Malcom Pagani, Il Fatto 23/10/2009;, 23 ottobre 2009
LOTITO, VIA COL VANTO
Claudio ascolta tutti. Una buona idea è sempre un affare. Poi decide da solo. Si muove felice tra gli interstizi, un po’ Seneca, un po’ Aldo Fabrizi, un po’ Mario Brega, l’a t t o re cult di Carlo Verdone. ”Perchè devi sposà l’idea, devi sposà l’attac - camento, sennò che cazzo de laziale sei?”. Sono passati cinque anni. Cinque circumnavigazioni del grande raccordo che abbraccia la capitale, tra contestazioni, minacce, citazioni in latino, moralizzazioni, allenatori allontanati, litigi. Comparve all’improvviso. La Lazio, il suo sogno. Cosa sua, indiscutibilmente. ”Da quando l’ho presa, dormo tre ore a notte per risanarla. Me sò invecchiato de vent’an - ni”. Come Gaucci, iniziò nelle pulizie. Nel 1987, molte vite fa. Metafora e sintesi di quanto si apprestava a fare nel pallone. Nettare, togliere la polvere, riformare. Snam Lazio Sud, Linda, Aurora, Bona dea. Straccio e scopa, migliaia di dipendenti, appalti come gocce di pioggia in un temporale. A fine agosto, quello ottenuto per complessivi 22 milioni di euro all’ae - roporto di Fiumicino, è stato solo l’ultimo della serie e in qualche modo, ha chiuso il cerchio. Quasi la stessa cifra che versò per evitare, nel 2004, la prematura scomparsa della Lazio accerchiata da debiti e creditori, prima della rateizzazione m o n s t re che ogni 12 mesi, come una tassa, paga in buon ordine. Il genero di Mezzaroma, Lotito Claudio non recede. ”Io mi confronto. Io ascolto. Io non mi lascio prevaricare”. Io, io, io. Agisce, arringa, lavora, prorompe. L’ultima volta, una settimana fa, al funerale di Gianni Elsner, segnale spento dopo t re n t ”anni di dirette radiofoniche a tema e bandiera della Nord fin dai tempi di Maestrelli. All’ester - no della chiesa, Claudio ”fa c c i o tutto io”, ha regalato solo l’ultimo degli show che la gente aspetta ormai con la stessa puntualità del Natale. Battute, parolacce, imitazioni. I moralisti si sono indignati, Elsner non avrebbe disapprovato. Claudio conosce l’alto e il basso. ”Non nego che il latino e il greco possano essere utilizzati per stordire l’interlocutore. Ma lo sport non può essere disgiunto dalla cultura. Nel calcio ce so’ t ro p p i analfa beti”. Quindi Pascoli, Manzoni, Heiddeger. E poi il volgo. Equilibrio perfetto. Interpolazione costante. Sa come miscelare i generi e animare un racconto, inseguendo il filo dell’altrui stupore. ”Semo scesi a Pechino, ahò, ce stavano tremila cinesi. Devi vedè che tifo”. Pausa, voce in falsetto, pubblico in delirio, imitazione: ”Folza Lazio, folza Lazio’ . E intorno la folla che ondeggia, si muove al ritmo dello spettacolo, gli passa telefoni, biglietti, bambini, laicissime preghiere, richieste di aiuto. ”Ledesma? Sta male”. Voce dal gruppo: ”E’ ammalato de paraculite, presidè”, Claudio annuisce e prosegue: ”Bonetto? M’ha rotto i coglioni per andà a Livorno e poi m’ha chiesto quattrocentomila euro”. Il teatro è lui, l’uno, nessuno e centomila che accentra su di sè le cariche, scivola abile tra cinque telefonini, combatte in prima linea i tifosi violenti e un giorno, chissà, sbarcherà anche in politica: ”Per rilanciare l’Alitalia c’è bisogno di gente come me, se me la danno, la rimetto in sesto in cinque anni”. Per poi saltare all’im - mediata conseguenza. ”Con me al governo, in dieci anni si risolvono i problemi”. L a politica, vecchia storia. Pessimi rapporti con Veltroni, col quale un giorno, ebbe un epico corpo a corpo via radio: ”C a ro Veltroni, hai commesso sette peccati capitali: ti piace l’Africa e hai trasformato Roma in una città africana; hai triplicato il debito del Comune; hai fatto un sacco urbanistico che non si ricordava dai tempi dell’Impero romano: 70 milioni di metri cubi". Relazioni più strette ancorchè ondivaghe con Fini, Storace e Previti. Chi gli spalancò l’autostrada verso la squadra più antica della capitale, in ogni caso, si illudeva di manovrarlo. Dopo poche settimane, l’intento era già evaporato. Di sinistra, Lotito non è mai stato. Anarchico, piuttosto. Refrattario all’essere comandato. Quando il Pdl lo estromise dalle liste nel 2008, si sfogò profetico. ”A me non interessa entrare in Parlamento a spingere i bottoni. Mi secca che sulla mia candidatura avrebbe detto la sua uno come Fabrizio Cicchitto che non ha mai contato niente né in passato, né ora. La verità è che bisogna cambiare questo sistema. Senza le preferenze non si selezionano le classi dirigenti ma dentro le liste ci finiscono solo le zoccole, i prenditori e i magnager”. Qualcuno pensò al lapsus, lui ribadì’. ”Quelli che pensano solo al binomio "F&S": figa-soldi. Non uno come me che è un monogamo convinto, piace in Vaticano e ha ritirato su una società come la Lazio che aveva 1070 miliardi di debiti”. Senza platea, Claudio non sa vivere. Lui, telecamera e folla: una trinità. E’ un magnetismo reciproco, la chiave di volta che ha fatto dell’oscuro imprenditore di un tempo, un protagonista assoluto delle domeniche. Lo share si alza, i siparietti fanno il giro del mondo. ”Mi comporto sempre nella stessa maniera, non guardo in faccia a nessuno. Credo che tutti abbiano capito chi sia Lotito. Io sono io. Slegato da qualsiasi centro di potere, fuori dalle mischie, estraneo ai condizionamenti”. Disgiunto, ma ancorato alle amicizie di un’epoca lontana. Quella con Cesare Previti, prese una mesta piega quando Umberto, il figlio dell’ex deputato di Forza Italia condannato nelle vicende Imi-Sir e Lodo Mondadori, portiere della primavera della Lazio, si vide preferire un omologo di ruolo. Cesare alzò la cornetta: ”Mio figlio viene mortificato ormai da un anno e io mi sono rotto il cazzo. Te lo dico molto su di giri, sono laziale come patto d’onore con Dio e nelle tue giovanili giocano i raccomandati di papà”, con Lotito pompieristico, ”Tuo figlio lo fanno giocare nei play off ”. Q uando non presiede, si industria per non rimanere inattivo. La casa di Cortina, 1.600 metri quadri di arabeschi sul legno e spazi visivi sulle montagne del bellunese, li ha arredati lui. ”Ho scelto stoffe e piastrelle dei bagni, sono andato dal tappezziere. A mia moglie l’ho consegnata chiavi in mano. Io sono fatto così”. Da sempre. A scuola, era tra i migliori. I compagni, invidiosi, lo volevano pestare. Nel riaggiornare il passato, Claudio gonfia la notizia. I biografi lo davano miglior studente del centrosud. Poco, per Lotito il latinista. ”Non ero il migliore del centrosud, ma di tutta Italia. La miglior pagella: la media del 9, ahò!”. Padre poliziotto, madre casalinga di Amatrice. Per Lotito studi classici e laurea in Pedagogia. Pazienza se i mezzi di informazione diventano neologismi: missmidia perchè come sostiene Claudio, le invidie passano e quelli come lui, rimangono. Sobrio, elegiaco, pudìco. ”Mi sono ispirato a Dante Alighieri: ”Non ti curar di loro ma guarda e passa’” . Quando si intenerisce, Lotito scivola nel melenso. E’ allora che il mondo diventa biancoazzurro e il passato, un angolo da ornare con ricordi ad uso e consumo del sostenitore ingenuo: ”Ho cominciato a tifare Lazio all’età di cinque anni, per merito del fidanzato della mia tata. L’amore per il calcio, però, è arrivato dopo. Ho anche giocato: facevo il portiere, il mio idolo era Ya s h i n ”. Così, come faceva il leggendario Lev, il presidente para i colpi della vita. Se gli storpiano il cognome, si incazza. Lotirc hio non si riconosce nella descrizione. ”E’ una bufala. Però non lascio avanzi nel piatto. Nella mia attività applico dettami morali ed etici”. Ai tempi di Calciopoli, il vernacolo lotitiano finì nei tabulati degli investigatori. Lui e Innocenzo Mazzini, vicepresidente della Figc, in amorosa e prolungata conversazione sul campionato della Lazio impegnata a Bologna in uno scontro chiave: ”Domenica è importante perchè quel pezzo di merda di... (Gazzoni Frascara ndr) lo sai che mi ha fatto, quel cesso? ”Do - menica vieni da me? Io ti faccio una dichiarazione al vetriolo’. Dico vabbè, te fai la dichiarazione, noi ci prendiamo i punti”. Il 16 aprile 2005, nonostante la grama accoglienza della tifoseria bolognese: ”Lotito mago del pulito e di colpo il debito è sparito” La Lazio vinse per 2-1. D opo l’inibizione, L’a r b i t ra t o del Coni riaggiustò l’onora bilità. Tanto, per emendarsi, si può sempre guardare in alto. ”Ve n go da una famiglia molto religiosa: in tasca ho il vangelo e il rosario. Li porto sempre con me. Quel che ho fatto l’ho costruito con le mie mani, ma è stata la divina provvidenza a mettermi sulla strada giusta”. Oggi, il progetto originario si è smarrito per strada. La Lazio arranca, gli alterchi con Mancini e Di Canio e le accuse di ”romani - smo” sono alle spalle, come il grande futuro preconizzato da un’estate di vittorie bruciata troppo in fretta. Sui terreni di sua proprietà, vorrebbe costruire un nuovo stadio. Un classico. ”Come imprenditore ho ricevuto tanto dal territorio in cui opero. Ho ritenuto che fosse giunto il momento di ricambiare ”. Forse, abbattute le resistenze ambientaliste, ce la farà. Pazienza per buchi neri, dubbi, domande disfattismi. A chi insinua manovre poco chiare, Lotito oppone gli avvocati. Minacce di querela. ”Ci vediamo in tribunale”. Diverbi a mezzo stampa con chi le notizie, prova a scriverle. Con Mario Sconcerti, in diretta: ”Lei non può fare affermazioni che contrastano con il vero, la devo richiamare”. L’altro pronto: ”Stia tranquillo” e Lotito ancor più lesto: ”Lo sa che fine ha fatto tranquillo?”. In fondo c’è qualcosa di più importante. Sempre che al termine della parabola, non finisca come in quel film del 1970, con Alberto Sordi presidente del Borgorosso Football Club. Assediato e in disperato comizio finale per sedare la rabbia dei tifosi: ”Un gruppo di traditori vuole impadronirsi della squadra. Manderò via chiunque: allenatore e giocatori. Voglio rinnovare tutto”. Sindrome e sinistra somiglianza con l’originale. Alle rate e al fisco, penserebbe allora qualcun altro e Claudio tornerebbe a uno sconvolgente, silenzioso, insopportabile anonimato.