Guido Romeo, Nòva-24 22/10/2009;, 22 ottobre 2009
WARGAME CLIMATICI
il 22 ottobre 2015. Il cambiamento climatico non è più una controversia, ma una crisi planetaria. Gli ultimi scettici tacciono da anni, ammutoliti dagli oltre due gradi in più di temperatura, da siccità e desertificazione, dalle migrazioni di massa di oltre 250 milioni di africani e dalle quotazioni dell’acqua dolce alle stelle. Gli effetti del cambiamento climatico sono una variabile con cui non si confrontano più solo climatologi ed economisti, ma uno dei fattori di instabilità geopolitica cruciali per il mondo intero. La concentrazione di CO 2 in atmosfera ha toccato le 407 parti per milione e il quinto rapporto dell’Ipcc, emesso nell’aprile 2014 prevede aumenti di temperatura fino a 5,8?C per il 2100 e innalzamenti dei mari superiori al metro.
questo lo scenario nel quale gli specialisti del Cnas, il Centro per la nuova sicurezza americana, un think-tank bipartisan di Washington, hanno calato un vero e proprio wargame sul clima e sulla sicurezza nazionale con più di un centinaio di esperti provenienti da tutto il mondo. Nella simulazione, mutuata dai giochi di guerra strategici, quattro team di statunitensi, europei, cinesi e indiani si sono confrontatiper cercare un accordo di cooperazione internazionale nella lotta al cambiamento climatico e nel contenimento dei conflitti innescati dalle crisi ambientali che ne conseguono. Un esercizio proiettato nel futuro, ma ricco di indicazioni su cosa potremmo vedere tra poche settimane al tavolo di Copenhagen.
«La novità di questo approccioè l’aver inquadrato il clima in una prospettiva di sicurezza nazionale – spiega Christine Parthemore, ricercatrice del Cnas – e di essere arrivati a un livello di dettaglio molto superiore all’ultimo rapporto dell’Ipcc il quale utilizzava dati del 2005, mentre noi avevamo dati del 2008 e i supercomputer dell’Oakridge National Laboratory che hanno permesso di produrre analisi più spinte degli scenari geopolitici ». Tra i negoziatori figuravano nomi di spicco come Todd Stern, oggi special envoy per il clima della Casa Bianca, Pete Ogden, advisor di Barack Obama per energia e clima e John Podesta, ex capo dello staff di Bill Clinton. «Abbiamo scelto di collocare il wargame nel 2015 piuttosto che nel 2040 o 2050, perché volevamo che i partecipanti si calassero in uno scenario più grave di quello di oggi, ma non così lontano nel futuro da risultare senza relazioni con le scelte e le tecnologie di oggi. Il 2015, in sostanza, è un orizzonte con il quale tutti noi ci possiamo relazionare».
Proprio durante lo svolgimento del gioco nel 2008, l’impennata dei prezzi del barile e le crisi alimentari hanno rafforzato il sentimento di uno scenario futuro, ma estremamente realistico. I risultati delle trattative del gioco sono illuminanti. «Nessuno ha messo in dubbio le proiezioni sull’evoluzione del clima – sottolinea Parthemore ”. Dopo quattro giorni di negoziati si è arrivati a un accordo non vincolante per la riduzione obbligatoria delle emissioni cinesi o il trasferimento di tecnologie dagli Usa all’India, ma forse è proprio qui la lezione più importante per ciò che vedremo a Copenhagen. Il risultato a cui puntare sembra infatti che tutti si sentano all’altezza degli obiettivi posti, soprattutto per i paesi in via di sviluppo, per i quali il punto centrale rimane lo sviluppo economico e l’emersione dalla povertà di centinaia di milioni di cittadini».
Il ruolo della Russia, non conteggiata nel gioco perché principale esportatore di risorse fossili e perciò a prima vista non interessata a una cooperazione è emerso come un fattore cruciale nella stabilità internazionale, ma Cina e India rimangono centrali. «Non è affatto scontato che questi due paesi formino un fronte comune – osserva Parthemore ”, ma sembra chiaro che Pechino, per quanto rifiuti obiettivi vincolanti per la riduzione delle emissioni, rimane molto interessata a collaborazioni per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico ».E il ruolo del-l’Europa? «Molto utile, anche se il primo giorno il team europeo l’ha quasi interamente investito per decidere se poteva agire come un unico paese... – ammette con un leggero imbarazzo la ricercatrice ”. Nei giorni successivi l’Europa si è rivelata molto efficace nella mediazione tra cinesi e americani».
Nei prossimi mesi diversi dei partecipanti del "war-game statunitense" come Stern e Ogden si siederanno al tavolo di Copenhagen e c’è da sperare che ricordino il messaggio emerso alla fine dei quei quattro frenetici giorni a Washington.«Il messaggio più importante da portare a casa – sottolinea Parthemore – è stato unanimemente il focus per interventi immediati, volti a mitigare da subito gli effetti di lungo termine del cambiamento climatico e prevenire crisi politico-ambientali».