Angelo DཿOrsi, La Stampa 17/10/09, 17 ottobre 2009
Siamo diventati il Paese spaccato - Il primo nome citato in Autobiografia di una Repubblica, l’ultimo libro di uno dei più validi storici italiani della generazione del Dopoguerra, Guido Crainz, è Silvio Berlusconi
Siamo diventati il Paese spaccato - Il primo nome citato in Autobiografia di una Repubblica, l’ultimo libro di uno dei più validi storici italiani della generazione del Dopoguerra, Guido Crainz, è Silvio Berlusconi. Potrebbe essere altrimenti? Il «cavaliere» ha dominato la scena politico-mediatica nazionale, facendosi notare anche oltreconfine, per un quindicennio. E ancora molti non sono disposti a sottoscrivere l’affermazione che lo vuole sul viale del tramonto. Ma «l’uomo delle televisioni» compare soltanto alla fine del denso e veloce percorso di Crainz nel dopoguerra italiano. Il 1994 è punto d’arrivo di una lunga notte della Repubblica che comincia almeno negli Anni Settanta, anche se qui il lettore trova indicazioni, fattuali e interpretative, per risalire più indietro, in caccia dei tratti costitutivi dell’Italia odierna: capire, insomma, le scaturigini, remote e più vicine, di una situazione che oggi appare bloccata in uno scontro che difficilmente potrà continuare nei termini attuali senza portare alla catastrofe l’intera società. Una classica situazione di «crisi» nel senso di Gramsci: quando due forze si contrappongono senza che nessuna delle due abbia la possibilità di prevalere, nettamente, sull’altra. Ed è da questo tipo di contingenze storiche che possono nascere le rivoluzioni o le controrivoluzioni. Leggere questo libretto, peraltro fitto (anche troppo!) di citazioni, è come infilarsi nell’armadio di casa, esperienza istruttiva, talora divertente, ma perlopiù sgradevole. Crainz è abile e sagace nel ricostruire una trama fatta di (pochi) eroi e (molte) canaglie, usando come fonte privilegiata la stampa: e, occorre dire, che rileggendo a distanza di tempo, analisi, giudizi, invettive delle grandi firme italiane - da Bocca a Scalfari, da Sergio Romano a Galli della Loggia, da Pirani a Pansa (sì, anche Pansa, prima che tralignasse!) -, troviamo sovente spunti di notevole acutezza, al punto che si può sostenere che sono proprio i giornalisti i primi studiosi del tempo presente, come lo furono, del resto, in un’altra lunga, e via via più drammatica crisi della storia italiana, culminata nell’autunno del ’22 nell’ascesa al potere di Benito Mussolini. Nelle pagine di Crainz, cultore appassionato della storia sociale, anche nel senso più ampio e vario, troviamo un po’ di tutto, in una quasi festosa scorribanda: la televisione (e come sarebbe potuta mancare?), il cinema, lo sport, le canzoni, la moda. Insomma, tutto il repertorio del made in Italy, che per tanti versi, in verità, risulta un percorso dolente tra i mali d’Italia. E ad ogni capitolo ci si interroga sulle discontinuità: dove insomma collocare i momenti periodizzanti, e, in particolare, sullo sfondo rimane l’interrogativo che costituisce il filo rosso della riflessione: dove e quando è cominciata la crisi in cui il Paese si dibatte? Da dove viene questo sfascio a cui assistiamo, inerti, rassegnati e forse impotenti? Tralasciando i decenni più lontani, è tra gli Anni 70 e 80 che si definisce il quadro che spiega anche se non prepara direttamente il nostro amaro, talora francamente insopportabile, presente. E, se vogliamo additare un uomo, è certamente Bettino Craxi colui che porta le maggiori responsabilità: la governabilità, il decisionismo, la «grande riforma» furono autentiche «bufale», dietro cui si agitavano poco limpidi interessi non soltanto di bottega. Mentre intorno trame losche definivano uno scenario inquietante, tra P2, mafia, Servizi deviati, pubblica amministrazione inefficiente, politici corrotti e imprenditori corruttori. La «discesa in campo» del Cavaliere, nel ’94, fu l’esito rovesciato di Mani pulite: nasceva col Berlusconi I, l’era della confusione sistemica tra interesse pubblico e interesse privato, andando ben oltre le «premesse» craxiane (e democristiane). E si agitava propagandisticamente il «nuovo»; Norberto Bobbio mise subito in guardia: «il nuovo appare sempre più una continuazione del vecchio, anzi di alcuni aspetti peggiori del vecchio». Nasceva il primo vero «governo della discordia». La spaccatura del Paese a metà, era cominciata. Siamo in tempo per tentare di porvi riparo?