Giampaolo Pansa, Libero 23/10/09, 23 ottobre 2009
Immaginate il giorno in cui uccidono Silvio - Proviamo a immaginare che Silvio Berlusconi venga ucciso per davvero
Immaginate il giorno in cui uccidono Silvio - Proviamo a immaginare che Silvio Berlusconi venga ucciso per davvero. Magari da uno dei tredicimila che da ”Facebook” incitano al suo assassinio. Accade in un giorno di quest’anno, nella seconda metà di dicembre, appena prima di Natale. A Roma, davanti a Palazzo Grazioli, la residenza del premier nella capitale. Verso le tre del pomeriggio, il Cavaliere esce dal palazzo, circondato dalla scorta. Prima di salire sulla vettura blindata, si ferma sulla strada a salutare la piccola folla che lo aspetta. Non dovrebbe farlo. I servizi di sicurezza gli hanno raccomandato di non avere contatti con la gente in pubblico. Ma il piacere di sentirsi popolare e amato è troppo forte per Silvio. Stringe le mani che si protendono verso di lui. Bacia due neonati. Accarezza un paio di signore anziane. In quel momento, tra la folla si fa largo un uomo di mezz’età. Un tipo qualunque, né alto né basso, né magro né grasso, un viso come tanti, un abito simile a molti. Il tizio impugna una rivoltella. E spara quattro colpi sul Cavaliere, tutti al torace. Poi fugge. Due guardie del corpo tentano d’inseguirlo. Ma l’attentatore si perde nelle vie laterali, in direzione di piazza Venezia. Non verrà mai rintracciato. Panico e sconcerto Quanto succede dopo è scontato. Panico. Urla. Terrore fra i passanti. Auto della polizia e dei carabinieri che arrivano a sirene spiegate. Finalmente un’ambulanza. Il Cavaliere è ancora a terra, il petto coperto di sangue, il volto sempre più terreo. Lo trasportano al Policlinico. Ma qui i medici non possono che accertarne la morte. I telegiornali informano l’Italia che l’impossibile è accaduto. Mezzo paese è in lutto. L’altra metà non sa che cosa pensare. Ci sono anche quelli che festeggiano. E non sono soltanto i fanatici di ”Facebook”. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rende omaggio alla salma del Cavaliere. Poi va alla televisione e parla a reti unificate. Invita alla calma. E garantisce che l’assassino e i suoi complici verranno assicurati alla giustizia. Ed eccoci ai funerali di Stato. Di un’imponenza mai vista. Il feretro del Cavaliere sta su un affusto di cannone, coperto dal tricolore. Lo seguono i famigliari al completo: la prima e la seconda moglie, tutti i figli e i nipoti, i parenti, gli amici più stretti. Poi la casta politica al gran completo. Senza eccezioni. I big dei partiti sono sconvolti. Qualcuno giura che persino Tonino Di Pietro ha le lacrime agli occhi, ma forse è un abbaglio. Poi la salma di Berlusconi è trasferita ad Arcore, nella tomba privata che si è fatto erigere anni prima. Tra Natale e Capodanno viene affrontato il problema politico sorto con l’uccisione di Silvio. Il centro-destra si domanda che cosa fare. Le opzioni sono due. La prima è quella di dimettersi in blocco per andare alle elezioni. La seconda è di proseguire con un governo simile al primo. Per rispetto verso gli elettori che avevano votato per Berlusconi. E per i guai sempre più gravi prodotti dalla crisi economica e sociale. Si decide per un nuovo governo. Il premier sarà Gianni Letta, una scelta d’emergenza approvata all’unanimità. I ministri restano quelli del precedente ministero Berlusconi. Nessuno chiede elezioni. Meno che mai il centro-sinistra. Il Partito Democratico, guidato dalla troika Franceschini, Bersani & Marino, fa sapere che nel voto di fiducia si asterrà perché l’ora è grave, molto grave. Lo stesso farà l’Udc di Casini. Invece Di Pietro annuncia un’opposizione ancora più dura. Ottenuto il via libera dalle Camere, il governo Letta inizia il cammino. Ma si rende conto subito che la strada è molto impervia. La mancanza del Cavaliere si sente: è davvero un vuoto incolmabile. Nel centro-destra i contrasti emergono sempre più forti. Tanto che alla fine del gennaio 2010, il governo getta la spugna. Il capo dello Stato scioglie il Parlamento. E indice le elezioni per la fine di maggio. Il centro-destra sceglie di fare la campagna elettorale nel nome del suo grande leader defunto. E tutti si accorgono, con un po’ di sorpresa, che il Cavaliere funziona anche da morto. In ogni città i comizi del Popolo della Libertà si svolgono all’ombra di gigantografie di Berlusconi. L’inno è sempre lo stesso: meno male che Silvio c’è! Come se lui fosse ancora vivo. L’era Tremonti I risultati sono sorprendenti. Al PdL va il 44 per cento dei voti, alla Lega il 20 percento. Totale: il 64 per cento al centro-destra, uno sproposito mai visto. Alle opposizioni rimangono le briciole: il 20 per cento ai democratici, il 10 per cento ai dipietristi, il 6 per cento alla parrocchia di Casini. Ancora una volta le sinistre radicali restano fuori dal Parlamento. Nel giugno 2010 nasce un altro governo di centro-destra. Questa volta a guidarlo è Giulio Tremonti, che mantiene l’interim all’Economia. Nella compagine ricompare persino Gianfranco Fini, come ministro al Turismo. Al momento della fiducia, la metà dei parlamentari dell’Udc disobbedisce a Casini e vota Tremonti. Mentre ad Arcore la tomba del Cavaliere diventa la meta di infiniti pellegrinaggi, molti cominciano a domandarsi: è servito a qualcosa uccidere Berlusconi? Sì, a rendere più forte il centro-destra. Che adesso potrà durare sino al 2015. Certo, l’uomo Silvio non c’è più. Ma i suoi agiografi dicono: il Cavaliere non è vissuto invano. E in fondo, prima di morire, si è anche divertito.