Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 22/10/2009, 22 ottobre 2009
«IN PAKISTAN GUERRA». CHIUSI ATENEI E SCUOLE
Scuole elementari, licei, università chiusi in tutto il Pakistan a tempo indeterminato; almeno fino alla prossima settimana. Milioni di studenti a casa, troppo impauriti comunque per tornare in classe. I sei morti di martedì all’Università islamica di Islamabad – due attacchi suicidi contemporanei nei campus femminile e maschile – hanno aumentato l’allerta già alta in tutto il Pakistan. «Se sono arrivati ad attaccare lì, possono farlo ovunque », ha dichiarato un genitore all’agenzia Afp . Solo nelle
madrase gestite dai mullah (e sono migliaia) le lezioni sono continuate.
Rivendicando l’attentato, il capo talebano Qari Hussain Mahsud – «il consigliere dei kamikaze» – ha dichiarato ieri che «l’intero Paese è zona di guerra». Sostanzialmente d’accordo il governo, in evidente difficoltà: il Pakistan è in «stato di guerra», ha detto il ministro degli Interni Rehman Malik. Nessuno esclude nuovi attentati: lo stesso Mahsud ha dichiarato che sarà inevitabile, almeno fino a quando l’offensiva nelle aree tribali non sarà sospesa.
L’attacco al campus - concordano gli analisti – è stato infatti la risposta all’operazione lanciata sabato dal governo Zardari nel Sud Waziristan, roccaforte dei talebani pachistani. Collegati strettamente ai «fratelli» nel vicino Afghanistan, avevano scatenato nelle ultime settimane una serie di attentati (180 morti solo in ottobre) spingendo all’azione il governo, con la benedizione (e l’incitamento) di Washington.
Nell’area del Sud Waziristan, Zardari ha inviato due divisioni con 28 mila soldati, appoggiati da paramilitari, elicotteri e caccia. I talebani starebbero mobilitando tra i 10 mila e i 20 mila uomini, affiancati da «stranieri». Chiusa ai media, la regione è teatro di furiosi combattimenti i cui esiti sono difficili da valutare. L’esercito rivendica 200 nemici uccisi, i talebani smentiscono. Questi ultimi parlano di decine di militari ammazzati, Islamabad nega. Di certo ci sono le difficoltà - più del previsto – che le forze regolari incontrano in una regione di alta montagna, già in pieno inverno, con una popolazione in fuga (150 mila profughi) o comunque ostile. Le due parti stanno combattendo ora per il controllo di Kotkai, città simbolo perché qui abita il capo talebano Hakimullah Mehsud e il suo vice, Qari Hussain. Una conquista difficile: l’esercito ha dichiarato di aver trovato nell’area vari bunker fortificati, qualcuno con pareti di cemento spesse due metri. Le alleanze siglate da Islamabad con alcuni gruppi locali sono poi fragili: ieri un missile dell’esercito ha colpito per errore un villaggio amico, probabilmente mandando a pezzi anche l’accordo. Ieri le autorità militari del Pakistan hanno chiesto l’esplicito appoggio della Nato in Afghanistan, per «prevenire il passaggio transfrontaliero di uomini e armi». Ma la situazione sembra davvero disperata: nelle stesse ore l’Onu annunciava la chiusura di tutti i centri di distribuzione di aiuti alimentari nell’intera regione nordovest del Pakistan, per ragioni di sicurezza. Due milioni di profughi sono rimasti soli.