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 2009  ottobre 05 Lunedì calendario

Anno VI - Duecentonovantunesima settimanaDal 28 settembre al 5 ottobre 2009Giudici La guerra a Berlusconi dei magistrati – e in particolare dei magistrati di Milano – è cominciata sabato scorso alle dieci di mattina, con l’annuncio di una sentenza di condanna per la Fininvest: in base a quanto ha stabilito il giudice Raimondo Mesiano, l’azienda del premier dovrà pagare alla Cir, l’azienda di Carlo De Benedetti, la somma di 749 milioni e 955 mila euro a titolo di risarcimento danni

Anno VI - Duecentonovantunesima settimana
Dal 28 settembre al 5 ottobre 2009

Giudici La guerra a Berlusconi dei magistrati – e in particolare dei magistrati di Milano – è cominciata sabato scorso alle dieci di mattina, con l’annuncio di una sentenza di condanna per la Fininvest: in base a quanto ha stabilito il giudice Raimondo Mesiano, l’azienda del premier dovrà pagare alla Cir, l’azienda di Carlo De Benedetti, la somma di 749 milioni e 955 mila euro a titolo di risarcimento danni.
 una vecchia storia, non ancora al suo epilogo (la sentenza è di primo grado e i gradi di giudizio sono tre). Tra il 1989 e il 1991, De Benedetti e Berlusconi si affrontarono in una formidabile battaglia per il controllo della Mondadori e di conseguenza dell’Espresso. Il pacchetto decisivo era in mano a Luca Formenton, che lo aveva ereditato dal padre Mario, genero del vecchio Arnoldo Mondadori, fondatore della casa. De Benedetti aveva stretto un accordo con Formenton - un ”put” - in base al quale, a una certa data, avrebbe avuto il diritto, versando una somma prestabilita, di entrare in possesso delle azioni e del controllo. Nell’attesa, il giovane Formenton veniva trattato da De Benedetti, Scalfari e dagli altri dell’Espresso con la sufficienza e l’arroganza che in quel gruppo si riservano ai parvenu, categoria alla quale Formenton non apparteneva di certo. Berlusconi, che aveva anche lui un pacchetto Mondadori, si mise a corteggiare Formenton e con i suoi modi squisiti, tutto il contrario del suo avversario, lo convinse a vendere a lui quel pacchetto tanto importante. Ne nacque una battaglia legale epica, con continui rovesciamenti di fronte, dato che oltre tutto Berlusconi-Formenton avevano la maggioranza nelle assemblee ordinarie e De Benedetti controllava invece le straordinarie, intreccio che determinava ad ogni convocazione un ribaltamento di cariche e di strategia. Dapprima il tribunale di Milano sentenziò che il put di De Benedetti era valido e che quindi la vendita da parte di Formenton a Berlusconi doveva considerarsi nulla. Poi un altro giudice a Roma stabilì il contrario: De Benedetti aveva torto e Berlusconi ragione. Poiché intanto, a causa del contrasto, la Mondadori stava affondando, il presidente del consiglio dell’epoca – Giulio Andreotti – chiese a Ciarrapico, oggi senatore del PdL, di trovare una mediazione e Ciarrapico, buon amico sia di Berlusconi che di Carlo Caracciolo, mise d’accordo i due assegnando la Mondadori a Berlusconi e L’Espresso-Repubblica-Finegil (i quotidiani locali) a De Benedetti. Senonché la magistratura milanese, indagando negli anni successivi, scoprì che il giudice della sentenza di Roma s’era fatto corrompere dagli uomini del Cavaliere, intascando 400 milioni di lire per dargli ragione. Dopo le solite volte e giravolte dei tre gradi di giudizio, la condanna per corruzione di quel giudice è poi diventata definitiva e allora De Benedetti ha pensato di chiedere i danni e sabato scorso gli è stata data ragione. La somma è colossale (il più grande risarcimento della storia) e Berlusconi ha già sussurrato che a questo punto gli è venuta voglia di andarsene all’estero (ma non lo farà). Intanto gli avvocati della Fininvest hanno presentato ricorso e chiesto di sospendere il pagamento. In base alla sentenza, infatti, i 750 milioni andrebbero versati subito.

Alfano La guerra dei giudici potrebbe continuare con la sentenza della Corte costituzionale relativamente al lodo Alfano, quello che tiene immuni dalle iniziative della magistratura le prime quattro cariche dello Stato. Ne abbiamo parlato diffusamente un paio di numeri fa. La suprema corte sta decidendo mentre il giornale va in macchina. Se il lodo Alfano venisse bocciato, il Cavaliere potrebbe essere sommerso da avvisi di garanzia e alla fine costretto a dimettersi.

Messina Tre ore di pioggia intensissima sono state sufficienti a devastare la Sicilia orientale e in particolare i piccoli centri del messinese, Giampilieri, Scaletta Marina, Briga, Scaletta Zanclea. Nel momento in cui scriviamo i morti sono 25 e i dispersi 38. Ma c’è poca speranza sui dispersi, perché la zona più colpita, di circa 3,5 chilometri quadrati, è stata sommersa da un’ondata di fango, le acque di molti degli undici torrenti che la attraversano sono straripate, pezzi di montagna sono venuti giù travolgendo case costruite dove non avrebbero dovuto essere costruite mai. Alcuni di quelli dati dispersi nelle prime ore sono poi stati ritrovati – cadavere – in mare. Due anni fa, una precipitazione di uguale intensità, ma più breve (50 minuti) aveva provocato una grande frana e nessuna vittima. Erano stati stanziati 11 milioni per i lavori di messa in sicurezza, ma le amministrazioni locali non ne hanno spesa finora che la decima parte per un terrazzamento a monte della via Palombara di Giampilieri. Intanto gli inviati sul posto raccontano di case che nei loro salotti inglobano torrenti o anche di palazzine costruite a pochi metri dai binari, edifici che sono stati sbriciolati oppure si mostrano adesso grottescamente inclinati. Bertolaso ha accusato: «Pensassero meno alle feste e agli spettacoli e di più a quello che serve per evitare tragedie come questa». Ma dalle giunte locali si risponde: è tutto in regola!, volendo con questa frase significare che le carte per legittimare lo scempio edilizio sono sempre state fornite a chi le chiedeva. Berlusconi è arrivato sul posto domenica e ha curiosamente affermato che l’alluvione era prevista, anche se non di quelle dimensioni. Un inaspettato mea culpa, di cui forse il presidente del Consiglio non si è reso conto.

Stampa Un altro fronte è quello dell’informazione. Come il lettore ricorderà, le dieci domande di Repubblica a Berlusconi (relative alle sue presunte serate allegre) provocarono due citazioni in giudizio da parte del premier. A Repubblica l’essere chiamati in tribunale per questo è parso un attacco alla libertà di stampa. La reazione del quotidiano è stata, per dir così, sontuosa: con l’aiuto della Federazione Nazionale della Stampa, le querele del premier sono diventate un caso politico internazionale, si sono raccolte molte decine di migliaia di firme, alcune delle quali autorevolissime, e sabato scorso a Roma, in piazza del Popolo, s’è svolta una manifestazione in difesa della libertà di stampa folta di esponenti dell’opposizione e benedetta in qualche modo anche dal cardinal Bagnasco. Tra le sessanta e le centomila persone radunate a sentire i discorsi di Roberto Saviano, del costituzionalista Valerio Onida e ad applaudire Marco Travaglio e Michele Santoro (la cui puntata di Annozero con Patrizia D’Addario ha messo insieme sette milioni di spettatori, piazzandosi tra le più viste dell’anno). A sera poi Augusto Minzolini, direttore del Tg1, ha attaccato in diretta i manifestanti: «Negli ultimi 10 an¬ni sono 430 le querele, per il 68% da sinistra. possibile che la libertà di stampa venga mes¬sa in pericolo solo da due quere¬le di Berlusconi?». Anche questo editoriale ha sollevato un putiferio (Rosy Bindi: «Ha perso un’occasione per riscattarsi», il presidente Rai Paolo Garimberti: «Iniziativa irrituale» eccetera), parendo evidentemente agli oppositori del governo che non sia bene garantire la libertà d’espressione, per esempio, a Santoro e nello stesso tempo al direttore del Tg1.