Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 21 Mercoledì calendario

Dai piccioni ai conigli: i tabù (rovesciati) d’Oriente - Il delfino è un mammi­fero intelligente e spiritoso, fa le ca­priole e la sua pesca in Italia è vietata

Dai piccioni ai conigli: i tabù (rovesciati) d’Oriente - Il delfino è un mammi­fero intelligente e spiritoso, fa le ca­priole e la sua pesca in Italia è vietata. Proviamo orrore nel sapere che viene sterminato in modo barbaro. Perfino i giapponesi hanno avuto un attimo di crisi esistenziale, quando hanno vi­sto il documentario sulla mattanza dell’isola di Taiji, ma per chi, come me, è cresciuto in Liguria, il mosciam­me di delfino, già segnalato sulle ga­lee genovesi del XII secolo, evoca un doloroso senso di perdita. Delizioso filetto essiccato, tagliato come un sa­lume, poggiato su una fetta di pomo­doro con un filo d’olio o usato per la celebre capponadda. Che nostalgia. Siete schifati? Il problema è che il gu­sto è molto personale, prima di esse­re (inter)nazionale. In pochi, probabilmente si avventu­rerebbero su uno stufato di marmot­ta, però è ottimo, con carne più dolce del coniglio. A proposito, se facesse­ro un documentario su come il conta­dino lo uccide, probabilmente la poe­sia del coniglio con olive taggiasche e pinoli perderebbe tutto il suo fascino. E il filetto di renna? Slurp, ma il Santo Natale, dopo averlo provato, non è più lo stesso. Questo per dire che le differenze e le diffidenze nei confron­ti di un cibo si verificano nello stesso ambiente culturale. Figuriamoci tra mondi diversi. Oriente, Africa per noi sono l’esotico. E la nostra cucina lo è per loro. Il sin­gulto che ci assale al pensiero del cuo­re di cobra che piace ai vietnamiti o del ricercatissimo caviale di formiche che servono a Bangkok, è quello de­gli indiani che videro la mucca sulle scatolette della Simmenthal e scatena­rono un incidente diplomatico. Lì si trattava di una faccenda di religione. Invece per i cinesi, che non sopporta­no il formaggio, sarebbe un proble­ma di papille gustative. Per il resto, come dice un proverbio del Sud della Cina: «Mangiamo ogni cosa che ha quattro zampe». A Seul, durante l’Olimpiade del 1988, andammo inu­tilmente alla ricerca di un ristorante che offrisse la prelibatezza nazionale, il cane. Niente da fare. Il governo ave­va minacciato la galera per chi avesse servito il vecchio Fido a un occidenta­le. I giapponesi che amano squali e delfini, non sopportano la cacciagio­ne. A loro il piccione, che tutti i tre stelle francesi in qualche modo pro­pongono, fa senso. E poi molta impor­tanza ha l’odore. Per gli orientali è fondamentale, infatti trattano molto gli alimenti. Un sapore forte si può ac­cettare, un odore forte no. I giapponesi preferiscono i cibi sottovuoto a quelli, che noi adoria­mo, «di campagna». Alla fine, però, se si superano nomi, immagini, odo­ri, e si fa un salto in un’altra dimen­sione culinaria, si possono avere pia­cevoli sorprese. L’hot dog di cocco­drillo con lo stecchino, da assapora­re passeggiando lungo il Mississippi a New Orleans è una bella avventu­ra. Il pene di tartaruga gelatinoso, servito a quadratoni a Pechino, è in­teressante, ma non straordinario, giusto uno sfizio. Meglio lo stufato di canguro: carne gustosa, più di quello che si potrebbe immaginare. Da provare, specie come lo fanno nel Western Australia. Ma evitando accu­ratamente, prima, di guardare i carto­ni animati con i bambini.