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 2009  settembre 21 Lunedì calendario

Anno VI - Duecentoottantanovesima settimanaDal 14 al 21 settembre 2009I sei soldati italiani uccisi in Afghanistan hanno rimesso sul tavolo la questione della nostra partecipazione a quell’impresa militare e quindi alla logica delle alleanze che guida la nostra politica estera

Anno VI - Duecentoottantanovesima settimana
Dal 14 al 21 settembre 2009

I sei soldati italiani uccisi in Afghanistan hanno rimesso sul tavolo la questione della nostra partecipazione a quell’impresa militare e quindi alla logica delle alleanze che guida la nostra politica estera. un’altra difficoltà per il governo Berlusconi, del quale si preannuncia con sempre maggior sicurezza la fine, soprattutto sui giornali stranieri, ma anche, più prudentemente, su quelli italiani. A proposito di queste voci o scenari, il ministro Brunetta ha parlato in una sua dichiarazione di ”partito del golpe” alla cui testa sarebbe Luca Cordero di Montezemolo e la sua fondazione ItaliaFutura (che hanno smentito).

L’attentato I sei soldati italiani morti in Afghanistan si chiamavano Andrea Fortunato, Matteo Mureddu, Gian Domenico Pistonami, Massimiliano Randino, Davide Ricchiuto e Roberto Valente. Il più giovane aveva 26 anni, il più anziano 36. Tutti meridionali. Uno di loro, Andrea Fortunato, lascia, oltre alla moglie, il figlio Simone di 2 anni, che domenica, al momento del rimpatrio delle salme, ha indossato il basco del padre e gridato in mezzo alla folla «Ciao, papà». L’attentato è avvenuto a Kabul, lungo la rotonda Massud, sulla strada per l’aeroporto, intorno a mezzogiorno di giovedì 17 settembre: una toyota bianca, guidata da un uomo che la successiva rivendicazione talebana ha chiamato «mujahid Hayatullah», s’è infilata tra due blindati Lince di un nostro convoglio e lì il mujahid (guerriero santo) s’è fatto esplodere. Il Riformista ha pubblicato una foto dell’attentato: si vedono un piede e altri pezzi umani sparpagliati sull’asfalto, un memento terribile sulla verità di queste azioni, alle quali ci siamo erroneamente assuefatti. La magistratura indaga sulla dinamica del massacro, specialmente sul fatto che dopo l’esplosione i nostri soldati avrebbero sparato non si sa se in aria – come dicono tutti i testimoni resi noti – o sulla folla, come afferma la rivendicazione dei terroristi.

Restarci? Saputa la notizia, Umberto Bossi ha subito ribadito che dall’Afghanistan dobbiamo andarcene e possibilmente entro Natale. Una dichiarazione a caldo, emotiva e che in molti hanno giudicato sbagliata: c’è un sistema di alleanze da rispettare e decisioni unilaterali di questo genere le incrinerebbero gravemente (specialmente sul versante del rapporto con gli Stati Uniti); c’è anche la consapevolezza che far mostra di incertezza in un frangente come questo può attirare ulteriormente l’attenzione di al Qaeda, che colpisce preferibilmente proprio i militari di quei Paesi in cui le critiche all’intervento sono più forti, in modo da allargarne le divisioni interne. Il bollettino delle vittime, a sabato scorso, era il seguente: Stati Uniti 837, Gran Bretagna 216, Canada 131, Germania 35, Francia 31, Danimarca e Spagna 25, Olanda e Italia 21, altri 110. Il totale è di 1.406 persone. Neanche il partito democratico è favorevole al ritiro, dato che, come ha detto Fareed Zakaria, guru di Obama, commentatore della Cnn e direttore di Newsweek International, «se non c’è stato un altro grande attacco dopo l’11 settem¬bre è perché al-Qaeda è stata contrasta¬ta in Afghanistan e Pakistan, con le for¬ze di terra e con l’intelligence». Il Pd chiede la convocazione di una grande conferenza internazionale per discutere la pacificazione di quel Paese e il modo di uscirne. Vogliono il ritiro al più presto, oltre alla Lega, la sinistra estrema e Di Pietro.

Afghanistan I giudizi su come va la missione, e soprattutto su come va la guerra, sono contrastanti. Sulla missione: senza poterla chiamare «missione di guerra» (perché ce lo impedisce la Costituzione), non può più però essere definita «missione di pace», dato che i nostri soldati muoiono e quella formula impedisce loro di difendersi. Il governo, seguendo un’intuizione del ministro La Russa, dovrà trovare una definizione intermedia. Quanto all’andamento sul terreno, i giudizi sono contrastanti. vero che i talebani sono presenti sul 97% del territorio, ma è anche vero che il consenso della popolazione verso i terroristi è bassissimo e non supererebbe il 6-7%. D’altra parte è forte anche la disillusione per gli alleati e per il fantoccio americano Karzai, la cui elezione alla presidenza è stata confermata alla vigilia del massacro di giovedì, con il corollario però, firmato dall’Onu, che almeno un milione e mezzo di schede pro-Karzai è stato taroccato.

Berlusconi Berlusconi ha provato ad arginare gli attacchi di Repubblica e della stampa straniera, e le confessioni a pioggia di belle ragazze che giurano d’aver partecipato alle sue cene, organizzando un puntata di Porta a porta pro-governo in prima serata su Raiuno. Occasione: la consegna ai terremotati di Onna, martedì 15 settembre, delle prime 94 villette di legno destinate ad accogliere duecento famiglie terremotate d’Abruzzo. Per non essere disturbato dalla concorrenza, il premier ha manovrato per rinviare il debutto di Ballarò su Raitre e la puntata di Matrix prevista alla stessa ora su Canale 5. I risultati non gli hanno dato ragione in termini di share: Vespa ha fatto appena il 13,4%, l’ha battuto proprio Canale 5, rete del premier, con la fiction L’onore e il rispetto, interpretata da Gabriel Garko e premiata con il 22,61% degli spettatori. Ma gli ha dato ragione il numero di spettatori in termini assoluti: poco meno di tre milioni e mezzo, mentre un Porta a porta normale, in seconda serata, ne garantisce due milioni-due milioni e mezzo, e sia pure con un 20-22% di share. Nel corso del programma, oltre a giurare che entro la fine dell’anno non ci saranno più tendopoli e tutte le vittime del terremoto d’Abruzzo avranno un tetto sopra la testa, Berlusconi ha avuto uno scambio duro con Casini: ha accusato l’Udc di praticare, relativamente alle prossime amministrative, la politica dei due forni, in modo da allearsi col vincitore in ogni regione e garantirsi il maggior numero possibile di alleati. Casini lo ha sentito, ha telefonato e ha annunciato che, se il premier pensa questo, il suo partito correrà le regionali da solo. Berlusconi ha risposto seccamente: «Auguri». Inoltre, replicando a una domanda di Vespa sugli attacchi che gli vengono mossi per la faccenda delle belle ragazze, ha negato tutto e affermato che giornali e partiti sono pieni di ”farabutti”.

Sanaa Sanaa Dafaani, 18 anni, famiglia marocchina, cameriera nel ristorante Spia di Montereale Valcellina in provincia di Pordenone, e convivente con uno dei proprietari del locale, è stata pressoché decapitata dal padre, che le ha fatto la posta per una settimana e l’ha alla fine sorpresa su una stradina della frazione di Grizzo mentre a bordo di un’audi 104 stava andando al lavoro con il suo uomo. Sanaa ha tentato di salvarsi fuggendo in un boschetto vicino, ma il padre, El Katawi Dafani, 45 anni, aiuto cuoco a Pordenone, l’ha inseguita e raggiunta brandendo un coltello che aveva comprato apposta nei giorni precedenti. L’uomo è stato arrestato, le amiche di Sanaa raccontano che disapprovava i costumi occidentali della figlia e che considerava intollerabile la decisione della ragazza di far l’amore con l’uomo che amava, un cattolico che non era suo marito. Fatna, moglie dell’assassino e madre della vittima, ha perdonato il marito e dichiarato che Sanaa aveva sbagliato.