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 2009  ottobre 19 Lunedì calendario

Scudo e aliquote, l’assedio di Tremonti al forziere svizzero- Il caso del gettito mancante: Berna si ribella ROMA – I politici locali sol­lecitano ritorsioni sul transito dei Tir, minacciano di non re­stituire le tasse pagate dai no­stri transfrontalieri in Svizze­ra

Scudo e aliquote, l’assedio di Tremonti al forziere svizzero- Il caso del gettito mancante: Berna si ribella ROMA – I politici locali sol­lecitano ritorsioni sul transito dei Tir, minacciano di non re­stituire le tasse pagate dai no­stri transfrontalieri in Svizze­ra. L’Associazione Bancaria Ti­cinese, nel frattempo, compra spazi pubblicitari sui quotidia­ni italiani per spiegare che «il segreto bancario in Svizzera esiste ancora». Da quando è scattato lo scudo fiscale per il rimpatrio dei capitali, la mobi­litazione è generale. La campa­gna di stampa «è finanziata an­che dal Consiglio di Stato del Ticino con i fondi del decreto anticrisi, anche se non appa­re », ha candidamente rivelato in tv il presidente dell’Abi tici­nese, Claudio Generali, preoc­cupato, ma convinto sia me­glio non dar segnali troppo evi­denti di nervosismo. I clienti italiani appaiono già abbastan­za impensieriti. «Da ottobre c’è stata un’im­pennata delle richieste di rim­patrio » dice il direttore del­­l’Abt, Franco Citterio, accusan­do la disinformazione. La cam­pagna pubblicitaria prosegui­rà, per dire che la Svizzera non è più un «paradiso fiscale della lista nera Ocse» e che sarà pos­sibile il semplice rimpatrio giu­ridico dei capitali in Italia. A Lugano lo chiamano «il rimpal­lo », e ci sperano molto: i soldi restano in Svizzera. L’Agenzia delle Entrate, a Roma, dice che si può, ma che le tasse poi do­vranno essere pagate in Italia. Lo scudo fiscale, non solo quel­lo italiano, rischia di far male. E il segreto bancario, checché ne dicano i banchieri elvetici, vacilla sotto i colpi dell’Ocse e del G20, non solo in Svizzera. Domani i ministri delle Finan­ze europei discuteranno del nuovo accordo con il Liechten­stein, ormai pronto a togliere il velo sui patrimoni stranieri ed accettare l’assistenza ammi­nistrativa con gli Stati Ue in campo fiscale. Loro insistono perché il principio valga solo d’ora in avanti. Ma molti Paesi come l’Italia non sono d’accor­do, perché la clausola, contra­ria agli standard Ocse, pregiu­dicherebbe tutte le indagini fi­scali in corso. Quello con il Liechtenstein è un accordo importante, per­ché è il primo e sarà il modello per tutti gli altri che la Ue nego­zierà sulla scia delle determina­zioni del G20. La Svizzera se­gue con preoccupazione. Nel 2003, piuttosto che indebolire il segreto bancario accettando lo scambio di informazioni con i Paesi europei, scelse (co­me Austria e Lussemburgo) di applicare un’imposta del 20% sui redditi dei non residenti, re­trocedendo il gettito ai Paesi di origine degli investitori. Che tuttavia, di soldi, ne vedono ben pochi. In Italia l’anno scor­so sono arrivati appena 89 mi­lioni di euro, come dire che in Svizzera ci sarebbero una tren­tina di miliardi «italiani». Trop­po pochi secondo il governo, che ha scritto a Berna una lette­ra ufficiale lamentando l’aggi­ramento dell’euroritenuta «con pratiche elusive». Il gioco è semplice, basta intestare i ca­pitali a una società non euro­pea. «In Svizzera ci sono più so­cietà panamensi che a Pana­ma » ripete spesso, non a caso, Tremonti. «Per salvare il segreto dob­biamo ripensare la ritenuta» sostiene Alfredo Gysi, presi­dente dell’Associazione svizze­ra delle Banche estere, appog­giato dai banchieri privati. «Tassiamo quei redditi con l’aliquota dei Paesi d’origine», propongono i banchieri. An­che se il «Piano Rubik», come l’hanno ribattezzato, non piace affatto ai ministri Ue. E si capi­sce: dal 2011 gli accordi euro­pei prevedono che l’euroritenu­ta salga dal 20% al 35%. Un po’ troppo per conservare l’appeti­bilità del conto in Svizzera. Sempreché nel 2011 il segreto bancario esista ancora.