Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 18 Venerdì calendario

La «lotta di tutti contro tutti» e il «clima di scontro sistematico alimentato ad arte» im­pediscono di vedere i problemi reali e fanno male a un Paese che ha bisogno di «coesione nazionale», perché «nessuno che abbia un minimo di buon senso può pensare di avvan­taggiarsi dei disastri altrui»

La «lotta di tutti contro tutti» e il «clima di scontro sistematico alimentato ad arte» im­pediscono di vedere i problemi reali e fanno male a un Paese che ha bisogno di «coesione nazionale», perché «nessuno che abbia un minimo di buon senso può pensare di avvan­taggiarsi dei disastri altrui». Il cardinale An­gelo Bagnasco, per la prima volta dopo il ca­so Boffo, parla dei rapporti tra la Cei e la Se­greteria di Stato e della situazione nella Chie­sa. E ancora interviene su immigrazione, omofobia, testamento biologico, ora di reli­gione islamica: delineando la «visione della vita alternativa» di una Chiesa che rifiuta d’essere ridotta a «parte politica», non vuole «imporre» nulla ma rivendica la libertà di parlare e «contribuire al bene comune». Eminenza, il mese scorso descriveva un’Italia «attraversata ciclicamente da un malessere tenace quanto misterioso», fat­to di «risentimenti» e «contrapposizione permanente». E chiedeva di «voltare pagi­na ». A che punto siamo? «Quando la polemica prende il sopravven­to sui problemi reali della gente, come ad esempio l’occupazione o la sanità, la politica smarrisce il suo fine. Il rischio viene da lonta­no e certamente il bipolarismo ha enfatizza­to, ma non creato la nostra atavica tendenza a dividerci piuttosto che ad affrontare le que­stioni nodali del Paese». E quindi? «Non credo giovi a nessuno questo scon­tro sistematico su tutto, alimentato ad arte, e cercato come fine a se stesso. Sono persuaso che la crisi economica imponga misure con­divise e pesi equamente ripartiti se non vo­gliamo sciupare quella risorsa a beneficio di tutti che è la coesione nazionale». Quanto lo scontro tra fazioni riflette il clima politico o mediatico e quanto invece la realtà del Paese? «Lo scontro in atto riflette quel virus indi­vidualista che ha derubato la coscienza mo­derna di una certezza elementare, e cioè che si sta tutti sulla stessa barca. Se manca la co­scienza della relazione come asse portante dell’esistere, come ci ha pure ricordato Bene­detto XVI nella Caritas in veritate , va da sé privilegiare la parte rispetto al tutto, muover­si quindi in ordine sparso, in una sorta di lot­ta di tutti contro tutti». Con il caso Boffo, il direttore di Avvenire che si è dimesso dopo l’attacco del Giorna­le , anche la Chiesa è stata coinvolta negli scontri. Si è avvertita una mancanza di sin­tonia tra Cei e Segreteria di Stato, sullo sfondo il dissidio sulla «guida» nei rappor­ti con la politica. Cambia la relazione tra Chiesa e politica? «Personalmente non vedo in atto degli scontri nella Chiesa, tantomeno tra la Cei e la Santa Sede. So piuttosto che c’è una sorta di divisione dei compiti che corrisponde alla di­versa fisionomia delle due realtà che assolvo­no a compiti asimmetrici, essendo noi solo una espressione locale a differenza dell’altra che ha invece una vocazione universale». Quali compiti, in sostanza? «La Cei, come del resto ogni Conferenza episcopale del mondo, ha come compito, se­condo le indicazioni esplicite della lettera apostolica Apostolos suos , al numero 15, ’la promozione e la tutela della fede e dei costu­mi, la traduzione dei libri liturgici, la promo­zione e la formazione delle vocazioni sacer­dotali, la messa a punto dei sussidi per la ca­techesi, la promozione e la tutela delle uni­versità cattoliche e di altre istituzioni educati­ve, l’impegno ecumenico, i rapporti con le autorità civili, la difesa della vita umana, del­la pace, dei diritti umani, anche perché ven­gano tutelati dalla legislazione civile, la pro­mozione della giustizia sociale, l’uso dei mez­zi di comunicazione sociale’. Differente e de­cisamente con un respiro più internazionale è il lavoro della Santa Sede che si fa carico sul piano diplomatico dei rapporti con i sin­goli Stati». Si dice che la stagione del «ruinismo», della Chiesa che parla «a voce alta», appar­tenga ormai alla storia. «Come ebbe modo di scrivergli personal­mente lo stesso Benedetto XVI il 23 marzo 2007, alla fine del suo mandato, il cardinale Ruini ’ha guidato i vescovi italiani in una fa­se delicata e cruciale della storia del popolo italiano’ e ’con tenacia e coraggio’ ha così ’reso un servizio non solo al Popolo di Dio ma all’intera Nazione italiana’. La stagione del mio predecessore va interpretata però non semplicemente come una vicenda lega­ta alla sua persona, ma come una fedele inter­pretazione della linea di Giovanni Paolo II prima e poi di Benedetto XVI». Alcuni temono che il suo ruolo di presi­dente della Cei si faccia più arduo. «Non esiste una Chiesa dell’era Ruini e og­gi una Chiesa dell’era Bagnasco perché la Chiesa anzitutto appartiene solo a Gesù Cri­sto e, nel caso specifico, la Chiesa che è in Italia intende essere vicina al magistero del Papa, per tradurne le istanze nel nostro con­testo. Questa a me pare la prospettiva da pri­vilegiare: senza operare riduzioni troppo per­sonalistiche e lasciando emergere che se una linea c’è è quella che si lascia ispirare dalla vicinanza non solo geografica con il Santo Pa­dre ». Lei ha detto che la Chiesa non può esse­re né «coartata» né «intimidita». Vi siete sentiti strumentalizzati? «La Chiesa non è conosciuta realmente per quello che pensa e per quello che fa. Spes­so si va avanti per luoghi comuni, rieditando interpretazioni superate dalla storia. Ad esempio, continuare a presentarci sempre co­me una parte politica e non invece come una istanza religiosa e culturale che ha tutto il di­ritto di entrare nei dibattiti pubblici che han­no a che fare con l’uomo e con la società, è riduttivo. Così come perpetuare pregiudizi di vario genere che tendono a fare una carica­tura delle nostre posizioni piuttosto che cer­care di porsi in dialogo con esse è ugualmen­te riduttivo. Penso che anche oggi, come in ogni epoca storica, la Chiesa sia portatrice di una visione della vita alternativa e spesso in controtendenza che non vuole imporre: chie­de solo di essere lasciata libera di proporla, nella ferma convinzione di contribuire al be­ne comune».  passato un mese e non avete ancora no­minato il nuovo direttore di Avvenire. Qua­le figura state cercando? «La scelta è vicina, trattandosi di una per­sona che deve incarnare il sentire cattolico dentro le trame delle vicende quotidiane, con uno sguardo capace di far emergere la realtà ancor prima delle sue interpretazio­ni ». Si racconta che i candidati considerati graditi alla Segreteria di Stato siano guar­dati con sospetto alla Cei, e viceversa... « un’illazione che non gode del conforto della realtà. I rapporti sono improntati a grande stima, affetto e collaborazione, nel ri­spetto delle responsabilità asimmetriche di cui ciascuno si fa carico per il bene della Chie­sa, del Paese e del mondo». Al sinodo per l’Africa si denuncia la di­sperazione degli immigrati respinti. Come devono cambiare le leggi? «Il problema dell’immigrazione non può essere risolto nel chiuso del nostro Paese per­ché si tratta di un fenomeno globale che esi­ge una risposta concertata. Penso che l’Euro­pa non possa rinnegare le sue radici cristiane che ne hanno fatto storicamente una terra di passaggio e di progressiva integrazione, at­traverso una politica che sappia rigorosa­mente tenere insieme il principio dell’acco­glienza e quello della legalità. La storia è lì per ricordarci, casomai la memoria fosse sva­nita, che anche in epoche molto più statiche e lontane il mondo è sempre stato attraversa­to dalle persone e dalle merci. Perché pro­prio quando il mondo si è fatto ancora più piccolo dovremmo bloccare questo processo di sempre?». Ha parlato di una «deriva mediatica» che altera le parole di Benedetto XVI. Da co­sa sarebbe motivata? «Si preferisce talvolta una lettura parziale che tende a distorcere il messaggio evangeli­co perché appaia o risuoni come incoerente o anacronistico, e la Chiesa venga dipinta co­me animata solo dalla volontà ’di alzare mu­ri e scavare fossati’, soprattutto in materia di etica. In realtà, a ben guardare, dietro ogni ’no’ della Chiesa c’è sempre e ancor prima un ’sì’, ben più grande e impegnativo». C’è un annoso problema sul rapporto tra principi etici e leggi. Il testamento biologi­co, ad esempio: si vuole imporre per legge la nutrizione e l’idratazione forzata, ma non è forse la coscienza il luogo ultimo del­le decisioni etiche? «La coscienza retta e formata resta sempre l’ultima frontiera davanti a cui arrestarsi, ma solo una visione individualista potrebbe ri­durla a un soliloquio. In realtà nessuna deci­sione è umana se vissuta nell’isolamento e non aperta a un confronto con gli altri e, pri­ma ancora, con la verità delle cose. innega­bile che il momento della prova estrema è og­gi vissuto sempre più in solitudine, ma que­sto è più l’effetto di un degrado umano che non la prova della nostra civiltà». Dopo l’affossamento della legge antio­mofobia – e le polemiche sulla deputata cattolica del Pd, Paola Binetti, che ha vota­to per l’incostituzionalità – si accusano cattolici e Chiesa d’essere indifferenti alle ripetute aggressioni contro i gay. «La Chiesa non è contro nessuno, tanto­meno contro le persone, di qualsiasi orienta­mento sessuale esse siano. La violenza e l’ag­gressione sono sempre gratuite e inaccettabi­li. La Chiesa ritiene poi che la sessualità sia l’incontro tra persone di sesso diverso in un contesto stabile e fecondo. Si può non condi­videre questa lettura del dato antropologico, ma la Chiesa non può venire meno a questo che è un dato non solo religioso o culturale, ma profondamente naturale, e che essa pro­pone a tutti senza discriminare nessuno». Si propone l’ora di religione islamica nel­le scuole, lei che ne dice? «L’ora di religione cattolica, nelle scuole di Stato, si giustifica in base all’articolo 9 del Concordato, in quanto essa è parte integran­te della nostra storia e della nostra cultura. Pertanto, la conoscenza del fatto religioso cattolico è condizione indispensabile per la comprensione della nostra cultura e per una convivenza più consapevole e responsabile. Non si configura, quindi, come una cateche­si confessionale, ma come una disciplina cul­turale nel quadro delle finalità della scuola. Non mi pare che l’ora di religione ipotizzata corrisponda a questa ragionevole e ricono­sciuta motivazione». Il cardinale Carlo Maria Martini scriveva sul Corriere : «Io ritengo che la Chiesa deb­ba intervenire poco e solo quando è vera­mente necessario». d’accordo? «Credo che il problema non sia il molto o il poco intervenire sulla scena pubblica, pur apprezzando personalmente una certa so­brietà sia nel parlare che nello scrivere. Pen­so che il criterio vero sia l’uomo e il suo desti­no: specie quando è messo in crisi, la Chiesa, che dell’uomo è amica e alleata, non può ta­cere. Sarebbe peccato di omissione. Essa è in­viata ad annunciare a tutti la grande speran­za che è il Signore Gesù».