Note: [1] g. l. b., il Fatto Quotidiano 16/10; [2] Francesco La Licata, la Stampa 16/10; [3] Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 16/10; [4] Attilio Bolzoni & Francesco Viviano, la Repubblica 16/10; [5] Giuseppe Di Lello, il manifesto 17/10; [6] Mar, 17 ottobre 2009
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 19 OTTOBRE 2009
Mercoledì l’avvocato di Massimo Ciancimino, figlio del Vito che fu sindaco di Palermo, ha consegnato ai magistrati del capoluogo siciliano una copia del ”papello” con cui nel 1992 Totò Riina avrebbe dettato allo Stato le condizioni per una tregua dopo la strage in cui fu ucciso Giovanni Falcone (23 maggio 1992) e prima di quella in cui fu ucciso Paolo Borsellino (19 luglio 1992). [1] Francesco La Licata: «La caccia al ”papello” è in atto da quando il pentito Giovanni Brusca ne rivelò l’esistenza per dar forza all’ipotesi (allora era tale) che fra Stato e mafia si fosse svolta una trattativa che aveva visto protagonisti da un lato il capo di Cosa nostra, attraverso i buoni uffici dell’ex sindaco Vito Ciancimino, dall’altro il generale Mario Mori». [2]
Il papello contiene dodici punti scritti a mano, in stampatello, senza errori di ortografia tranne uno (’fragranza” invece di ”flagranza”), con calligrafia chiara che non sembra né quella di Riina, né quella di Bernardo Provenzano. [3] Attilio Bolzoni & Francesco Viviano: «Questo foglio bianco compilato da Totò Riina è stato visto per la prima volta da Massimo Ciancimino fra le due stragi. ”Era il mese di giugno del ”92”, ha raccontato il figlio più piccolo di don Vito. Massimo va a prendere il ”papello” da Caflish, un famoso bar di Mondello. Glielo consegna Antonino Cinà, un boss vicinissimo a Totò Riina. dentro una busta che Massimo Ciancimino non apre». [4]
Qualche giorno dopo aver ricevuto la busta, Ciancimino jr. avrebbe trovato il padre che nella villa di Mondello parlava con il ”signor Franco”, un agente dei servizi segreti da almeno un paio di decenni in contatto con don Vito. Bolzoni & Viviano: « in quella occasione che don Vito dice al ”signor Franco” di organizzare a Roma ”un incontro con i due”. I due sono il colonnello Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, gli ufficiali del Ros che stavano portando avanti la trattativa - a questo punto una delle trattative - con i Corleonesi. L’incontro - sempre secondo i ricordi di Massimo Ciancimino - ci fu dopo qualche giorno ancora. A Roma. E don Vito mostrò il ”papello” di Totò Riina ai due carabinieri. Il colonnello e il capitano hanno sempre negato questa circostanza». [4]
Le richieste mafiose erano pressoché inaccettabili. La Licata: «Tanto che lo stesso Vito Ciancimino, quando ne prese visione, ebbe a commentare, riferendosi ai mittenti: ”Le solite teste di minchia”. Al primo punto la mafia chiedeva la revisione del maxiprocesso, appena chiuso in Cassazione con dodici condanne all’ergastolo, praticamente la cupola nella sua interezza. Non è sorprendente, questa richiesta, dal momento che l’esito negativo (per la mafia) del maxiprocesso rappresenta la causa di tutti i successivi ”disastri”, compresa la decisione di Cosa nostra di intraprendere la strategia stragista. La lista, oggi in mano ai pubblici ministeri di Palermo, si chiude con una pretesa di natura politica, probabilmente inserita per dare al ”papello” la connotazione di un ”documento di popolo” condiviso dai siciliani. La mafia, perciò, chiedeva la defiscalizzazione della tassa sul carburante». [2]
I mafiosi chiedevano anche l’abolizione del ”41 bis” (carcere duro), la revisione della legge Rognoni-La Torre (sequestro dei beni illeciti) e di quella sui pentiti. Bianconi: «Poi, al punto 5, compare un argomento che solo anni dopo sarà trattato dai boss di Cosa Nostra, come possibile via d’uscita dagli ergastoli: ”Riconoscimento benefici dissociati (Brigate rosse) per condannati di mafia”. Con evidente riferimento alla legge fatta per gli ex terroristi. strano che già se ne parli nel ”92, quando i capi sono tutti latitanti, ma questo risulta dal papello. Al punto 7, dopo la richiesta degli arresti domiciliari per gli ultrasettantenni, s’invoca la chiusura delle carceri speciali. Poi ci si concentra sui rapporti con i familiari: dalla detenzione vicino alle abitazioni delle famiglie all’esclusione della censura della posta, fino all’esclusione delle misure di prevenzione per mogli e figli. C’è poi la proposta di procedere all’arresto ”solo in fragranza di reato”». [3]
La strategia dei corleonesi andò poi avanti con altre stragi. Giuseppe Di Lello: «Senza nessun risultato apprezzabile ed, anzi, ha ottenuto, almeno per i mafiosi detenuti, l’effetto contrario». [5] Marianna Bartoccelli: «Perché Mori avrebbe dovuto fare una trattativa con un papello scritto da Riina che poi il 13 gennaio 1993 (giorno dell’arrivo di Caselli alla procura di Palermo) arresterà e porterà in carcere dove si trova tutt’ora?». [6] «Stiamo indagando su dieci anni di trattativa» ha detto all’Unità il Pm palermitano Nino Di Matteo a poche ore dalla consegna del Papello. Nicola Biondo: «Dieci anni il cui inizio è la strage di Capaci, maggio ”92, e la cui fine, o meglio punto di svolta, è il proclama di Leoluca Bagarella del luglio 2002» (accusò gli avvocati diventati parlamentari di non occuparsi più dei loro clienti mafiosi tirando in ballo le forze politiche che giocavano «sulla pelle dei detenuti»). [7]
«Durante gli ultimi 17 anni, buona parte dei desiderata di Cosa Nostra sono stati discussi e, a volte approvati, da Camera e Senato», ha scritto Peter Gomez: «Le supercarceri di Pianosa e l’Asinara sono state chiuse nel 1997 dal centrosinistra. La legge sui pentiti, coi voti dell’Ulivo e il plauso del centro-destra, è stata riformata nel 2001, provocando un crollo verticale del numero dei collaboratori di giustizia». [8] Biondo: «Per quanto riguarda il 41bis e la legge sui pentiti è sotto gli occhi di tutti che le nuove leggi non garantiscono più buoni risultati. L’isolamento dei boss è ormai un ricordo del passato e la legge sui pentiti ha ottenuto un unico risultato: da anni ormai non si pente quasi più nessuno. Sulla revisione della legge Rognoni-La Torre basta dire che sono migliaia ogni anno i beni confiscati che non vengono riutilizzati, come denuncia da tempo la Agenzia del demanio». [7]
L’inchiesta della procura di Palermo sulla trattativa tra mafia e Stato si allunga sino al ”96 ed oltre. Peter Gomez & Giuseppe Lo Bianco: «L’ipotesi investigativa è che, come dice il pentito Giuffrè, quel dialogo non si sia mai interrotto, e che come egli stesso ha rivelato nel secondo giorno del suo esame a Roma, la scorsa settimana, sia stato condotto a buon fine, come aveva pronosticato Bernardo Provenzano, che aveva chiesto ai suoi complici 10 anni di attesa e pazienza». [9] In varie interviste l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli ha espresso dubbi sulla formazione del governo Amato (1992) e parlato «delle pressioni che subii per lasciare la Giustizia e andare alla Difesa, e della situazione di Vincenzo Scotti, che dovette lasciare l’Interno a Nicola Mancino». [10]
Martelli ha raccontato anche che Liliana Ferraro, ex direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia (erede di Falcone dopo la strage di Capaci), gli parlò dei tentativi dei Ciancimino di avere ”coperture politiche” nella trattativa condotta per conto di Riina e Provenzano. Gabriele Isman: «A parlarne all’ex direttore degli affari penali era stato il capitano del Ros Giuseppe De Donno, che aveva avvicinato Ciancimino jr. in aeroporto. Martelli aveva spiegato ad ”Annozero” e ha confermato ai pm che Liliana Ferraro aveva invitato il militare a parlarne con Paolo Borsellino. La contrarietà del magistrato amico fraterno di Giovanni Falcone avrebbe determinato un’accelerazione nella preparazione della strage di via D’Amelio, come da tempo sostengono i familiari di Paolo Borsellino». [10]
Le domande, diciassette anni dopo, sono poche e precise. Bolzoni & Viviano «I Ros hanno agito autonomamente? Hanno trattato per loro conto con Totò Riina? Hanno ricevuto un mandato politico o si sono abbandonati a scorribande sbirresche? ”Mio padre mi ha detto che quegli ufficiali erano accreditati da Mancino e Rognoni”, dichiara a verbale Massimo Ciancimino. Nicola Mancino, che al tempo era ministro degli Interni, da mesi smentisce ogni trattativa. Virginio Rognoni, che al tempo era ministro della Difesa, dice che non ”ha mai saputo nulla”». [5] Interrogato come testimone dai magistrati siciliani, Mancino ha spiegato: «La fantasiosa ricostruzione dei motivi della sostituzione del ministro Scotti con altro ministro, ”più moderato”, è superata da tutto ciò che quel ministro, io stesso, fece e dai successi ottenuti nella lotta contro la criminalità organizzata». [11]
Con il ”papello” nelle mani dei procuratori siciliani le indagini sulle stragi e sulla ”trattativa” si stringono sui reparti speciali dei carabinieri. Bolzoni & Viviano: «Colonnelli, generali, maggiori, capitani. Sono sott’accusa, sono sospettati. Per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina nel 1993. Per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995». [4] La Licata: «Il generale Mario Mori (che non nega i contatti con Ciancimino ma finalizzati alla cattura del vertice di Cosa nostra) è al secondo processo, dopo l’assoluzione per la mancata perquisizione del covo di Riina. Ora Agnese Borsellino chiama in causa il gen. Antonio Subranni, riferendo ai giudici i commenti poco edificanti espressi dal marito sul conto dell’ufficiale». [12]
All’inizio della prossima settimana da una cassetta di sicurezza custodita in una banca del Liechtenstein dovrebbe arrivare in Sicilia il papello originale. Bolzoni & Viviano: «Solo allora i magistrati ordineranno una perizia grafica per vedere chi ha materialmente scritto quelle richieste dettate da Totò Riina. I primi sospetti si stanno allungando su uno dei figli del boss di Corleone. E sul fidato Antonino Cinà, il mafioso più vicino a Riina in quell’estate del 1992. La prossima settimana forse arriveranno a Palermo anche le registrazioni - altra promessa di Massimo Ciancimino - dei colloqui avvenuti fra don Vito e il colonnello Mori e il capitano De Donno durante la ”trattativa”. Ha spiegato il figlio dell’ex sindaco: ”Mio padre non si fidava di quei due e così ha registrato tutto”». [13]