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 2009  ottobre 18 Domenica calendario

parigi In quest´aula dagli scuri rivestimenti in legno intarsiato che sembra una sacrestia, solo quando parla Dominique de Villepin muta la qualità del silenzio, nessuno bisbiglia commenti, meno che mai risatine, non si sente più un solo colpe di tosse né il minimo scalpiccio di piedi sul pavimento: « un affare nauseabondo

parigi In quest´aula dagli scuri rivestimenti in legno intarsiato che sembra una sacrestia, solo quando parla Dominique de Villepin muta la qualità del silenzio, nessuno bisbiglia commenti, meno che mai risatine, non si sente più un solo colpe di tosse né il minimo scalpiccio di piedi sul pavimento: « un affare nauseabondo. Sono qui davanti a voi solo perché ero il rivale di Sarkozy». Ad ogni udienza ci sono nel fondo, vicino alla grande porta sorvegliata dai gendarmi in divisa, molti spettatori in piedi. La luce elettrica di quattro enormi lampadari rotondi scolpisce i volti, scava le orbite. E a sinistra, dietro le toghe dei suoi quattro avvocati, con il mento sulle mani incrociate, l´imputato Villepin perde, udienza dopo udienza, il peso, il colore dell´estate e l´innocenza: «Qui si celebra la mia morte politica». La calunniosa patacca contro Sarkozy che Villepin, prima da ministro degli Esteri e poi degli Interni, «prese troppo sul serio», è stata confezionata da un matematico libanese, di nome Imad Lahoud, che adesso gli siede accanto perché è il principale imputato (complessivamente sono cinque). I due quasi si toccano e per Villepin è una sofferenza: pur di non sfiorarlo preferisce assumere l´aria della statuina di un presepio. E´ come se Lahoud fosse fatto di una materia molle e malsana che potrebbe contagiarlo. Di certo Lahoud è la star comica del processo e non solo perché ha fornito dodici versioni differenti ma anche perché, quando parla, assume una posa napoleonica, i piedi leggermente divaricati, le mani sui risvolti della giacca, «guardate come atteggia la mimica alla ricerca di un pensiero» lo prende in giro un avvocato. «Lahoud è un simpatico truffatore - sostiene un testimone - a cena raccontava di conoscere Bin Laden, e una volta l´ho sorpreso nel mio studio mentre, con una chiave Usb, trafficava con il mio computer». «Io fatico a seguirla» gli dice il presidente quando il libanese si imbroglia per la tredicesima volta. Alla fine ammette di avere scritto («ma sotto dettatura») la falsa lista di titolari di conti della banca lussemburghese Clearstream e di avervi inserito non solo Sarkozy, ma personaggi di ogni genere, persino Laetitia Casta accanto al presidente del Fondo monetario internazionale Strauss-Kahn, all´ex ministro Pasqua, a Laurent Fabius, a Jean-Pierre Chevènement, al giornalista del Monde Plenel, e poi funzionari, poliziotti... «Sono imprevedibili questi truffatori libanesi» commenta l´avvocato quando, tra le risate, Lahoud spiega che la Casta «era un tocco di grazia e di ironia». «Lei ha mai incontrato Laetitia Casta?» chiede il presidente al generale dei servizi segreti Philippe Rondot che, nel giorno del suo 73° compleanno, risponde sull´attenti, rimane otto ore sull´attenti, persino durante la pausa. I Rondot sono dediti al servizio dello Stato francese da parecchie generazioni. Il volto aristocratico e magro, abito verde scuro, il generale porta occhiali rettangolari di metallo, ma un monocolo gli starebbe molto meglio. Il presidente che lo interroga è un uomo elegante e attento che solo davanti al generale sta esibendo un´ombra di ironia quando appunto gli chiede se ha mai conosciuto la Casta. «Purtroppo non ho avuto questa fortuna» risponde, e le risate diventano brusio. Ma il presidente adesso ha assunto un´aria decisamente protettiva verso questo generale che ha il viso cotto dal sole come se avesse partecipato alle grandi manovre. Dunque si mette a scrutare severamente la folla per individuare i disturbatori, poi si piega a turno verso i due giudici a latere, una bella signora bionda e una bruna con gli occhiali, e si vedono le loro labbra muoversi silenziosamente... Infine il presidente rialza la testa: «C´è qualcosa che non torna». Ma non parla di Laetitia Casta. Vuole dire che uno dei due sta mentendo: o il generale Rondot o Dominique de Villepin. Ma Rondot dice di non accusare nessuno e meno che mai Villepin: «Non sono un serpente "incantato" da un pifferaio». E Villepin dice: «Al generale Rondot» con la sua reputazione di sacerdote del dovere, uno di quei generali che somiglia a un generale anche quando, come adesso, è vestito da borghese, «tutti credono sempre, salvo quando dice che io sono innocente». Al contrario «agli imbroglioni nessuno crede mai, salvo quando accusano me». E sono almeno due ad avere la reputazione di imbroglioni, in bilico tra i volgari magliari e i grandi truffatori classici di scuola napoletana: il libanese ovviamente, e Jean-Louis Gergorin, un alto funzionario che ammette di avere scritto le lettere anonime: «ma in questa storia io non sono ”il corvo´ bensì il piccione viaggiatore»; e ancora: «l´ho fatto perché ero come un pollo davanti a un coltello». I due imbroglioni si accusano a vicenda ed entrambi goffamente si fanno scudo di Villepin che platealmente li disprezza anche perché ridurli al ruolo di pataccari senza talento è la strategia difensiva dei suoi avvocati: «Davvero pensate che un ministro intelligente e accorto come Villepin possa ideare o solo infilarsi in una truffa che somiglia più a una burla che a un dramma? Giudichi lei, signor presidente, se è un dramma o una burla». Povero Villepin: la verità è che qui sia il generale sia gli imbroglioni lo mettono nei guai. E ben quaranta avvocati di parte civile si sono accaniti con voce monotona sugli indizi di colpevolezza come in un´interminabile litania. Dramma o burla? Prende la parola, per esempio, l´avvocato di Pierre Martinez, ex capo della polizia finanziaria: «C´era, in lista, tale "Martinez Gille e associati". Ebbene è diventato "Martinez Pierre"». Risatine in aula, breve occhiata del presidente, poi di nuovo silenzio: «Immaginate cosa ha provato Pierre Martinez quando i gendarmi hanno perquisito la sua casa, e quando il suo nome è apparso sui giornali... ». L´avvocato chiede centomila euro. Tra le persone e le società che devono essere risarcite c´è la stessa Clearstream, la banca lussemburghese che dà il nome all´affare ed è diventata sinonimo di danaro sporco: «Hanno persino scritto che Bin Laden è nostro cliente». La gran parte del processo è il tentativo di quantificare i danni all´onore. Ma c´è chi chiede «un euro di risarcimento simbolico, perché il mio cliente ha perduto l´onore ma non l´eleganza». Dramma o burla? Domani pomeriggio parlerà l´avvocato di Sarkozy. Martedì, infine, il Pubblico ministero, che siede su uno scranno sovraelevato e domina dall´alto gli avvocati che si scannano nella fossa. In Francia il Pm dipende dal governo e dunque in buona sostanza da Sarkozy. «Lei – gli ha detto Villepin – sa che io sono innocente, ma non può ammetterlo perché qui è solo un emissario». Oggi questo Pm chiederà la condanna di Villepin per concorso in delitto di calunnia: 5 anni e 45.000 euro di multa.  improbabile che Villepin abbia congiurato con i pataccari per fabbricare la patacca, ma è verosimile che a quella patacca abbia creduto, e questo è proprio il tema del giudizio: «Il ministro degli Interni è prudente o è in mala fede quando verifica se una informazione sia una patacca? Ha fatto finta di credervi anche quando ha saputo che di patacca si trattava?». Ma quando l´ha saputo? «Se calunnia è stata, si tratta di una condotta attiva o di una condotta passiva dovuta a ritardo ovvero ad omissione?». Quanto tempo è concesso, infatti, ad un ministro della Repubblica di resistere allo svelamento della patacca, di non rimpiangere un´occasione perduta, di non cedere alla tentazione? E´ tutto qui l´oggetto del giudizio: «Quando Villepin ha saputo, in quel momento doveva subito abbandonare la patacca, e tanto più doveva essere tempestivo, anzi fulmineo, quanto più la patacca riguardava il suo nemico politico». Dice un avvocato di parte civile: «Tutto è stato manipolato in questo processo, ma non le date, che non sono manipolabili». Ma le date accusano o scagionano Villepin? La sentenza è prevista prima di Natale. Ma è il generale Rondot, il capo dei servizi segreti, che l´ha già scritta. E´ infatti nel suo diario che è stata ritrovata la fredda cronologia di tutta la vicenda. Vedovo, con un figlio ovviamente nell´esercito, Rondot ha la mania di segnare anche il più piccolo avvenimento della sua vita. Senza il suo diario, che la polizia ha trovato in una cassaforte perquisendo la villa di famiglia a Meudon, non ci sarebbe stato processo. Dunque a pronunziare la sentenza è l´uomo che ha passato tutta la sua vita a tacere, fantasma senza viso anche quando arrestò in Sudan il terrorista Carlos. Gloria dei servizi segreti con lo pseudonimo di Max, poliglotta, professore, autore di saggi sulla Siria, sulla Giordania, sull´Iraq, Rondot non sopporta che i giornali lo abbiano preso in giro come un Louis de Funès dell´esercito. Chiede rispetto: «I francesi non apprezzano più noi soldati che non siamo elettroni liberi, ma uomini di servizio». Rondot sostiene di avere avuto l´incarico di indagare da Villepin e «su istruzione dell´allora capo dello Stato Jacques Chirac» fuori scena perché protetto dall´immunità. Dice Rondot: «Villepin mi raccomandò l´assoluta segretezza anche presso gli altri ministri perché altrimenti - mi disse - "io e Chirac salteremmo"». Il confronto tra Villepin e il generale è uno dei momenti più emozionanti del processo, e infatti Villepin non si trattiene, ha l´aria indignata e c´è qualcuno del pubblico che parla gesticolando quando Rondot racconta, per esempio, che Villepin gli telefonò nel marzo del 2004 chiedendogli di aiutare il libanese che era finito dentro per un´altra truffa.Villepin fa come un balzo: «Non è vero. Io non ho mai conosciuto Imad Lahoud». Ma il libanese, che gli sta accanto, scuote la testa tonda. E c´è persino il teste a sorpresa che vorrebbe aiutare Villepin ma in realtà lo inguaia. la cognata di Villepin, sorella della moglie, la signora Delphine Piloquet che entra in aula come un´apparizione, come una corrente d´aria calda. E´ bionda, alta, raffinata, un foulard di seta bianca attorno al collo. Dalle ultime file tutte le teste si alzano e cercano di sbirciare. Il pubblico si interessa solo di lei e i giornalisti giudiziari, che sentono il vento prima che si levi, sono tutti seduti al loro posto. La signora è vicina di casa dei Lahoud, è amica della moglie, una violinista, racconta che il libanese voleva essere accreditato nel bel mondo del ”Tout Paris´, ma nega di avergli fatto conoscere Dominique de Villepin: «solo a mia sorella Marie-Laure de Villepin ho parlato di Imad Lhauod e non certo a mio cognato che era oberato di lavoro». Povero Villepin: fosse assolto, metterebbe la Francia in una condizione peggiore che se lo condannassero perché passerebbe l´idea che Sarkozy, dopo averlo bastonato in politica lo stia cinicamente e dolosamente bastonando pure in tribunale: guai ai vinti. Di certo, ha scritto il Figaro, Villepin, da sconfitto, ha finalmente battuto in popolarità il suo vincitore e già prepara il ritorno in politica. Solo con l´aristocratica coda tra le gambe sta finalmente piacendo ai francesi. E infatti il Nouvel Observateur racconta che in privato Villepin avrebbe confessato: «Sarkozy mi ha resuscitato». Di sicuro, quando vuol sputare quel che gli sta sullo stomaco, Villepin, che in aula si limita a sorridere o a sgranare in faccia al presidente i suoi occhini stupiti ma mai docili e impauriti, si ferma in corridoio, ed è felice solo davanti al nugolo dei giornalisti, dei fotografi, delle telecamere, quando per sentirlo bisogna aprirsi un varco tra gomiti e schiene. Sarkozy, che vuole vederlo - ha detto - «attaccato ad un gancio di macellaio», si è tuttavia pentito di averlo definito «colpevole» e «non imputato». Forse perché, per Villepin, è come la mela di Biancaneve questo processo che lo offende, una metà tutta veleno e una metà tutta zucchero.