Francesco Specchia, Libero 22/10/09, 22 ottobre 2009
Quando Murdoch censurava la BBC per ingraziarsi i comunisti di Pechino - «Voglio solo vivere in eterno…»
Quando Murdoch censurava la BBC per ingraziarsi i comunisti di Pechino - «Voglio solo vivere in eterno…». Sembrerebbe Silvio Berlusconi, ma è Rupert Murdoch. La frase - più una dichiarazione programmatica che un augurio - il vecchio Rupert se la lasciò scappare nel febbraio 2007 evocando un po’ Ponce de Leon, il mitico esploratore settecentesco della Fontana dell’eterna giovinezza; e un po’ la madre Elisabeth gran dame dell’alta borghesia australiana che a novant’anni suonati era ancora un caterpillar inarrestabile. Mentre baccaglia a Washington col democratico Obama (apparendo un feroce conservatore) e a Roma col conservatore Berlusconi (sembrando un vivace democratico), il tycoon australiano si trova ora in libreria, in un’interessante biografia. Citando, solo nel titolo, la bio di Steve Jobs, ”Nella mente di Rupert Murdoch” (Etas) di Paul R. La Monica, giornalista economico di CNNmoney.com., non è certamente il ritratto al curaro dello stesso tycoon dipinto dell’editorialista di Vanity Fair, Michael Wolff, ”L’uomo che possiede le notizie”, roba inedita in Italia. Però è interessante codesto pamphlet. Sia perché viene pubblicato proprio nel momento della massima offensiva Sky contro Rai (con lo sbarco nel digitale grazie alla chiavetta-decoder); sia perché si snoda tra due concetti: l’accumulo quasi falstaffiano di risorse, e la fissazione di Rupert per il web, vezzo accesogli dai figli e dalla misteriosa moglie sinoamericana Wendy. E questo nonostante non sappia nemmeno accendere il pc e dichiari: «Sono un immigrato nel mondo digitale. Non sono stato svezzato sul web né scaldato sa un computer… ma le mie figlie più giovani non conosceranno mai un mondo senza accessi Internet e banda larga ovunque». Il libro racconta lo stile e i metodi dell’editore nell’imporre la sua linea. Per dire. Andrew Neil, ex redattore del Sun attuale presidente dello Spectator, alla commissione per la comunicazione della camera dei Lord racconta che il Sun (giornale decisivo nelle campagne elettorali inglesi) «non ha mai preso posizione su una consultazione elettorale senza avere il pieno supporto, o per meglio dire, ha sempre preso posizione in base all’influenza di Murdoch». E lo scendere a patti col potere è una caratteristica di Rupert ”editore democratico”, indipendentemente dalla natura dei suoi interessi. Per esempio, per cercare di entrare nel mercato tv cinese, Murdoch fu un acrobata: nel ”95 la sua casa editrice HarpersCollins pubblicò la biografia di Deng Rong sul padre Deng Xiao Ping e sui terribili anni della Rivoluzione culturale. HC pagò un milione di dollari a Deng Rong, prezzo che i detrattori di Murdoch giudicarono eccessivo, ma Deng era ancora al potere. Nello stesso periodo rimosse i notiziari Bbc dal canale Star perché avevano trasmesso un programma su Mao che il governo cinese non aveva apprezzato. E soprattutto, sempre HarperCollins, nel 1998 censurò la biografia di Chris Patten, ultimo governatore di Hong Kong, roba sgradita a Pechino che fu poi pubblicata da altri editori anglosassoni. Eppoi c’è il rapporto di Rupert con Ted Turner, fondatore della Cnn (di cui, curiosamente proprio Etas pubblica ora l’autobiografia scritta con Bill Burke): si sono combattuti, insultati e reciprocamente massacrati da sempre. Con John Malone che voleva scalare dall’interno NewsCorp ebbe uno scontro durissimo; e per comprare Dow Jones, editore del Wall Street Journal a cui aspirava da trent’anni, ha usato con gli azionisti della società, i Bancroft, tutte le lusinghe possibili (in questo ricorda molto il rapporto Berlusconi-Formenton, dicono i maligni) sfruttando ogni varco che le divisioni nella famiglia sotto attacco gli lasciavano a disposizione. Per non dire dell’acquisto di MySpace, portale di social network da 300 milioni d’utenti: «Mi ridevano tutti dietro quando l’ho comprata, oggi vale 20 volte di più». O della creazione di fenomeni di massa come I Simpson (mai gli saremo abbastanza grati), la serie Beverly Hills 90210 e il concorso musicale America Idol, ”un vero uragano di ascolti dal 2002: impossibile da battere in prima serata e per questo chiamato amichevolmente dagli avversari La morte nera”. Per non dire della lunga lista di errori deontologici e abusi di potere delle sue testate usate ”per corrompere, minacciare, vendicarsi”. Ma nella sua storia abbonda pure di lati romantici: gli studi col busto di Lenin in camera; l’apprendistato al Melbourne Herald nel ”49, la nascita del futuro impero dall’Inghilterra dove nel’69 acquistò News of the World; la compulsione per le acquisizioni, a partire dagli studi della 20th Century Fox, fino ai tabloid e ai quotidiani economici. Rupert, qui, appare ora sfidante perpetuo ”dell’ortodossia dei media”, ora businessman senza scrupoli, ora Carlo V dell’informazione mondiale sul cui impero mai tramonta il sole. Manca, ad onor del vero, il coté italiano, dalla fusione Stream/Telepiù, al rapporto (strano) con Tronchetti Provera, alla guerra dell’Iva. Ma forse ha ragione lui: nel bene o nel male, la fragranza che emana è quella dell’eternità...