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 2009  ottobre 22 Giovedì calendario

TROVA L’ASSASSINO DELLA FIGLIA E LO «ESTRADA» DOPO 27 ANNI


Ci sono fatti che colpisco­no basso e fanno fare alla solidarietà eu­ropea più passi indietro che un litigio tra cancellerie. il caso della storia di André Bamberski, un ex contabile di origine po­lacca da anni emigrato in Francia. Dome­nica scorsa ha rapito (lo ha ammesso egli stesso) l’uomo che nel 1982 uccise sua fi­glia di 14 anni, un chirurgo tedesco già condannato da una corte di Parigi ma li­bero come un fringuello in Germania e l’ha lasciato davanti al tribunale di Mulhouse, cittadina francese vicino al confine. Consegnato alle autorità che ora probabilmente lo processeranno di nuo­vo.

La storia è drammatica e racconta co­me le opinioni pubbliche di due Paesi si­mili, vicini, amici possano reagire diver­samente alla stessa tragedia. E soprattut­to di come la giustizia nell’Unione Euro­pea non sia un affare comunitario ma molto nazionale.

Nel 1982, Bamberski era separato dalla moglie, che viveva in Germania con l’amante, il dottor Dieter Krombach, oggi di 74 anni. La figlia della coppia, Kalinka Bamberski, era affidata al padre. Ma an­dò a trovare la mamma, a Lindau, sul la­go di Costanza. In quell’occasione – se­condo quanto ha stabilito nel 1995 il tri­bunale parigino – Krombach le sommi­nistrò una droga per tentare poi di violen­tarla. La situazione sfuggì al suo control­lo e la ragazza morì. In Germania il medi­co fu assolto per insufficienza di prove. Dopo una lunga e instancabile battaglia legale condotta dal padre, il tribunale francese fece invece riesumare il corpo della ragazza e, al termine del processo del 1995, condannò il medico tedesco, in contumacia, a 15 anni di carcere. Che pe­rò non ha mai scontato perché la giusti­zia tedesca non prevede l’estradizione di una persona condannata per un reato per il quale è stata assolta in patria. Non ha cioè riconosciuto la decisione della corte di Parigi.

Da allora, Bamberski cerca disperata­mente di ottenere giustizia. Negli anni si è probabilmente rivolto a tutte le autori­tà possibili: ha scritto a Jacques Chirac e a Gerhard Schröder. Ha fondato l’associa­zione Justice pour Kalinka. Ha tenuto ma­nifestazioni pubbliche, ha sollevato un caso che in Francia è stato largamente se­guito dai giornali. Ancora la scorsa esta­te, il padre di Kalinka – ossessionato dal­l’ingiustizia, secondo gli amici – denun­ciò pressioni diplomatiche tedesche sui giudici francesi per impedire l’estradizio­ne del medico. Tra l’altro, nel 1997 Krom­bach fu condannato in Germania per una violenza sessuale su un’altra pazien­te, anche in quel caso con l’uso di una siringa e di una sostanza tossi­ca. Ma niente: mai trasferito in Fran­cia.

Ultimo gesto disperato del pa­dre: pare abbia assoldato qualcuno della malavita organizzata (è stato arrestato anche un kosovaro, in re­lazione al caso) e fatto rapire Krombach a Lindau, per poi por­tarlo in Francia e lasciarlo legato e sanguinante di fianco al tribu­nale di Mulhouse. Egli stesso era in città, domenica, ed è stato ar­restato. Il medico tedesco è inve­ce in ospedale piantonato dai gendarmi: probabilmente sarà processato di nuovo in Francia, come accade a chi è stato condannato in contumacia.

Difficile dire a cuore leggero che quan­to è successo nei giorni scorsi sia un caso di giustizia fatta da sé. Un uomo dispera­to per la perdita violenta della figlia ha percorso la strada maestra per 27 anni. Non è servito a nulla, travolto dall’inerzia dei sistemi giudiziari europei e, a suo pa­rere, anche da complicità incrociate. Ma, uomo religioso, non ha cercato vendetta nella morte di colui che ritiene l’assassi­no. Ha aspettato per anni che il celebrato «confine aperto» tra Francia e Germania si aprisse anche per lui. Alla fine, ha agi­to: però più simile a quegli ebrei che cer­cavano i criminali nazisti per farli proces­sare che non a un vendicatore.