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 2009  ottobre 22 Giovedì calendario

[Droga a scuola] «ANCHE 200 EURO A TRASPORTO: CON LA DROGA A RICREAZIONE GUADAGNO PIU’ DI MIO PADRE» - Ride senza allegria, grattando con accanimento le sue chiome da rasta, arruffatissime

[Droga a scuola] «ANCHE 200 EURO A TRASPORTO: CON LA DROGA A RICREAZIONE GUADAGNO PIU’ DI MIO PADRE» - Ride senza allegria, grattando con accanimento le sue chiome da rasta, arruffatissime. «Ho vinto il campionato di ”rollaggio”, l’anno scorso, negli spogliatoi della palestra, a scuola mia. Posso ”arrizzarne” una in 35 secondi, di canna, vuoi vedere?». Un piccolo clown dal corpo allampanato e i gesti goffi. Capelli inanellati in riccioli stopposi, gli occhi affondati in due lividi scuri, pomelli rossi sul volto pallidissimo, due macchie vermiglie tutte tonde: il freddo punge, lo ha colto di sorpresa, protetto soltanto da una felpa con tinte sgargianti, e da anticorpi poco risoluti. Infatti Matteo trema, sembra un bambino invecchiato prima di essere cresciuto, si porta addosso il peso dei suoi anni con irriducibile apatia, lo sguardo in fuga, sorriso irrilevante. Aspetta la campanella per entrare a scuola,(liceo del centro, a Roma), muovendo le mani incongruamente, e declinando i suoi strampalati paradossi. «A scuola ci si va per imparare, no? Io li ho imparati lì, i cannoni: rollare, farsi, ”spingere”». Artigiano, consumatore, spacciatore: specializzato, eclettico, competente. Quattordici anni e mezzo. Alla disciplina del rollaggio, Matteo, (nome di fantasia), si è avvicinato a tredici, frequentando un apposito corso, durante la settimana di auto-gestione, l’anno scorso, grazie ai saperi del docente, un ”fattone” che l’ha insegnata ai pochi che non la conoscevano, in una delle aule della scuola. «Si chiama Bob, per via della t-shirt con sopra la faccia di Bob Marley, sempre la stessa, non la lava mai, infatti puzza sempre come un alce». A fumarli, i cannoni, Matteo aveva imparato ancora prima, appena varcata la soglia del liceo. Era un ”primino”, i nuovi compagni la canna gliel’hanno offerta gratis, come la tessera di adesione a un circolo esclusivo, una proposta obliqua di integrazione, sottolineata da un’intonazione strafottente: «sei dei nostri?». La sciagurato rispose, e fu ”iniziato”. Meglio fattone che sfigato. Così, da più di un anno, Matteo ”sta sotto”, ovvero ”si sfascia”, come si dice in gergo, con poca consapevolezza di quanto siano appropriate le metafore. «Quattro, cinque canne nei feriali, sabato pure dieci. Quando non fumo, mi viene su tipo una rabbia, cioè, non lo so perché». Adesso ”inizia” lui i primini, e ha un giro di clienti affezionati. La droga la prende all’ingrosso da quelli che definisce i suoi ”contatti”, i pusher di quartiere, e la rivende a scuola a prezzi quasi raddoppiati. «I pusher di quartiere in gergo si chiamamo ”soldati”», spiega Fabio Giobbi, coordinatore nazionale delle operazioni antidroga nello Sco, il servizio centrale operativo della Polizia di Stato. «Sono quelli che riforniscono i ragazzi per conto dei narcotrafficanti. Cerchiamo di coglierli in flagrante, attraverso agenti in borghese del servizio contro il crimine diffuso. Da fine gennaio a fine luglio, ne abbiamo arrestati 1.500 su tutto il territorio nazionale, mentre vendevano la droga in piazze, parchi, per strada, davanti alle scuole. Poco meno della metà sono immigrati, prevalentemente maghrebini. Abbiamo sequestrato 270 chili di hashish e marijuana». Matteo, come anche Filippo, Nicola, Andrea, Marco, Alessandro, sono ”cavalli”. Cinghie di trasmissione tra la mafia e i loro compagni di scuola. Portano dentro la droga per conto dei ”soldati”, «perché sennò i ”ciocchini”, davanti alle scuole, se li ”bevono”», «e allora quelli ci dicono fatelo voi, altrimenti ciao». Raccolgono le ordinazioni a voce o per sms, e poi distribuiscono all’entrata o all’uscita, nell’intervallo tra un’ora e l’altra, in bagno, in cortile, sulle scale di sicurezza, a ricreazione. Qualcuno, nello zaino, si porta dietro pure il bilancino. «Ho cominciato per prendermi le dosi gratis, adesso ci alzo euri a valanga», (Filippo); «cento, duecento a trasporto, guadagno quasi di più di mio padre, che fa l’impiegato», (Nicola); «ricariche, shopping, drinks, cioè, cose varie», (Alessandro). Rifornimento in tempo reale per hashish o marijuana. Consumo anche a scuola. Per tutto il resto ordini, e poi arriva. Extasy, cocaina, ketamina, popper. Eroina. «Ne abbiamo sequestrati 44 chili, in sei mesi, più della cocaina, (41)», informa Giobbi. Progressione geometrica. E gli insegnanti? «Qualche volta i colleghi chiamano la polizia per fare verifiche a campione», racconta il preside Roberto Romito, dell’”Associazione dirigenti e altre professionalità della scuola”. Ma non tutte le professionalità della scuola si dimostrano all’altezza. «Molti fanno finta di non vedere, non hanno una cultura della formazione o gli strumenti per intervenire, né possono farsi carico di ciò che fanno sul piano educativo i genitori». Quelli che quando scoprono l’attività del figlio cascano dal pero, e piangono. Quelli che quando la Polizia, a Treviso, scoprì una gang che spacciava su larga scala a ricreazione, se la presero con il destino. Qualcuno di loro si era appena lamentato per l’otto in condotta sulla pagella del ”bambino”. Non con quest’ultimo. Con i suoi insegnanti. ”Zero in condotta”, fu definita perciò l’operazione. Ai figli e ai genitori. (2-continua) **** STUDENTI PUSHER A 15 ANNI PER 60 EURO AL GIORNO: «HO IL POSTO FISSO, PAPA’ NO» Eccone un altro, pensò l’insegnante. Postura invertebrata. Uno sbadiglio e un altro, e quasi si slogava la mascella, quel ragazzo, sdraiato sul banco, una fessura di sguardo, spento da catalessi affine al coma. Sempre così, a scuola, tutti i giorni, lui e un certo gruppo di compagni, tutti storditi da un torpore contagioso come un’influenza. E quando la professoressa d’italiano gli chiese, «ma insomma, Giuseppe, (nome inventato), vuoi dirmi di notte cosa fate? Cosa fai?», lui, rilasciando l’ennesimo sbadiglio, le rispose: «Lavoriamo ai giardini, prof. Io ho il posto fisso. Sessanta euro al giorno. Milleottocento al mese. Mica precario e straccione come mio padre, che fa il muratore. Me lo vuol dire che ci vengo a fare, qua?». Spiegò con naturalezza che faceva la vedetta e il trasportatore di droga per gli spacciatori. Studente lavoratore. Stipendiato. A bottega dai pusher professionisti di Torbella. Quindici anni. La prof informò subito genitori e Polizia. I genitori a maledire il proprio sonno poco vigile, a strapparsi i capelli stupefatti fulminati increduli. I poliziotti no. «Spiegai all’insegnante che purtroppo lo fanno, molti adolescenti», racconta Tommaso Niglio, capo dei ”Falchi” della Polizia di Stato a Roma. «C’è un tariffario: trasporto, smistamento a scuola o altrove, vigilanza per avvistare e segnalare il nostro arrivo. Dai due ai trecento euro a prestazione. Oppure li pagano con un fisso, in genere dai cinquanta ai settanta euro al giorno». Bei soldoni. Perciò, racconta Niglio, quando li smascheri si sbalordiscono del tuo sbalordimento. E allora provi a cercagli qualcosa nello sguardo, uno spiraglio nel buio di quell’apatia, uno stupore, un dubbio, davvero spacciare è così grave? «E invece non hanno percezione della legalità. Sembra routine, vendere droga. Spiegano che, per i generi voluttuari, non basta quello che ti danno i genitori». Già, i genitori. Niglio se le ricorderà per sempre, le mani callose che quel brav’uomo, un immigrato tunisino, gli agitò sotto il naso, piangendo come un bimbo: «Sono trent’anni che lavoro qui per garantire ai miei figli un futuro, un’educazione, e adesso me ne ritrovo uno spacciatore». Eppure qualcosa di quell’educazione sostanziosa doveva essersi depositata, se il figlio sedicenne, sorpreso mentre ”spingeva” droga a scuola, a un certo punto si mise a piangere anche lui. «Chiese perdono, fece i nomi degli spacciatori, due italiani, e li arrestammo». Poi si sfilò dall’esercito di quelli che ”farsi” a scuola è un must. Quelli che su You Yube li vedi esibirsi fieramente davanti all’occhio di un telefonino mentre ”pippano” coca sopra banco; o sotto il banco rollano una canna mentre la prof spiega; o fanno lezione di droga in un aula durante l’intervallo, («chi sa dirmi quanti sono gli eccitanti?”, «io: coca e paste!», «popper», «crack», «speed», «bravi!»). Quelli che fanno in palestra la gara di velocità di rollaggio, («23,7 cronometrato, ma chi sono!?»; «io molto meno, mi fai pena»; «io con il polso destro ingessato in due minuti»; «facciamo mentre si guida? Dai!»;). Quelli che ce li ha in mente tutti, Valentina, diplomata a Pescara, l’anno scorso, memorizzati nel campionario di fisiognomiche goffe e stralunate che ha incrociato ogni giorno tra 14 e i 18 anni. «Fumavano canne come fossero sigarette, tiravano fuori l’erba dal portafogli tutti i giorni, qualcuno si bucava di eroina, qualcuno pippava coca, i professori fingevano di non vedere. A parte quando succedeva l’incidente». Come scordare Luisa, che le offrono un popper senza spiegarle che cos’è, e subito dopo, in classe, comincia a piangere, a gridare, a farsi travolgere dall’isteria? Il fatto è che sette su dieci, stando ai sondaggi, almeno una canna se la fanno, al mese o alla settimana o al giorno. E più di due su dieci, invece, se ne fanno tante, e ”stanno sotto”, ovvero diventano ”fattoni”. «Stando al rapporto 2007 dell’Espad per il Cnr- spiega Guglielmo Masci, piscoterapeuta, per dieci anni direttore dell’agenzia delle tossicodipendenze del Comune di Roma- quelli che fumano canne con assiduità sono il 23 per cento. L’81 per cento consuma alcolici sin dall’età di undici anni. Il 37 fuma. E’ una necessità di dipendenza da un’addiction che sostituisca quella familiare, per compensare un insufficiente accudimento». E quando stai male, cosa fai? «Stando a un nostro sondaggio su un campione di 1132 ragazzi, il 68 per cento di loro chiede aiuto ad un amico», assicura Daniele Grassucci, di Skuola.net. Adulti mai. Eppure Carlo, (nome di fantasia), che di canne se ne fumava venti al giorno, e si trascinava nella sua vita come un ectoplasma, un giorno incontrò l’adulto giusto. «Quando arrivò nella mia scuola era distrutto», racconta Mario Rusconi, preside del liceo Newton, scuola modello all’Esquilino. «Lo incoraggiammo nel suo talento di writer, mettendogli a disposizione i muri della scuola. Un po’ alla volta smise, si è diplomato, sta bene, oggi va all’università». Elargire fiducia, attenzione, accoglienza, informazioni. Un modo c’è. E anche più d’uno, se occorre, per Rusconi. «Quando sono arrivato qui, alcuni insegnanti erano disperati, dicevano che questa scuola era diventata una centrale dello spaccio, che entrava di tutto, che respiravano hashish anche nell’aria. E allora, ogni tanto, chiamo le unità cinofile della Polizia. Non è la soluzione. Però funziona: è un deterrente». Così, da un po’ di anni, quando al liceo Newton arriva il cane Naso, i ragazzini gli fanno festa, e giocano con lui. L’olfatto di Naso entra in allerta raramente. Giusto una volta, o due. Per un panino farcito col salame. (3-fine)