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 2009  dicembre 18 Venerdì calendario

Quei tre dubbi sulla Banca del Sud Un Mezzogiorno senza banche che abbiano in loco proprietà e quartier generale, dice Giulio Tremon­ti, è un Mezzogiorno che ottiene meno credito del dovuto, e a condizioni peggiori

Quei tre dubbi sulla Banca del Sud Un Mezzogiorno senza banche che abbiano in loco proprietà e quartier generale, dice Giulio Tremon­ti, è un Mezzogiorno che ottiene meno credito del dovuto, e a condizioni peggiori. Per questo, il governo promuove la Banca del Mezzogiorno alla quale si dicono interessate Poste Italiane, banche di credito cooperativo e Legacoop, soggetti che o dipendono dal Tesoro o hanno una fiscalità di vantaggio da difendere. Funzionerà? Per cominciare vediamo come andava il credito al Sud quan­do i banchi meridionali ballavano da soli, e come va oggi. Nei loro ultimi esercizi autonomi, rispettivamente nel 1996 e nel 2000, il Banco di Napoli prestava alla clientela il 72% della rac­colta e il Banco di Sicilia il 71%. Adesso, il primo fa parte di Intesa Sanpaolo che impiega con clientela meridionale il 97% della raccolta ottenuta al Sud, il 5% in più rispetto alla media nazionale. L’altro è parte di Unicredit che nel Centro-Sud im­piega il 101% dei denari ivi raccolti. Confronti rozzi? Sì, perché i due banchi meridionali avevano una certa presenza anche fuo­ri dal Sud e i dati di Intesa e Unicredit non sono omogenei. E però sufficienti per dire che la disponibilità del credito nel Mezzogiorno non è diversa da quella del resto d’Italia e non è peggio di prima. Pesanti, semmai, sono i tassi. Ma chiediamo­ci il perché e rispondiamoci da soli. D’altra parte, la fine dei due banchi meridionali non fu gloriosa, e non per colpa del ca­pitalismo anglosassone o della distanza dal territorio ma per l’esatto contrario. Comunque sia, la Banca del Mezzogiorno si propone di dare più credito e più a buon mercato a soggetti meritevoli trascurati dalle altre banche. E dovrebbe farlo guadagnando abbastanza da giustificare la partecipazione di soggetti privati al suo capita­le: un capitale che si deve supporre importante pena l’irrilevan­za dell’operazione. Qui insorgono tre difficoltà: a) se è vero che il torto delle grandi banche è quello di aver troppo centra­lizzato le decisioni allontanandosi dal cliente, la Banca del Mez­zogiorno potrebbe rivelarsi ancor più centralizzata, essendo una banca di secondo livello senza nemmeno una rete di spor­telli e di sperimentati direttori filiale propri (e senza l’esperien­za di un Imi o di un Mediocredito); b) se l’agevolazione fiscale sulle obbligazioni destinate a finanziare il credito al Sud andrà a vantaggio dei sottoscrittori, potrebbe restare troppo poco per compensare il maggior rischio connesso al credito erogato ai «dimenticati» dalle altre banche; c) la quadratura del cer­chio potrebbe forse venire dalla rinuncia a un margine d’inte­resse analogo a quello, peraltro basso, delle altre banche, ma allora perché gli investitori privati dovrebbero prendervi parte con cifre rilevanti e in modo spontaneo? Forse, sarebbe meglio prendere il toro per le corna: se ritie­ne insufficiente il credito al Sud e alle piccole imprese (che non stanno solo al Sud), Tremonti farebbe meglio a usare quel­lo che già ha: il Banco Posta. Trasformandolo in una vera ban­ca, lancerebbe la sfida alla banca privata nel rispetto della con­correnza. E in tutta Italia.