre che dirglielo, cosa possiamo fare? Non possiamo mica…cioè, voglio dire, le organizzazioni economiche non hanno un’autorità da…tale da. Bisogna far intervenire le forze preposte, dopodiché, io…insomma…se Lei continua, bisognerebbe che Lei chiedesse anche qualcosa anche alle forze dell’ordine».
Giannini (fuori campo): Chi deve vigilare che il lavoratore è in regola è l’Ispettorato del Lavoro. Ma cosa può contestare quando trova i cinesi inquadrati per 20 ore alla settimana anche se è probabile che ne lavorino 80?
Raffaella D’atri (direttore Direzione provinciale del Lavoro Forlì-Cesena): «Noi abbiamo bisogno di trovarli intenti al lavoro».
Quindi in realtà se si trovano completamente in nero, è ovviamente scontato la sanzione e tutto, se invece hanno il part-time se la cavano.
«Eh, questo mi è stato appunto fatto presente che in effetti non è risultato così semplice. Ci sono sanzioni che sono state irrogate però se effettivamente pagate…»
Non è detto che paghino insomma?
«No. sempre più difficile vedersi pagate delle sanzioni. Sicuramente pagano la sanzione che viene erogata per la sospensione dell’attività».
Cioè, pur di non vedere sospendersi l’attività, pagano?
«E certo!».
Ma quanto devono pagare per mantenere l’attività aperta?
«Allora, fino a qualche mese fa era un secco 2mila e 500 euro. Adesso sono mille e 500, salvo…ci sono anche delle possibilità di aumentarle legate a particolari ipotesi».
Comunque è diminuita?
«Sì, è diminuita».
Però è quasi un piacere che si fa a chi…
«Io applico delle norme…».
Ma quando è passata questa?
«Ah, praticamente quando c’è stato l’ultimo aggiornamento del decreto 81 del 2008 che è il decreto sulla sicurezza». [...]
Gabanelli (in studio): «Il decreto sicurezza che introduce il reato di clandestinità, riduce le multe sull’utilizzo del lavoro nero. Evidentemente noi lo consideriamo una risorsa, anche quando distrugge interi distretti. Intanto le indagini si sono concluse e si ipotizza il reato di turbativa del commercio e dell’industria perché imprenditori italiani e cinesi in concorso fra loro avrebbero costituito a monte una società di fatto. Dove l’imprenditore italiano fornisce al cinese capannoni, macchinari e commesse, e il cinese garantisce il lavoro finito ad un prezzo molto basso. Se poi non rispetta le norme di sicurezza o fa lavorare gli operai 14 ore al giorno mettendoli in regola solo per 4, non sono più solo fatti suoi, ma anche di chi gli da’ il lavoro. E adesso, mentre la giustizia fa il suo corso, la situazione sarà cambiata?». [...]
Giannini (fuori campo): Per capire come sono andate realmente le cose, torniamo indietro di qualche mese, a giugno.
Amadori: «Oggi non vado più a prendere lavoro, forse un pacco che hanno chiamato che hanno l’urgenza di mandarlo».
E questo cosa Le fa pensare?
«Che io ho finito, ho finito».
Quindi praticamente questi fogli che Le ha dato adesso non c’è una commessa?
«Non c’è la programmazione della 29. Io con la prossima settimana non ho più niente, sono a zero commesse».
E non gliel’ha motivata?
«No, no». [...]
Giannini (fuori campo): A luglio, dopo due settimane a zero ore, si rivolgono al giudice del lavoro. La transazione prevede commesse per un altro anno. Il termine fissato è luglio 2010. Dovranno licenziare comunque per pagare gli stipendi di tutti perché il volume di lavoro non è sufficiente per coprire le spese. Ovviamente hanno provato a cercare un’altra azienda con cui lavorare, hanno chiesto una mano alla Confartigianato, l’associazione a cui sono iscritte.
Ciocca: «Una cosa positiva è che comunque ha detto che si impegnerà a parlare con il Presidente degli Industriali e comunque…e parlare proprio di questo nostro contratto e di quello che ci sta succedendo. Lui si impegnerà comunque a parlare con quelle poche aziende sane che lavorano nel settore per vedere se riescono a trovarci un po’ di lavoro in questo periodo».
Giannini (fuori campo): Per ora, non si è presentato nessuno.
Ciocca: «Comunque noi abbiamo fatto un qualcosa che è andato contro il sistema e in qualche modo…in qualche modo te l’han fatta pagare».
Gabanelli (in studio): Ma gliela faranno pagare proprio tutti? possibile che non esista un imprenditore lungimirante disponibile oggi a guadagnare un po’ meno per salvare il futuro di un intero settore? Loro andrebbero premiate per quello che hanno fatto, perché quando si inverte la scala dei valori, si modifica l’intero sistema dentro al quale viviamo e produciamo. Tollerare la concorrenza sleale è un suicidio perché se oggi tocca alla piccola impresa e all’artigiano, domani potrebbe estendersi alla grande impresa e sarà facile essendo stata svuotata del suo patrimonio di competenza. Noi non abbiamo molti primati ma nel manifatturiero siamo fra i migliori al mondo, dovremmo proteggerlo e difenderlo perché noi possiamo competere solo sulla qualità.