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 2009  ottobre 19 Lunedì calendario

LE FOTO E LE AVVENTURE DI UN INDIGENO DEL MONDO


Ha fatto capire che le cascate e le montagne sentono, che gli animali non sono bestie

Non si è mai perso nel mondo. Anzi l´ha attraversato da indigeno. E´ stato il primo a far sognare l´avventura in Italia. A viverla e a fotografarla per Epoca. Ha fatto capire che i coccodrilli, le cascate, le montagne sentono, che gli animali non sono bestie, hanno solo necessità. Walter Bonatti non è uno da Lost, né da Lost in translation, soprattutto perché si è accontentato di provare emozioni, senza ritoccarle.
Tutto nei suoi racconti è sempre stato senza limiti: il freddo, il caldo, il vento, il mare. Walter Bonatti ha esplorato, senza controfigure, i confini che sembravano impossibili e ad un certo punto si è anche messo a fare clic. "Un mondo perduto. Viaggi a ritroso nel tempo" per Baldini & Castoldi, da domani in libreria, è la storia della sua educazione geografica e di come fotografare l´estremo. Bonatti è del ´30, ha iniziato a scattare nel ´58, quando la tecnologia davanti all´infinito doveva arrendersi. «In Siberia al polo del freddo con meno 65 gradi, a 7.980 metri sulla vetta del Gasherbum IV, sotto la bufera dell´Himalaya, le pellicole a colori si spaccavano e si sbriciolavano, ero costretto a mettermi al collo più macchine fotografiche, con ognuna un clic e basta, il bianco e nero era più morbido, ma sfilarsi i guanti a quelle temperature significava congelarsi le mani». Bonatti non sì è perso nessun risentimento della natura. «In occasione del maremoto ai Caraibi per il ciclone Beulah del ´67 mi legai con una corda lunghissima ad un mio amico e mi buttai tra le onde perché volevo fotografare da vicino, se andava male, lui mi avrebbe recuperato. Epoca aveva una grande scuola di professionisti».
Nel ´66 c´è il bivacco in Tanzania. «Mi fermai a dormire nella giungla accanto ad una pozzanghera di fango putrido, e arrivò un branco di leopardi assetati. La notte dopo, ancora spaventato, pensai fossi meglio dormire sotto un albero, solo che scelsi il giaciglio di un leopardo che lì portava a frollare i resti delle sue prede, così dopo averlo spodestato, mi toccò arrampicarmi sugli alberi». Il suo primo servizio da professionista è il Nevado Rondoy sulle Ande peruviane. «Rimasi affascinato dalle valli, dalle genti, dagli indios. Il direttore Nando Sampietro mi gratificò con la didascalia: foto di Walter Bonatti. Il problema è che il materiale pesava, io viaggiavo solo, stavo fuori dai 3 ai 6 mesi, a volte dovevo abbandonare dei pezzi, perché avevo più di un quintale di eccedenza bagaglio. Facevo 200 scatti per 22 pagine. Il direttore mi pregò di mettermi nelle foto così per le mie tre macchine inventai l´autoscatto a onde radio, un centralina con tre pulsanti, che copriva un raggio di 500 metri, mettere il cavalletto con il filo era impossibile, visto che gli animali lo mangiavano. I lettori protestarono: perché Bonatti dice di essere solo quando nella foto è a 200 metri dall´obbiettivo? Allora in un servizio spiegai in dettagli il mio sistema».
La natura spesso ha gesti improvvisi e un cattivo carattere. «Ho vissuto un mese sulle sponde del Nilo per capire la psicologia di ippopotami e coccodrilli e ho usato la piroga per capire quale fosse la distanza critica e per sviluppare il mio istinto animale. Ma in Tanzania sono stato assalito da tre bufali eccitati e me la sono vista brutta, due mi sono passati accanto, il terzo mi ha centrato. Non mi ha salvato inginocchiarmi, farmi piccolo, stare immobile, soddisfare le loro curiosità, ma la mia abilità di ex ginnasta, ho fatto una specie di salto mortale, e ho evitato di ricadere sulle corna di quello di più aggressivo. Avevo sbagliato io a muovermi, il sole era allo zenith, le antilopi giravano solo la testa, io ho rotto un equilibrio naturale».
Non vorrà glorificare il bufalo furioso? «Spesso gli uomini hanno più colpe degli animali. Un direttore della De Beers in Sudafrica mi ha preso in giro per più giorni negandomi il permesso per visitare una miniera nel deserto della Namibia. Era un territorio pattugliato, pieno di reticolati, sorvolato ogni mattina da un aereo che mitragliava qualsiasi cosa si muovesse. Affittai una macchina, per tre giorni osservai i turni dei guardiani e della sicurezza, poi una notte penetrai nel territorio segreto, mi muovevo solo di notte e di giorno mi nascondevo. Pubblicai il servizio lo mandai a quel direttore che mi aveva detto che la politica del diamante non ammetteva visitatori». La sua foto più bella? «Quella di una madre Masai che esprime l´amore verso il suo bambino. Non mi è mai interessato fare foto perfette, né girare con la cinepresa, solo testimoniare l´attimo fuggente di un mondo immaginario». Anche perché dopo Bonatti, più avventurieri che avventure.